Questo caseggiato già nel Cinquecento si presentava diviso nelle quattro unità abitative (parti di casa) riscontrabili anche ai giorni nostri. La casa 19 era posseduta dagli Inama di Fondo, mentre la 17-18 e probabilmente anche la 16 erano dei Vicenzi[1], per cui tutto il colomello era detto ai Vicenzi. La futura casa 19 rimarrà ininterrottamente in mano agli Inama della linea di Fondo fino a circa il 1830 e quindi i suoi proprietari possono essere agevolmente reperiti scorrendo le informazioni genealogiche. Le altre notizie certe e verificate per la futura casa 18 le abbiamo dal 1687, quando Antonio Mendini comperava la casa, detta dei Massenzi, dalle sorelle della defunta Lucia Bertoldi, vedova di Vittore Massenza; per la futura casa 17 dal 1741, quando Gaspare figlio del fu Michele Inama la acquisiva dall'eremo di Santa Giustina, e per la futura casa 16 dal 1669, quando risultava appartenere a Concio Massenza. Negli anni successivi a quelli sopra evidenziati le situazioni sono chiare e documentate per cui è stato possibile ricostruire la striscia storica fino ai nostri giorni. Nei periodi antecedenti invece, i documenti a disposizione non sono molti e le notizie che si ricavano sono frammentarie e a volte contrastanti, per cui ci si deve affidare a molte congetture. Mi riferisco in particolare all’ambigua presenza Spaur nella casa 17-18 e all’altalenante proprietà eremitale della stessa, che a volte sembra interessare tutta la casa, altre sembra coesistere con terze persone, altre ancora, è riferita alla parte n. 17, o alla n. 18; senza scordare che da ultimo, la casa dell’eremo, poi ceduta alla neoeretta primissaria nel 1778, fu la numero 16. Non sono riuscito a trovare traccia di documenti riguardanti la casa nemmeno nell'archivio Spaur di Castel Valer, per cui si può solo intuire da alcuni indizi, in quale circostanza e, da chi pervenne ai dinasti di Castel Valer la detta casa.
Casa n.16 casa di Concio Massenza - casa di S. Giustina
(Oggi Via del Borgo n. 12)
Da varie evidenze ricaviamo che la futura n. 16 fu la prima delle tre porzioni
di casa appartenute ai Vicenzi a cambiare di mano.[2]
Questo era già avvenuto
intorno al 1580 ad opera della famiglia
Massenza occupante la vicina casa n. 15. In
particolare ritengo che l'autore della prima acquisizione sia stato
Gaspare Massenza, ma forse
anche il padre Simone. Ad altro Simone, nipote di quello appena citato e figlio
del fu Gaspare, è da attribuire la successiva alienazione della casa a favore
del cugino
Matteo Pret. Di questa proprietà se ne può
riscontrare la traccia in un documento del 1573 dove in un atto di pignoramento
di alcuni avvolti nella casa del fu Vincenzo, appare come confinante
Matteo Pret. Quest'ultimo che risiedeva nella
casa n. 7-8, aveva dei possessi
nella casa numero 16 per un lascito testamentario del cugino
Simone fu Gaspare Massenza. Non abbiamo la prova invece
che nella casa avesse abitato Francesco Massenza, fratello di Gaspare o qualcuno
dei suoi figli, ma credo comunque, che ciò possa essere verosimilmente accaduto.
I discendenti di Francesco intorno al 1590 sicuramente non occupavano la casa,
in
quanto risiedevano come masadori nella casa
del maso Betta. Concio Massenza senior, invece possedeva la presente
casa che aveva acquisito in parte da Matteo Pret e in parte dai suoi parenti.
Nel 1617 come vedremo più avanti, nella casa abitava Cipriano con la moglie Maria
la quale era venuta in possesso anche della futura casa n. 17
(forse anche della n. 18, quindi l'intera casa che fu dei Vicenzi) che in
quell'anno dovette cedere all'eremo di Santa Giustina. La casa 16
era divisa dalla 17-18 tramite una viottola che poi sarebbe divenuta porticato
(Porteget).
Anche i discendenti di Concio sono documentati come assenti da Dermulo per
lunghi periodi poiché tenutari di masi siti altrove, (a Casez nel 1633, a Taio
dai Panizza nel 1646 e precedentemente a Castel Bragher, a Dermulo dai Betta nel
1650, ancora a Taio dai Fuganti nel 1677) per cui è molto probabile che la casa,
non più abitata, avesse raggiunto lo stato di degrado descritto dall'eremita Egidio Gilli
nel 1669. Nel documento redatto in quell’anno, il Gilli esortava
Concio Massenza
a riparare la casa che minacciava di crollare addosso a quella eremitale. La
casa aveva in proprietà un cortile posto a mezzogiorno e un
broilo localizzato invece a est della casa n. 15.
Nel 1681 tale broilo fu prestato in garanzia da
Concio Massenza come assicurazione in una compravendita con i fratelli Mendini.
Concio morì nel 1686 senza lasciare discendenti per cui la casa pervenne ai suoi
sconosciuti eredi, ma che potremmo forse riconoscere nei coniugi Tonini di Mezzolombardo, intestatari di altri beni che furono del Massenza,
i quali probabilmente la alienarono a Tommaso Massenza.
Nel 1695 quest'ultimo infatti,
che risiedeva nella vicina
casa n. 15, risultava possedere anche la casa n. 16
e in quell'anno la prestava come garanzia
in una compravendita con
Antonio Mendini. Nel documento si specificava "la
stalla e la canipa incorporate nella casa di Concio Massenza". Qualche anno dopo,
probabilmente per non essere stato in grado di onorare i suoi impegni con il
Mendini,
Tommaso perse la proprietà della casa, la quale pervenne
all'eremo di Santa Giustina. Da confini dell'adiacente casa 17
sembrerebbe che i proprietari della casa 16, nell'intervallo temporale fra Tommaso Massenza
e l'eremita, fossero tali eredi Clebelsberger. Con Bartolomeo Sandri, eletto eremita nel
1699, se ne ebbe il primo effettivo utilizzo da parte dell'eremo. Il Sandri
si premurò di apportare migliorie anche con l'acquisto nel 1705 di un orto
(posto nel broilo a est della casa 15) e di una
viottola nei pressi della casa. Dagli atti visitali del 1742
risultava che la casa era molto malandata e bisognosa di una completa
ristrutturazione dal tetto alle fondamenta. La casa fu proprietà dell’eremo
fino al 1778, anno in cui con la fondazione della primissaria di Dermulo, sarà
destinata ad abitazione del primissario.[3] Per restaurare la casa che si trovava
ancora in precarie condizioni, la comunità di Dermulo contrasse un debito di 100 Ragnesi che fu in parte pagato con le rendite della
chiesa dei SS. Filippo e
Giacomo.
Nel 1835 il muratore
Vittore Tamè eseguì alcune
opere di manutenzione, e cinque anni dopo l’aggiunto Lochmann effettuò
alcuni rilievi per lavori da eseguire nella casa adibita a canonica primissariale.
Bisognerà aspettare il 1845 per vedere l'inizio dei lavori che prevedevano una radicale ristrutturazione interna dei locali al primo e al secondo piano.
Casa n.17-18 casa dei Vicenzi o ai Cristani, o dei Massenzi
(Oggi Via del Borgo n. 14) P.E. 39
Questa casa, divisa nelle due porzioni più tardi contraddistinte dai numeri
17-18, fu l'abitazione di
Vincenzo detto Zaton di Tres,
che troviamo abitare a Dermulo già nel 1437. I discendenti di Vincenzo, che dal
capostipite furono appellati "Vicenzi", abitarono la
casa per più di un secolo, fino alla loro presunta estinzione o migrazione. Gli
ultimi tre rappresentanti di detta famiglia, furono i fratelli Vincenzo, Nicolò e Vigilio,
dei quali si hanno scarsissime notizie. Intorno alla metà del Cinquecento,
Nicolò e Vigilio erano già passati a miglior vita, invece Vincenzo sopravvisse
ai fratelli e divenne l'unico proprietario della casa. Costui aveva designato suo erede Bartolomeo
Cordini, con il quale era sicuramente imparentato, infatti il Cordini aveva promesso nel 1551, di pagare
gli interessi su un debito di 13 Ragnesi che Vincenzo aveva con la chiesa
del
romitorio di Santa Giustina. Nel
1573 però, il debito era cresciuto a 25 Ragnesi e gli amministratori della
chiesa dell'eremo procedettero al pignoramento
di due avvolti localizzati nella casa del fu Vincenzo. I due locali pignorati
furono il primo embrione della futura casa eremitale. Vincenzo durante la sua
vita aveva pure stipulato con Ferdinando Morenberg di Sarnonico un censo passivo
assicurato sulla casa, i cui interessi venivano poi pagati annualmente dai
fratelli Pietro e Bertoldo Cordini (figli di Bartolomeo?) eredi di Vincenzo. Nel
1616 il Morenberg, forse per la sua amicizia con l'allora eremita
Giovanni Giacomo Etterarther, decise di
beneficiare l'eremo
di Santa Giustina,
del capitale di 10 marche di moneta di Merano, dovutogli
dagli eredi di Vincenzo[5]. Nel 1617, la casa medesima, risultava nelle disponibilità di Maria moglie
di Cipriano Massenza, la quale non
riuscendo a pagare il debito, consegnava all'eremo la sua casa "diruta e
senza tetto nel luogo detto la casa di Vicenzi". E' significativo che la
proprietà fosse stata di Maria e non del marito Cipriano perchè ciò ci autorizza
a concludere che la donna fosse una figlia di uno dei fratelli Cordini, più
esattamente di Bertoldo. Risulta chiaro che Maria e Cipriano non abitassero
nella casa "diruta" ma in un'altra più agibile, vale a dire la futura
n. 16. Dal 1617 fino a poco dopo la metà del
Seicento, la casa che fu dei Vicenzi, appartenne all’eremitaggio di Santa Giustina. Tale
situazione è confermata anche dall’evidenza confinaria esposta nel già citato
documento del 1669. Ancora una volta però, a distanza di qualche anno ci sarà un
cambio di proprietà del caseggiato a favore della famiglia Klebelsberger. La
notizia appare come flebile traccia, nella citazione di un confinante di una
parte di casa nel 1693, segnatamente: "eredi Clebespergeri ossia Contessa
Leopoldina Spaur".[6]
L’eremo per qualche motivo a noi sconosciuto fu costretto a
rivendere, o forse cedere, o permutare la casa con la “misteriosa” famiglia Klebelsberger. Mi pare di poter affermare che la proprietà
Klebelsberger
avesse abbracciato tutta la futura casa 17-18, anche se noi, per mezzo di questa
citazione confinaria, ne abbiamo avuto la contezza solamente per la n. 17. La futura parte n. 18 quindi dagli Spaur passava a
Vittore Massenza, o meglio a sua moglie Lucia e poi dopo la morte di quest'ultima,
in eredità alle sue sorelle
Antonia e Giacoma. La descrizione incompleta dei locali, in quanto
il documento si presentava rovinato e di difficile lettura è la seguente:
ipocausto a revolto, metà somasso, stradugari e tetto, salva la servitù della via e porta e stalla. La parte di casa nel citato
documento è denominata "ai Massenzi" e questo ci autorizza a pensare che in
precedenza, la casa fosse stata proprietà di tale famiglia. E' plausibile quindi
che questa parte di casa, fosse appartenuta al padre di Vittore, Leonardo o
forse addirittura al nonno Simone II. Ma è altrettanto possibile, invece, che si
fosse trattato di residui di casa appartenuta a Domenico Massenza, la cui figlia
Maria fu accudita, nei suoi ultimi anni di vita, da Maria Sicher vedova di
Giacomo Massenza. Poi Maria figlia di Domenico, nel suo testamento del 1664,
beneficiò dei suoi beni stabili Vittore Massenza e Maria Sicher, suoi parenti
più vicini. Non conosciamo nel dettaglio i beni ereditati da Vittore e Maria,
sicuramente non erano numerosi e di alto valore, ma poteva esserci benissimo una
parte di casa n.17-18.
Come si diceva sopra, le sorelle di Lucia vedova di Vittore Massenza che avevano
ereditato la casa, nel 1687 la vendettero
per 80 Ragnesi ad
Antonio Mendini. Il Mendini
poi nel 1693 cedeva tale casa a
Michele
fu Giovanni Battista Inama per la somma di 110 Ragnesi. In questa occasione
la casa si dice
formata da stufa, cucina a revolto, metà somasso,
metà stradugari, il cortile intero, revolto sotto il ponte.
La descrizione ci fa capire, come prevedibile, che
all'epoca
la parte abitativa della casa, era sviluppata su un piano e solo più tardi
la casa verrà alzata per aumentarne le unità abitative.
Nel 1701
Michele assicurava
su questa casa, la dote della consorte
Margherita Endrizzi, in questa
occasione, a nord si dice confinare con il conte Geronimo (Girolamo) Spaur. Alla
morte di Michele la casa pervenne ai due figli Giacomo e
Gaspare
e in seguito
quest'ultimo, acquistò la parte di Giacomo essendosi lui trasferito nella
casa
alla Crosara.
Invece la futura casa n. 17 dai
Klebelsberger
passerà agli Spaur che la possederanno fino agli anni Quaranta
del Settecento, quando il conte Francesco Spaur, la lascerà all'eremo di Santa Giustina
come legato. Nel 1741
l’eremita Giacomo Fuganti vendeva a
Gaspare fu Michele Inama questa
parte di casa ubicata a nord rispetto a quella già posseduta dal compratore,
quindi in futuro numerata con il 17, ad esclusione l'orto posto a nord della
casa che rimase ancora di proprietà eremitale. La parte di casa però non rimase a lungo
nelle mani di Gaspare perchè probabilmente fu oggetto di assicurazione di un
prestito avuto dalla
chiesa di Dermulo, prestito che Gaspare non fu
in grado di rimborsare. Ciò dobbiamo intuire,
se nel 1766 Gaspare Inama ricomprava la stessa parte di casa dalla chiesa di Dermulo.
Che
si tratti della medesima casa oggetto di compravendita nel 1741 è comprovato oltre
che dall'enunciazione dei confini anche dalla descrizione dei locali,
a basso una staletta, un revoltello fatto a soffitta, in alto due stanze,
parte di somasso e coperto, praticamente identica nei due documenti. La casa
inoltre,
descritta fin dal Seicento in precarie condizioni strutturali, in questa
occasione si disse addirittura che in parte era per cadere.
I
locali a distanza di anni si possono ancora riconoscere nel primo piano della
mappa catastale del 1899.
Quindi a
partire dal 1766 le due porzioni della futura casa 17-18 avranno unico
possessore,
Gaspare Inama, e così rimarranno fino al 1779. In quell'anno
infatti alla morte di Gaspare i figli
Giovanni Michele e
Silvestro dividono la casa paterna, per cui toccherà al primo la
parte a nord, ossia la futura n. 17, al secondo quella a sud, ossia la n. 18.
E così infatti è rispecchiata la situazione nel catasto teresiano del 1780. Della
divisione avvenuta nel 1779, abbiamo solo la menzione in un altro documento del 1780,
in cui si precisano alcune cose "dimenticate" nella prima spartizione. Nello
scritto si dice che per l’andito e coperto sopra la stua della moglie di
Silvestro, e l’andito e coperto sopra il ponte, non considerati nella divisione,
Silvestro doveva sborsare a
Giovanni 9 Ragnesi.
Giovanni
inoltre doveva rinunciare a
riscuotere da
Silvestro 4 Ragnesi, che gli doveva per rifare il ponte.
Si dice ancora che il forno nella cucina di
Silvestro, doveva rimanere in comune
e siccome si era intenzionati a dividere il somasso con un muro, bisognava
lasciare un uscio per recarsi a detto forno; si stabilisce ancora che
Giovanni
doveva cedere a
Silvestro un avvolto sopra la sua cucina, perché così poteva
farsi l’uscio sulla sua proprietà. Per cui
Silvestro permutava con
Giovanni, un
revolto sopra la
stradella, al di sopra del quale possedeva un locale lo stesso
Giovanni. Infine si decise che oltre a tramezzare il
somasso con un muro o con
delle assi, si doveva fare altrettanto anche con le stradughe.
Nel 1813 moriva
Silvestro lasciando
eredi della casa i tre figli maschi Antonio, Gaspare e Luigi. Gaspare
che all'epoca era assente e di
ignota dimora non fece più ritorno a Dermulo; Luigi
invece morì sedicenne nel 1815, per cui
Antonio divenne l'unico proprietario della casa
paterna. Della casa e di quanto contenuto in essa nel 1813, ci è giunto un
dettagliato inventario. I
locali che costituivano la detta parte di casa erano:
una camera al primo
piano, una cucina,
una camera sopra
detta cucina,
una stufa,
una camera sopra la stufa, una
cantina, una stalla,
il fienile,
le stradughe. Poco prima di
questo periodo quindi la casa era stata oggetto di un innalzamento e si erano ricavati almeno due
locali (due camere) che appartenevano a Silvestro. Non si può escludere, anzi è
probabile, che nel medesimo periodo esistessero già altri due locali nelle
disponibilità del fratello Giovanni Michele. Come invece potrebbe darsi che i
due locali di Silvestro fossero stati "stramezzati" dagli eredi ricavandone così
quattro locali complessivi.
Nel 1840 passava a miglior vita
Antonio Inama, seguito ad un
anno di distanza da sua moglie Caterina. Da questo matrimonio non
erano nati figli per cui la casa fu ereditata dal
cugino
Giovanni Domenico.
Quest'ultimo nel 1801 aveva
ereditato la parte di casa dal padre
Giovanni
Michele, per cui ancora una
volta le case 17-18 venivano riunite sotto un unico proprietario. Alla morte di
Giovanni Domenico
avvenuta nel 1843, la sostanza paterna venne divisa fra i tre figli
Giovanni,
Giacomo e
Luigi.
Riguardo alla casa, quella che fu di
Antonio venne assegnata
a
Giovanni, quella avita di
Giovanni Domenico
a
Giacomo.
Luigi fu in quel
momento escluso dalle divisioni della casa e gli furono assegnati
solamente alcuni terreni.
Giacomo sposato da
appena due anni morirà lasciando nella vedovanza la moglie
Matilde Tamè
e nessun discendente; la stessa sorte toccò a
Luigi che
morirà nel 1848. La casa 17-18 passerà
quindi al completo in mano di
Giovanni. Nel
1847 in occasione dell'incendio che colpì le vicine case n.
20 21 e
22, nonchè la
chiesa, stranamente, a differenza di
altre persone che abitavano nei paraggi,
Giovanni
non appariva fra gli interrogati a Cles presso il Giudizio Distrettuale.
Questa circostanza ci fa capire che in quell'anno
Giovanni,
benchè proprietario, non abitava nella sua casa n. 17-18, per cui era
impegnato come masadore molto probabilmente al
Maso Widmann.
Dopo la morte di
Giovanni, avvenuta nel 1894, la casa venne assegnata per volere
testamentario ai due figli
Ernesto e Daniele. Nel
1904
Daniele risulta
essere possessore della casa n. 18, e quindi possiamo dedurre che a
Ernesto fosse
toccata la n. 17. La situazione dopo la morte di Giovanni è molto ben
rispecchiata nella rappresentazione
catastale della casa databile al 1899. Dalla mappa si evince che la
vecchia circostanza che voleva la casa divisa in parte nord, numerata con il 17
e in parte sud numerata con il 18, non era più chiaramente in essere, perchè ad
eccezione del piano terra, la divisione tra i numeri 17 e 18 era intesa per piano.
Nel 1914 alla morte di Ernesto,
che già
dal 1907 comunque alloggiava nella casa del maso Widmann n. 25,
la casa paterna passò in eredità ai tre figli Abramo, Pio e
Giuseppe. Quest'ultimo
proseguirà per qualche anno con l'affittanza al maso Widmann
ma diverrà l'unico proprietario della casa paterna.
Dopo la morte di Daniele nel 1926 la sua parte di casa diverrà proprietà dei
quattro figli: Vittorio, Mario, Augusto e Fiorentino. Nel 1939 le parti di
Augusto e Vittorio furono acquisite da fratelli Eccher (don Lorenzo, Riccardo e Paolo). Dai fratelli Eccher per compravendita le due parti arrivarono a Mario e Fiorentino e per finire nel 1965 ad Ernesto figlio di Giuseppe
che quindi diventerà l'unico proprietario della casa. La casa è a tutt'oggi
posseduta dagli eredi di Ernesto Inama.
Dopo gli anni Venti del Novecento, il
numero civico 18 venne abbandonato e rimarrà solo il 17.
Casa n. 19 casa del maso Inama di Fondo
(Oggi Via del Borgo n. 16)
P.E. 40
La casa n. 19
costituisce la porzione più a ovest del caseggiato ed è formata, come si evince
dalla mappa
catastale, da due blocchi quasi speculari. Infatti alla parte sud, plausibilmente
la prima ad essere costruita, fu addossata in un secondo tempo un'altra costruzione verso
settentrione. Nella casa troviamo insediato Cristoforo Inama di Fondo
almeno dal 1534, anno in cui appare in qualità di frontista in un terreno a Poz.[7] Agli Inama la casa era verosimilmente arrivata per
mezzo di un acquisto precedente da una persona
che a tutt'oggi ci rimane sconosciuta, sulla quale però possiamo fare delle
ipotesi, in primo luogo escludendo chi non ne avesse avuto titolo, quale i
dinasti di Castel Bragher, quelli di Castel Valer, l'episcopio di Trento e
Leonardo Inama. I Thun di Castel Bragher in particolare, erano sicuramente ben
relazionati con la famiglia Inama, e questo già a partire dal
1434, quando Inama fu Nicolò di Dermulo fu infeudato della decima su un terreno alle Braide.
Tale concessione dopo la seconda metà del Cinquecento passò al ramo Inama di Fondo,
Come affermato più sopra il primo personaggio documentato come possessore della
casa è Cristoforo Inama figlio di Pietro nell'anno 1534.
La medesima persona deteneva la proprietà
nel 1554 quando in un'adunanza della Regola a Dermulo
tenutasi il 7 luglio, fu rappresentato dal suo manente Giovanni del Nard. Molto
probabilmente con Leonardo e fino alla morte del figlio Giovanni, la
famiglia, pur possedendo una porzione della futura
casa n. 2-3, abitò nella casa del maso n.19. Nel 1573 Giovanni
come perito, intervenne
anche
nella pignoramento dei beni del fu Vicenzo in favore della chiesa dell'eremo di
Santa Giustina e nello stesso documento,
appare come testimone Floriano Inama. Durante
il Seicento, diverse nascite registrate nei libri parrocchiali, ci forniscono la prova che la casa fu anche abitata dai proprietari.
In sequenza
cronologica dal 1600 fino al 1830 i proprietari furono: Floriano Inama II,
Bartolomeo Inama II, Alberto Inama, Floriano Inama IV, Giovanni Vigilio Inama.
Dal ‘700 vi troviamo vari manènti quali
Pietro Antonio Mendini dopo il 1710,
Gaspare Inama nel 1767, e
Francesco Mendini dal 1768 ad almeno il 1779.
Romedio Mendini
figlio di Bortolo, sembra abitare la casa n. 19 nei primi anni dell’800. L’ultimo manènte fu Romedio Emer
che probabilmente andò ad alloggiare nella
casa, dopo il suo matrimonio celebrato nel 1817. Infatti Romedio non è mai
citato come confinante nella casa paterna n. 11. Nel 1849 Carlotta vedova di Vigilio Inama di Fondo, anche a nome della
cognata
Chiara, vedova di Floriano Inama, vendeva il maso a Dermulo per 4200 Fiorini a
Romedio Emer. Oltre alla casa la sostanza consisteva in otto
terreni nel circondario di Dermulo. L'importo doveva essere pagato entro 10 anni
e per garanzia, oltre che sui beni comprati, fu posta ipoteca su altri
terreni proprietà di
Romedio e sulla casa n. 24.
Romedio moriva nel 1853 e la casa sarà occupata dai suoi figli
Giovanni e
Pietro, mentre
Romedio, altro
figlio, dopo il matrimonio andrà ad alloggiare nella vecchia casa Emer
n. 24.
Dopo la morte di
Giovanni
nel 1877, la parte di casa posta a sud viene ereditata dai suoi figli
Germano,
Geremia e
Basilio.
Basilio nel 1881 emigrava
in Brasile assieme allo zio
Romedio, dove moriva nel 1901. Nel 1904
Geremia Inama procuratore degli eredi di
Basilio, vendeva a
Geremia e
Germano Emer un sesto della casa n. 19.
Nel
1878 moriva anche
Pietro
e la porzione di casa a nord, passava ai figli
Alessandro,
Celeste,
Giuseppe e
Arcangelo con obbligo di assegnare alla loro
madre Caterina, il godimento della stufa, il diritto di cucinare e di dover
conferirle annualmente 2 passi di legna, 2 orne di vino, 12 staia di granoturco,
4 staia di frumento e 12 Fiorini in denaro. Oggi la parte nord della casa
appartiene ai discendenti di
Giuseppe, mentre la parte sud a quelli di
Geremia.
La casa poteva considerarsi divisa in porzione sud e porzione nord solamente
per quanto concerne il primo e il secondo piano, mentre per il piano terra,
probabilmente per questioni divisorie relativamente recenti, i locali era stati
assegnati diversamente.
PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA* | |||||||
Vigilio Massenza |
casa 16 |
casa
16 |
casa 17 |
||||
N.N. (m) |
Maria Bertoldi (m) |
Ursula Bronzin (m) |
|
|
nessuno |
Orsola Bergamo |
|
Margherita Massenza (f) |
Maria Massenza (f) |
|
|
|
Carolina Bertagnolli (m) |
||
Francesco Massenza |
Concio Massenza (f) |
Antonia Massenza (f) |
Elisabetta Depero (m) |
casa 17 |
casa
17-18 |
Carlotta Inama (f) |
|
N.N. (m) |
|
Pietro Inama (f) |
Vittorio Inama (f) |
||||
Francesco Massenza (f) |
Maddalena Inama (f) |
Gaspare Inama (f) |
Domenica Barbacovi (m) |
Anna Selva (m) |
Mario Inama (f) |
||
Domenico Massenza (f) |
Antonia N. (m) |
Vittore Massenza |
Maria Inama (f) |
Giovanni Inama (f) |
Giovanni Inama |
Ernesto Inama (f) |
Augusto Inama (f) |
Simone Massenza (f) |
Giacomo Massenza (f) |
Lucia Bertoldi (m) |
Gaspare Inama (f) |
Gio.Batta Inama (f) |
Giacomo Inama (f) |
Daniele Inama (f) |
Fiorentino Inama (f) |
Simone Massenza (f) |
|
Giacomo Inama (f) |
Domenica Salà (M) |
Luigi Inama (f) |
Emilia Inama (f) |
|
|
Gaspare Massenza |
|
|
|
|
casa 19 |
||
N.N. (m) |
Floriano Inama |
|
casa 18 |
casa 19 |
|||
Simone Massenza (f) |
Anna Pilati (m) |
|
Felicita Barbacovi (m) |
Rosa Moratti (m) |
|||
Lucrezia Inama (f) |
|
Gaspare Inama (f) |
Caterina
Giordani (m) |
Germano Emer (f) |
Maria Emer (f) |
||
Giovanni Massenza |
|
Antonio Inama (f) |
|
Irene Emer (f) |
Tullia Emer (f) |
||
N.N. (m) |
|
|
casa 19 |
Fedele Emer (f) |
Ester Emer (f) |
||
|
Basilio Emer (f) |
Fiorina Emer (f) |
|||||
Bartolomeo Cordini? |
|
Margherita Brida (m) |
Margherita Parolini (m) |
Geremia Emer (f) |
Giuseppina Emer (f) |
||
|
Teresa Mendini (f) |
Giovanni Emer (f) |
Maria Emer (f) |
Marino Emer (f) |
|||
Giovanni Inama |
|
Marianna Mendini (f) |
Anna Emer (f) |
Rosa Emer (f) |
Arcangelo Emer (fr) |
||
|
|
|
Pietro Emer (f) |
|
|
||
|
|
|
Maria Emer (f) |
Teresa Zadra (v) |
|||
|
|
|
|
Alessandro Emer (f) |
Adolfo Emer (f) |
||
|
|
|
|
Affani Emer (f) |
Adelina Emer (f) |
||
|
|
|
|
Celesta Emer (f) |
Severina Emer (f) |
||
|
|
|
|
Celeste Emer (f) |
Alma Emer (f) |
||
|
|
|
|
Giuseppe Emer (f) |
Adelio Emer (f) |
||
|
|
|
|
Arcangelo Emer (f) |
Alice Emer (f) |
||
|
|
|
|
|
Guerrino Emer (f) |
||
|
|
|
|
|
Luigi Emer (f) |
||
|
|
|
|
|
Paolo Emer (f) |
||
|
|
|
|
|
Placido Emer (f) (a) |
||
|
|
|
|
|
|
||
|
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Maria Decampi (m) |
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Natalia Emer (f) |
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Livio Emer (f) |
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Guido Emer (f) |
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Brunone Emer (f) |
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Elma Emer (f) |
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Amelia Emer (f) |
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Egidio Emer (f) (a) |
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Clemente Emer (f) (a) |
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Carmela Emer (f) (a) |
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* Per gli anni 1554, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti, ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D. Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T. |
[1] Questa famiglia discende da Vincenzo fu Michele Zattoni di Tres, abitante a Dermulo almeno dal 1437.
[2] In verità non si può escludere che la casa fosse stata da sempre in mano ai Massenza e che quindi la proprietà Vicenzi fosse da circoscrivere solamente alla casa 17-18.
[3] Il S.r Premissario pro tempore debba avere una congrua abitazione e spese della Comunità, al qual fine viene destinata la casetta posta in detto Dermulo che in addietro serviva per abitazione dell’Eremita di S: Giustina insieme all’orto soggetto ad una perpetua annuale Messa. E siccome questa casetta di presente ritrovasi in cattivo stato, così sarà obbligo della Comunità entro il termine di tre anni prossimi di ripararla, riducendola a buon, ed abitabile stato.
[4] La delibera per tale permuta era stata fatta trent’anni prima, ma per motivi diversi non aveva avuto seguito.
[5] Gli eredi di Vincenzo secondo quanto palesato dal regesto dei documenti presenti nella sacristia della chiesa di Dermulo furono i fratelli Pietro e Bertoldo Cordini. Qui ci scontriamo con un primo problema in quanto non risulta che i due fratelli Cordini, che nel documento sono detti di Dermulo, fossero ancora viventi a quella data. Non trattandosi di un’errata datazione del documento, perchè il notaio rogatario era effettivamente vissuto in quel periodo, rimane solo una possibilità, ovvero una travisata lettura del fatto da parte del regestatore; penso in particolare che forse Bertoldo e Pietro non fossero citati come attori in quel preciso momento, ma ci si riferiva a tempi antecedenti.
[6] In verità la citata asserzione "ossia" in latino "sive" traducibile anche con "o, oppure, o piuttosto" potrebbe anche far pensare che i due confinanti fossero presenti entrambi, e non uno in alternativa dell'altro e quindi concludere che gli eredi Clebespergeri avessero posseduto la casa n. 16. Ma chi erano i Klebelsberger? Non era sicuramente la famiglia d’origine della contessa Leopoldina perchè da quanto accertato portava il cognome von Triembach. Non ho trovato nessuna famiglia con un cognome simile che fosse imparentata con gli Spaur. Invece come si evince dall'inventario di Cristoforo Riccardo Thun di Castelfondo, un tale Johann Rudolph von Klebelsberg risiedeva al castello di Castelfondo, da dove mandava due missive tra il 1664 e il 1667. Non sono in grado di dire se questo personaggio fosse in relazione con i citati eredi. Da una ricerca nella rete è emerso che i Klebelsberg erano conti di Thumburg.
[7] I beni appartenuti alla famiglia Inama di Fondo, sono rimasti sostanzialmente gli stessi fin dall'acquisizione del maso, per cui dalla citazione di Cristoforo, proprietario del prato a Poz, possiamo ragionevolmente affermare che allo stesso appartenessero anche tutti gli altri beni formanti il maso e quindi anche la casa.
Case numero: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29-48
Case Mappa delle case Introduzione Foto della casa n.16 17 18 19 I piani della casa 16-17-18-19