(Oggi Via Strada Romana n. 19 e 21)
P.E. 6, 7
Il questo caseggiato nacquero e abitarono tutti i progenitori degli Inama sparsi nel mondo ed è ancora oggi in parte occupato da persone che portano questo cognome. La casa forse apparteneva già al capostipite Innama figlio di Bonaconta e la troviamo menzionata per la prima volta in una pergamena del 1425, oggi conservata nell'archivio di Castel Bragher. Tale scrittura fu infatti redatta nella casa di Nicolò detto Foza figlio del fu ser Innama. Un'altra testimonianza ci è data da un documento redatto il 15 maggio 1468 a Dermulo proprio nel cortile della casa degli eredi di Inama.[1] Che la casa fosse in possesso della famiglia da tempo immemorabile è comprovato anche dal fatto che nel Seicento era già contraddistinta come domus vetera dell’Inami. Per prima fu sicuramente costruita la futura casa n. 27 alla quale in un secondo momento fu accostata sul lato nord la futura casa n. 26. Tutto il complesso era caratterizzato da almeno quattro archi prospicienti l'antica strada, caratteristica che fu immortalata in un disegno di fine Ottocento realizzato da Hanns Inama-Sternegg e qui riprodotto. Si può notare come a quel tempo esistessero due archi, uno a nord e l'altro a sud, oggi non più presenti. Fino a non molti anni fa, prima della ristrutturazione, era possibile riscontrare sulla vicina casa 31-32 una chiara traccia della presenza dell'arco meridionale. Tale casa era nata sicuramente con funzioni di rustico e stalla a servizio della casa n. 27 come la si ritrova nelle descrizioni di inizio Ottocento, per cui nonostante la numerazione progressiva potesse far pensare ad una sua relativa modernità, è invece da ritenersi molto più antica. L'arco verso nord nei pressi del crocifisso della Crosara fu probabilmente demolito in occasione della trasformazione del vecchio fienile ivi presente a casa di abitazione da parte della famiglia Zanon. I due archi contigui di accesso ai somassi sono stati fortunatamente preservati durante le varie ristrutturazioni. Il più interessante risulta essere l'arco della casa n. 27 sulla cui chiave si leggono la data 1628 e le iniziali V. I., ovvero Vittore Inama (+1641) il probabile committente dell'opera che immaginiamo fosse stata eseguita in occasione di un'importante ristrutturazione della casa stessa.[2]
Una pergamena del 1542 redatta dal notaio Vittore I Inama inerente la compravendita di una parte di questa casa fra Michele Inama abitante a Coredo e Gregorio Inama di Dermulo, ci fornisce alcune importanti notizie. La casa oggetto della vendita era una porzione della futura casa n. 27, localizzata "via quelli di Inami soto via" e così descritta: cantina, stalla e altri locali in essa esistenti. Come accennato la descrizione dei confini ci permette di individuare bene la casa e di constatare che in quell'anno era suddivisa in almeno tre porzioni, (come risultava anche dal catasto fino a pochi anni fa) appartenenti a Michele Inama la parte a nord, al notaio Vittore Inama la parte ovest, e agli eredi di Giovanni Inama "del Rigollo" la parte sud. Inoltre apprendiamo che la futura casa n. 26 era in quell'anno abitata da Antonio Inama fratello del notaio Vittore. Queste informazioni, constatando che l'ascendente comune di tutti i personaggi risulta essere Gregorio (Rigòlo) figlio di Inama, ci possono far supporre che quest'ultimo avesse ereditato dal padre tutto il caseggiato. Agli altri fratelli Gaspare, Antonio e Giovanni, il padre Inama aveva lasciato il caseggiato sopra la via, comprendente la casa n. 2-3, la casa n.4 e la casa n. 1. In questa parte del paese quindi si era creato un piccolo distretto in mano agli Inama tanto da essere denominato contrada degli Inama. Alle predette case sul finire del Cinquecento si aggiunse nelle disponibilità della famiglia anche la casa n. 7-8.
Ritornando alla nostra casa, dopo il 1542 non abbiamo più
notizie dirette ma sappiamo che i discendenti di Gregorio fu Vigilio avevano
lasciato Dermulo poco tempo dopo e si erano stabiliti a Fondo, mentre gli eredi
di Giovanni fu Vigilio erano già all'epoca della compravendita residenti a Fondo
e a Ronzone.[3]
Quindi è plausibile che queste parti di casa siano
state acquisite dal trisavolo di Silvestro II Inama, ovvero il notaio Vittore
I Inama.
Silvestro II è la persona alla quale possiamo attribuire documenti alla
mano tutta la proprietà della futura casa n. 27. Ma non solo, nel 1681, anno
della sua morte, risultava possedere anche la futura casa n. 26 e la quasi
totalità della futura
casa
n. 2-3 sopra la Crosara. Quindi
Silvestro II era
tenutario di un ingente patrimonio immobiliare alla cui costruzione avevano
sicuramente contribuito anche il padre Vittore II e il nonno Silvestro I. Per la
casa n. 26 possiamo fare un discorso più approfondito in quanto è possibile
tracciare i vari passaggi dei suoi vecchi proprietari fino all'acquisizione
attribuibile a
Silvestro II.
Come sopra accennato nel 1542 la futura casa n. 26 era in mano ad Antonio II
Inama fratello di Vittore
I.
Sul somasso della casa di ser Giovanni Inama di Dermulo, presente lo
stesso Giovanni che era figlio del precedentemente citato Antonio II, nel 1571 fu redatto un atto
dal notaio Ferdinando Barbacovi. All'inizio del Seicento troviamo possessore e
occupante della casa Francesco figlio di ser Giovanni, la cui figlia
Margherita,
sposava appena tredicenne Giorgio Rizzardi di Coredo. Il figlio degli accennati
coniugi di nome Francesco ereditò dalla madre la casa n. 26 che sarà poi
acquisita da
Silvestro Inama II. Nel 1680 con il consenso del padre
Silvestro II
i suoi figli
Vittore III e Giacomo II suddivisero il patrimonio,
per cui la casa n. 26 passò nelle disponibilità del fratello maggiore Vittore III
che già vi abitava con la sua famiglia.
Vittore III disporrà nel suo
testamento del 1689 che la casa dovesse toccare al figlio
Vittore futuro prete dove "...potrà, se vuole, abitare con la madre Anna Maria
usufruttuaria o in alternativa costruirsi una stua".
Successivamente però con un codicillo redatto nel 1690,
annullava in parte il suo precedente testamento e stabiliva che i figli dopo la
sua morte dovessero rimanere in comunione dei beni. Nel 1695 i figli di
Vittore III divisero le case paterne a sorte,
e la futura n. 26 pervenne a
Giovanni Giacomo I. Al giovane fratello Vittore toccò una parte della casa
"sopra la Crosara" così come all'altro fratello Ottavio.
Giovanni Giacomo I nel 1694 si era già trasferito a Taio nel maso di Castel
Bragher in qualità di colono dove rimase fino al 1705 per cui nella casa visse il
fratello
Ottavio fino a prima del
suo matrimonio e l'anziana madre Anna Maria fino alla morte.
Giovanni Giacomo I
ritornato a Dermulo dopo il 1705, visse fino alla fine dei suoi giorni nella
futura casa n. 26, mentre il figlio
Giovanni Giacomo II
intorno al 1746 ritornò sulle orme paterne al maso di Castel Bragher
dove morì nel 1776. Dietro di se lasciò solo un figlio maschio di nome
Giovanni Francesco che
poco dopo la morte del padre
abbandonò il maso e ritornò in paese come proprietario non solo della casa
paterna n. 26 ma anche, come vedremo più sotto, della futura n. 27.
Nel periodo in cui
Giovanni Giacomo II
visse a Taio i terreni a Dermulo furono affittati a
Silvestro Endrizzi e ad
Andrea Endrizzi, per cui non si può escludere che gli stessi avessero abitato nella
casa n. 26.
Il sopraccennato documento divisorio del 1680 purtroppo non è
completo in quanto non cita
direttamente la parte di beni
pertinente al fratello
Giacomo, fra i quali avrebbe dovuto figurare la futura casa n. 27 abitata dal padre Silvestro II. Presumo
che Silvestro II si fosse riservato questa casa dove abitava
con la moglie Barbara Bonadiman ma comunque avesse disposto che doveva rientrare
nelle disponibilità del figlio Giacomo II. Dopo la morte del padre,
Giacomo II abitò nella casa avita n. 27 dove,
almeno fino a circa il 1730, visse pure il figlio Silvestro III prima di
trasferirsi a Taio. La casa di Dermulo quindi rimase
a lungo disabitata e alla morte di Silvestro III passò in eredità al figlio Giacomo Antonio
che dimorò esclusivamente a Taio. Giacomo Antonio non ebbe discendenti e nel suo
testamento del 1776 dispose che la sua casa natale a Dermulo dovesse toccare a
Giovanni Francesco figlio di
Giovanni Giacomo II detto
Rodaro. Poco
prima del 1780 Giovanni Francesco si ritrovò in breve tempo fra le mani un ingente patrimonio ereditato
principalmente dal padre
Giovanni Giacomo II e ma
in parte anche da Giacomo Antonio e
per tale motivo abbandonò il maso di Castel Bragher
e fece ritorno a Dermulo. Qui entrò in possesso della grande casa
n. 26-27 accreditata, come anche risulta dal catasto teresiano, di una superficie di 133 Pertiche.
Giovanni Francesco visse con la moglie Francesca Joris e la numerosa figliolanza
nella casa n. 27 e precisamente nella parte che nel catasto è segnata come "porzione
1", ovvero l'appartamento che negli anni Settanta del Novecento sarà occupato da
Mario Endrizzi.
LA CASA N.27
PRIMA PORZIONE ad Antonio: (futura porzione catastale 3
nella casa 27)
"....corte discoperta subito entro della porta fino alli segni fatti, con la
metà della stalla e stabbio sopraposto a mezzodì della corte medema fino alle
croci con la seconda porzione e con l’obbligo di dare il passo a quella e alla
terza per la porta e andare alle loro corti, stalle e caneve e scala per andar
al secondo piano che sarà comune a tutte e tre, averà la caneva presso la strada
e il suo terzo di portico avanti detta caneva. Nel secondo piano il passo per la
saletta, terza parte di somasso, ponte, scala che porta al terzo piano dove averà la camera sopra la stua con altra camera sopra la cucina della terza parte
e l'andito sopra la saletta inferiore, terzo dell' andito sopra il somasso salvo
i necessari passi per le camere, le scale, le stradughe sopra le annunciate
camere fino alle croci. Stimata lire 715:15".
Sicuramente fino al 1821 come risulta
da un documento ipotecario, Antonio
abitò e possedette la parte di casa appena descritta. Poi però nel 1822 per un debito di 450 Fiorini che aveva con suo fratello
Giovanni,
gli cedeva la sua parte di casa e si trasferiva nella casa
n. 5. La descrizione della casa in questo
caso non era molto dissimile da quella del 1811 essendo costituita: al piano terra da una stalla e una parte di
cortile, la porzione di portico in comunione con i fratelli
Giacomo e
Baldassarre,
la cantina contigua; al primo piano il somasso in comune con i due fratelli
Giacomo e
Baldassarre, la terza parte dell'aia sopra il somasso; al secondo piano
stufa, camera e cucina contigua fino all'aria.
Giovanni che già
nel 1810 si era trasferito a Taio nel maso di Castel Bragher oltre alla sopra
citata porzione acquistata dal fratello
Antonio, possedeva anche la porzione di casa assegnatale dal padre
Giovanni Francesco nella casa n. 26. Alla morte di
Giovanni nel 1832, le due porzioni di casa vengono ereditate dai suoi figli,
ma alla suddivisione reale si arriverà solo nel 1851, quando
per estrazione a sorte la porzione di casa n. 27 fu aggiudicata ai tre fratelli
Francesco,
Domenico e
Nicolò, figli del fu
Giovanni Inama. Nicolò aveva in
precedenza acquisito la parte del fratello
Pietro. Nel 1870 i suddetti fratelli Inama di Taio venderanno la loro porzione per il prezzo di 252 Fiorini Austriaci
a Giuseppe Endrizzi, il quale vivrà
nella casa con la moglie Romana Inama. Nel 1922 la casa passò in eredità ai tre
figli
Luigi, Germano e Giuseppe. Gli ultimi due fratelli nel 1941 cederanno la
loro quota a
Luigi
il cui figlio Gabriele entrerà in possesso della casa nel
1954. Nel 1968 verrà poi acquisita dalla nipote Celestina Endrizzi e nel 1978 da
Lia Inama.
Dei quattro figli di Baldassarre dopo il matrimonio abiterà la casa in modo definitivo solo Giuseppe. Pietro poi detto Guslòt occuperà una porzione con la sua famiglia per poco tempo dopo il matrimonio, per poi trasferirsi nella casa n. 20-21 della moglie Teresa Mendini. Baldassarre il giovane, vivrà nella casa n. 5. Giuseppe morirà nel 1898 lasciando la casa come prelegato al primogenito Geremia. In quel frangente si dice che la casa era così composta: al piano terra, cantina e portico; al primo piano, cucina, stufa e saletto; al secondo piano, una camera con antana e coperto. Questi possedeva anche la metà del rustico oggi abitazione di Aldo Sandri che allora figurava come stabbio numerato con il 31 confinante a est con la strada, a sud e a ovest con gli eredi di Filippo Inama e a nord con l'altra metà del rustico proprietà di Giuseppe Endrizzi.[4] Vittoria figlia unica di Geremia Inama sposerà Emanuele Sandri di Tuenno che lascerà il proprio paese per trasferirsi a Dermulo nella casa n. 27. Nel 1954 Ottavio Sandri figlio del fu Emanuele entrerà in possesso della casa che nel 1973 sarà acquisita dai coniugi Mario Endrizzi e Lidia Inama.
".....
Qui sotto sono rappresentati schematicamente i tre piani e il sottotetto della casa n. 27 così come risultanti al catasto. I numeri contraddistinguono le proprietà delle relative porzioni. Il nord si trova nella parte superiore del disegno.
Nel 1900 la casa n. 27 era abitata dalle famiglie di Giacomo Inama, Giuseppe Endrizzi e Geremia Inama, e fra i tre erano sorte delle divergenze in merito ai confini di portico, somasso ed ara. Per dirimere la questione il 10 marzo del 1900 furono nominati degli arbitri nella persona del geometra Giovanni Brugnara di Cles, che aveva redatto anche dei disegni esplicativi, e dell'allora Capocomune di Dermulo Germano Emer, ma per l'improvvisa morte del Brugnara non si riuscì ad esprimere nessun parere. Quindi il 13 ottobre del 1900 fu nominato arbitro Federico Tabarelli di Tassullo che assieme a Germano Emer, dopo aver visto i disegni, sentito le parti e effettuato sopralluogo, redasse un compromesso. Il 31 ottobre 1901 si stese un ulteriore accordo divisionale tenendo conto del giudizio espresso l'anno precedente fra Luigi Endrizzi, in rappresentanza del padre Giuseppe, Geremia Inama e Giacomo Inama nel quale furono stabilite le seguenti condizioni: il portico della casa n. 27 era proprietà per 1/3 verso la strada di Giuseppe Endrizzi, 1/3 al centro di Geremia Inama e 1/3 più a sera di Giacomo Inama come evidenziato nel disegno. Questa divisione riguardava solo il portico interno perché fuori dalla muraglia maestra laterale della casa, la proprietà era esclusivamente di Giacomo Inama. Le porzioni di portico erano libere da servitù attive e passive, avendo ogni porzione l’entrata dal cortile di Giacomo Inama, entrando sotto le due arcate. Sulla linea divisoria fra Giuseppe Endrizzi e Geremia Inama, le parti avrebbero dovuto erigere un muro divisorio a cantinella a spese comuni. Essendo il somasso indivisibile si stabilì che avrebbe dovuto rimanere sgombero per almeno un metro verso sera dal portone, pertanto i carri che avessero occupato il somasso, avrebbero dovuto rispettare almeno un metro per il passaggio a piedi. L’entrata e l’uscita dal somasso avveniva per il portone a mattina e per la scala e corridoio a mezzodì. La scala e il corridoio a mezzodì che mettevano dal portico al somasso, erano proprietà di Geremia Inama, ma con il diritto di passo di Giacomo Inama e Giuseppe Endrizzi. Il somasso doveva servire a tutti gli scopi che l’economia agricola richiedeva e in particolare per introdurre messi, trebbiarle e vagliarle ad uso delle tre parti. Quindi alle epoche di tali lavori il somasso avrebbe dovuto rimanere sgombro da tutte le altre cose. Il lavoro non avrebbe potuto impedire a nessuna delle parti il passaggio a pedone per raggiungere i loro quartieri e la scala che metteva al secondo piano. Ogni condividente avrebbe potuto usufruire del somasso, e si stabilì che ogni fermata del carro non potesse superare le 6 ore se di giorno e le 12 se di notte, e in quest’ultimo caso, l’occupante avrebbe dovuto mantenere il lume nelle ore notturne. Se fossero stati due gli introducenti in contemporanea, il primo avrebbe procurato il posto al secondo e avrebbe avuto il diritto per primo allo scarico e poi sarebbe toccato subito al secondo. Le altre operazioni di sfogliare il grano, trebbiare e vagliare sarebbero potute continuare per 36 ore, avvisando le altre parti, almeno un giorno prima per potersi organizzare e sgombrare eventuali materiali sul somasso. In caso di morte di qualcuno delle tre famiglie, il cadavere si poteva esporre sul somasso in luogo non necessario al passo. Nel somasso non si sarebbero potuti introdurre altri materiali. Era proibito permettere l’uso del somasso ad estranei. La scala che dal somasso porta all’aia era consortile così come il pianerottolo di fronte all’accesso del quartiere di Giuseppe Endrizzi. All’infuori degli usi agricoli visti sopra, ogni condividente aveva a disposizioni i seguenti spazi per depositare altro materiale: Giuseppe Endrizzi il suolo aderente alla parete di settentrione (lettera A nel disegno), Geremia Inama il suolo lungo la parete a mezzodì, dal corridoio all’uscio della sua abitazione. (lettera B nel disegno) Giacomo Inama il suolo aderente alla parete di sera (lettera C nel disegno). Il mulino a mano che era di uso comune doveva collocarsi come in passato presso la muraglia del somasso a mattina. L’aia veniva divisa in tre parti in direzione settentrione-mezzodì. La porzione a mattina era assegnata a Geremia Inama, quella a sera a Giuseppe Endrizzi e quella al centro a Giacomo Inama. A scopo di ripostiglio era destinato uno spazio a ridosso della parete di settentrione della larghezza di 1,60 metri, in modo che ogni parte potesse avere il proprio ripostiglio separato. Ogni porzione avrebbe avuto la larghezza di quasi 3 metri del lato a nord, e 3,10 m il lato a est. Lungo il lato di mattina per la larghezza di 1 metro l’aia doveva rimanere sgombra perché destinata a passaggio comune. Geremia Inama per far passare le fruggi sul somasso, si sarebbe servito del piccolo bocchiere presente nella sua porzione. Il bocchiere preesistente nella porzione di Giacomo Inama sarebbe stato chiuso e ne sarebbe aperto un altro sulla linea divisoria fra Giacomo Inama e Giuseppe Endrizzi, che avrebbe dovuto avere le seguenti misure: 90 cm di larghezza, la lunghezza dipende dalla distanza dei travi. Riguardo al bocchiere (bocèr: botola per far passare il fieno dall'ara al somasso e viceversa), nel 1878 ci fu una dura disputa riguardo il suo uso, in quanto Filippo Inama ne pretendeva l'uso esclusivo, cosa non accettata da Giuseppe Inama e Giuseppe Endrizzi. La questione andò avanti per molto tempo a suon di perizie e testimoni ma dell'esito non sono a conoscenza. Il tratto di pavimento fra il ripostiglio e il corridoio comune doveva rimanere sgombro in modo che dalla finestra a mattina potesse entrare sempre la luce. Tale finestra poteva essere utilizzata per introdurre da parte dei condividenti il materiale necessario in caso di fabbrica o restauro. Questa finestra si era detto nel 1900 che sarebbe stata chiusa e che ne sarebbe stata aperta un'altra verso sud, utilizzando le pietre della prima. Evidentemente ci fu un ripensamento perchè tale finestra è tuttora esistente. Il pavimento dell’aia doveva essere mantenuto in comune per lo stesso motivo per cui non fu possibile dividere il somasso. Come in passato per accedere dall’aia ai relativi spleuzali le parti avrebbero fatto uso di scale o altri dispositivi mobili.
Mappa della suddivisione dell'ara
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Mappa della suddivisione del somasso
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Mappa della suddivisione del portico
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Giacomo Inama concordava a
Giuseppe Endrizzi il passo per asportare le feci, dallo sterquilinio posto a
sera della casa, ogni due anni e solo nei mesi di novembre e dicembre, fino
all’avvenuto spurgo con barella a ruota, attraverso il suo cortile. Però
all’altezza del suo stabile debba in questo entrare. Questo però fino che
Giacomo non avesse eretto nel cortile un edificio, poi l’accordo sarebbe
cessato. Per questo
aggravio
Giacomo Inama riceveva da
Giuseppe Endrizzi 20 Corone.
Geremia Inama concordava come sopra il passo a
Giuseppe Endrizzi per il passaggio sul suo terreno. Si specificava che in
quanto questo atto non ne comportava modifiche, restavano in vigore i due documenti
del 8 ottobre 1811 e 4 giugno 1823.
Nel 1943 la casa 27 apparteneva agli eredi di
Geremia Inama, Germano Kaisermann e
Luigi Endrizzi.
LA CASA N.26
PORZIONE I
"Una stalla e precisamente detta la scura col diritto di aprire una finestra
della larghezza di piedi 2 e altezza di piedi 1 e mezzo nel muro, che questa è
divisa da quella assegnata alla porzione III e tale finestra potrà essere
collocata ove più otterà lume. Questa porzione per mettersi in detta stalla avrà
il passo sulla porzione di corte assegnata alla porzione III indi per il portico
fra questa e la III alla quale serve pure di passaggio, per cui esso portico
deve essere sempre sgombro. Valutata f. 30 La metà della corte e precisamente
quella posta a mattina coll’aggravio dei passi sempre praticati Valutata f.20 Il
volto sottoposto alla stufa valutato f.70. Per andare in esso volto questa
porzione si dovrà costruire un corridoio, subito entrato dal somasso, nel
saletto, il qual corridoio dovrà essere della larghezza compresa la cantinellata
di quarte 5 e mezzo la qual misura di sito dovrà venir estratto e ceduto dalla
stufa per cui questa di tanto viene spiciolita in tutta la sua lunghezza ed indi
potrà farsi nel muro del volto l’uscio per entrarvi, e volendo potrà anche
costruirsi sull’imboccatura del corridoio altro uscio che non oltrepassi la
larghezza prescritta di quarte 5 e mezza. La quarta parte del somasso indiviso
colla III porzione e con gli eredi di Giovanni Inama. Calcolata f. 15 La metà
dell’ara al secondo piano in comunione con la III porzione la quale deve essere
sempre sgombra a benefizio del passo e ripasso d’ambedue le porzioni. Prezzata
f. 5 Gli straduli verso sera fino all’aria valutati f. 40 per mettersi ai quali
avrà il passo per la scala da costruire da questa porzione, dalla terza e dagli
eredi di Giovanni Inama la di cui spesa tocca metà a questi ultimi ed il
restante un quarto per cadauna, la qual scala sarà collocata ove fu stabilito
clle divisioni fra i fratelli Inama dei 4 giugno 1823. Totale 180 fiorini".
La porzione fu assegnata a sorte a Giacomo Antonio Inama.
"La stalla grande per portarsi in quella avrà l’ingresso pel il portico
enunciato alla seconda porzione, il quale sarà comune per il passo e ripasso e
dovrà essere sempre sgombro, l’uscio d’ingresso a quella dovrà aprirselo subito
finito il muro della stalla della porzione II, ed a sue spese dovrà otturare il
vecchio, ma suo poi sarà la telara e l’uscio attuale. Siccome per collocare
questo uscio necesita nel portico comune eseguire uno scavo di terra e che
questo porta vantaggio ad ambe le porzioni, così sarà effettuato in comune, e
sarà tale che misurando da un cosìdetto remenat ivi esistente, il terreno abbia
da quello una bassezza di quarte 16. Il sedime da erigersi uno stabbio qual
sedino è in comunione cogli eredi di Giovanni Inama. Prezzato F. 2 Metà della
corte e precisamente quella posta verso sera coll’agravio di passo e ripasso a
favore della II porzione per portarsi nella stalla e così pure in vantaggio
degli eredi di Giovanni Inama per recarsi al proprio stabbio. Valutata F. 20 La
stufa col saletto fino ai due usco cioè uno della cucina della I porzione e
l’altro del corridore della II porzione, ma per altro con diritto di passo e
ripasso anche lungo questi usci per andare al somasso comune e se questa
porzione volesse rinchiudere il saletto con uscio li possa fare, La qual stufa e
saletto fu valutato f. 55. La quarta parte del somasso in comune colla II
porzione e con gli eredi di Giovanni Inama. Calcolata f. 15 La metà dell’ara al
secondo piano in comune con la II porzione la quale deve essere sempre sgombra
per passo e ripasso d’ambedue le porzioni. Prezzata f. 5 Gli straduli dalla
sottocolm, così detta, alla col fino all’aria cogli accessi e passi sempre
praticati valutati F. 20 Complessivamente la porzione è valutata 172 Fiorini.
La porzione fu assegnata a sorte a Baldassarre Inama.
Si prese atto da parte degli intervenuti che la casa era
stata divisa nel miglior modo possibile e con l'occasione si definirono alcune
altre cose che non avevano avuto seguito nei precedenti accordi del 1823, quale
per esempio
A questa parte di casa toccata a
Giovanni nelle divisioni paterne si era
aggiunta anche la piccola porzione (2/6) acquisita dai figli del fu Giovanni in
eredità dallo zio Pietro, ovvero la seguente:
PORZIONE I "Una caneva posta nella casa degli eredi di Valentino Inama cui 1
2 3 4 gli stessi eredi. Valutata F. 65 La cucina che confina 1 la strada, 2
somasso, 3 saletto, 4 corte. A detta cucina spetta il diritto di passo e ripasso
a pedone per il somasso e subito entrato nel saletto si dovrà costruire l’uscio
per entrare nella cucina e dovrà otturare l’ora esistente restando di sua
proprietà sia il battente che il solaio cogli accessori, esso uscio non potrà
aver maggior larghezza di quarte 5 e mezzo, questa porzione avrà diritto di
andare al solaio per recarsi allo sterquilinio. Valutata f. 45 In tutto F. 110" .
Nel 1851 al momento di dividere fra gli eredi del fu
Giovanni le entità presenti nella casa 26,
le due parti furono
riconsiderate cercando di rispettare una certa equità di valore. Per tale motivo
la porzione I qui sopra riportata fu arricchita di alcuni locali a discapito
della quinta porzione ottenuta nel 1811. La sorte stabilì che le due porzioni
contenute nella casa n. 26 dovessero appartenere a
Luigi e a
Vigilio,
rispettivamente figlio del fu
Giovanni e
figlio del fu Giovanni fu
Giovanni.
In particolare a Vigilio toccò: la metà del cortile, la metà della stalla
verso mattina, la cantina aderente alla stalla. Al primo piano la cucina,
e la quarta parte del somasso. Al secondo piano: la camera sopra la predetta
cucina e la metà di una camera di legno. Le soffitta e coperto e il diritto di
utilizzo di un quarto dell'ara. Non risulta che
Vigilio avesse abitato la
casa; intorno al 1860 si trovava a Nogarè nei pressi di Pergine e probabilmente
in seguito emigrò in America. Vigilio non era comunque presente al momento
della suddetta divisione per cui fu rappresentato dallo zio
Antonio. Nella casa di
Vigilio invece abitò dal 1846 al 1855 sua madre Domenica Brida "confinata" dai
suoi parenti di Taio, perchè pazza. La porzione di
casa pervenne più tardi al cugino
Giuseppe Inama figlio di
Antonio.
A Luigi toccò: la metà del cortile verso settentrione, la cantina nella
casa n. 2, la metà della stalla verso ovest, il diritto di costruirsi uno
stabbio assieme agli eredi di Pietro
Inama. Al primo piano: la quarta parte del somasso e un andito per costruire una camera. Al secondo piano: una camera posta
verso sera, la metà di una camera di legno, soffitta e coperto sopra la predetta
camera e il diritto di utilizzo di un quarto dell'ara. Anche
Luigi come
Vigilio
non era presente alla sopra descritta suddivisione, si dice che mancava di casa
da più di dieci mesi e quindi era rappresentato da
Lorenzo fu Valentino Inama.
Luigi a differenza di
Vigilio aveva però moglie e figli che abitavano a Dermulo,
plausibilmente in questa porzione di casa n. 26. In pochi anni però passarono
tutti a miglior vita tranne Angela, che andrà in moglie a
Giuseppe Endrizzi.
Sugli sviluppi immediatamente successivi non ho trovato documenti, ma già intorno
nel 1865 (vedi l'elenco case assicurate per l'incendio) troviamo abitare nella casa
Giuseppe figlio maggiore di
Antonio Inama.
Giuseppe
detto
Bomba probabilmente sarà colui che acquisirà tutte le varie quote di casa
n. 26 dagli eredi
dello zio Giacomo Antonio, dello zio
Baldassarre, e dagli eredi dei cugini
Luigi e
Vigilio,
divenendone così l'unico proprietario. Considerando che poco dopo
la metà dell'Ottocento nella parte nord della casa n.5, dove in precedenza
viveva
Giuseppe,
troviamo abitare Baldassarre il figlio più giovane di
Baldassarre, si potrebbe
ipotizzare che fosse avvenuta una permuta fra i due. Tale permuta
potrebbe aver interessato la metà della casa che fu di Pietro e che era toccata
al padre Baldassarre, oppure la casa n. 26 nella sua interezza, magari aggregata
precedentemente da Baldassarre il giovane. Un indizio di questa avvenuta
aggregazione potrebbe essere la citazione nel 1880 di
Baldassarre junior come confinante a nord
alla casa n. 27. Nel 1905
Giuseppe Inama detto
Bomba
assegnava a Ferdinando ed
Angelo, rispettivamente figlio
maggiore e figlio minore, l'intera casa ed alcuni terreni per il motivo disse, di
essere sempre stato da loro accudito.
Oggi la casa n. 26 è proprietà degli
eredi di Aldo Inama figlio di
Angelo.
PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA * | |||||||
futura casa 26 |
futura casa 26 |
futura casa 26 |
futura casa 26 |
futura casa 26 |
casa 26 |
casa 26 |
casa 26 |
Antonio Inama |
Francesco Inama |
disabitata ? |
disabitata |
||||
N.N. (m) |
Maddalena N. (m) |
|
Domenica Endrizzi(m) |
|
Marianna Sicher (m) |
Leopolda Zucal (m) |
Rachele Eccher (m) |
|
Margherita Inama (f) |
|
|
|
Ferdinando Inama (f) |
Maria Inama (f) |
|
|
Maddalena Inama (f) |
disabitata ? |
Silvestro Inama (f) |
casa 27 |
Modesto Inama (f) |
Felice Inama (f) |
|
|
|
|
Gio. Paolo Inama (f) |
Francesca Jori (m) |
Romedio Inama (f) |
Lorenzo Inama (f) |
|
Salvatore Inama |
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Anna Maria Inama (f) |
Pietro Inama (f) |
Caterina Vit (m) |
Candido Inama (f) |
Paolina Inama (f) |
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Giacoma Martini (M) |
Vittore Inama |
Barbara Inama (f) |
Giacomo A. Inama (f) |
Maria Inama (f) |
Angelo Inama (f) |
Emilio Inama (f) (a) |
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Maria Fuganti (m) |
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Pietro Inama (f) |
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Marina Inama (f) (a) |
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Silvestro Inama (f) |
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Giuseppe Inama (f) |
casa
27 |
Guido Inama (f) (a) |
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Marina Inama (f) |
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Giacomo Inama (f) (a) |
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Vigilio Inama |
Maria Inama (f) |
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Giovanni Inama (f) |
Brigida Inama (m) |
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N.N. (m) |
Caterina Inama (f) |
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Margherita De Panizza (m) |
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Francesca Inama (f) |
Geremia Inama (f) |
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Caterina
Inama (f) |
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Virginia Inama (f) |
Maria Tamè (m) |
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Gregorio Inama |
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Giovanna
Inama (f) |
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Caterina Inama (f) |
Adelfina Inama (f) |
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N.N. (m) |
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Giacomo
Antonio Inama (f) |
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Maddalena Pedrotti (m) |
Clemente Inama (f) |
Anselmo Inama (f) |
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Vigilio Inama (f) |
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Barbara
Inama (f) |
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Filippo Inama (f) |
Maria Inama (f) |
Germano Inama (f) |
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Margherita Inama (f) |
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Teresa Inama (f) |
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Pietro
Inama (f) |
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Francesca Inama (f) |
Augusta Eccher (v) |
casa 27 |
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Silvestro
Inama (f) |
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Luigia Inama (f) |
Sofia Inama (f) |
Emanuele Sandri |
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N. Inama |
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Bartolomeo Inama (f) |
Giacomo Inama (f) |
Vittoria Inama (m) |
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Caterina Inama (f) |
Maria Inama (f) |
Ilda Sandri (f) |
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Fortunata Inama (f) |
Maria Sandri (f) |
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Onorina Sandri (f) |
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Eleonora Sandri (f) |
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Valeria Sandri (f) |
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Luigi Endrizzi (f) |
Anna Sandri (f) |
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Geremia Inama (s) |
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Germano Endrizzi (f) |
Emilia Inama (s) |
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Romana Formolo (s) |
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Maria Depaoli (m) |
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Rosina Inama (f) |
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Ida Inama (f) |
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Giuseppina Inama (f) |
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Pia Inama (f) |
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Anna Inama (f) |
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Maria Inama (f) |
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Emma Inama (f) |
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Narcisa Inama (f) (a) |
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Rosalia Mendini (m) |
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Maria Endrizzi (f) |
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Agnese Endrizzi (f) |
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Lorenzo Endrizzi (f) |
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Paolina Endrizzi (f) |
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Irma Endrizzi (f) |
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* Per gli anni 1554, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D. Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T. |
[1]
Il regesto della prima pergamena è riportato a pag. 71 del libro "Geschichte alles
Familien Inama" il cui autore l'ha ripreso da pag. 7 del libro "Coredo
nell'Anaunia" di don Edoardo Endrici. Il secondo documento è riportato come
regesto a pag. 73
dello stesso libro dell'Inama-Sternegg.
[2]
L’Inama
Sternegg a pag. 203 di “Geschichte aller Familien Inama” scrive che sul portale
che immetteva nel cortile compariva la data 1627. Questo arco, visibile in un
disegno del 1900, fra la casa 27 e la 32 è stato purtroppo abbattuto.
[3] Nel 1545 sulla via presso la casa degli eredi del fu Giovanni fu Vigilio veniva steso un atto di compravendita oggi conservato nell'archivio
Inama di Coredo. Possiamo immaginare che il notaio si fosse posizionato in
prossimità dell'arco verso sud, dove appunto la casa apparteneva agli eredi del
fu Giovanni Inama.
[4]
Da queste descrizioni ricaviamo alcune notizie importanti. Vengono per la
prima volta descritte una stalla e uno stabbio che però non si trovano nella casa 27, ma bensì nella vicina casa n. 32. Quest'ultima
costruzione era stata edificata probabilmente da svariati anni ma essendo
destinata a fienile e rustico non fu mai considerata abitazione. La numerazione
data tardivamente con il numero 31-32 poteva invece far pensare ad una
costruzione relativamente recente.
[5] Pietro figlio di Giovanni Francesco è stato confuso dall’Inama-Sternegg con un altro Pietro Inama fu Giovanni del ramo Fogia, al quale lo stesso autore attribuisce il matrimonio con Marianna Sicher. In ogni caso i due Pietro non ebbero discendenza.
Case numero: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29-48
Case Mappa delle case Introduzione Foto della casa n. 26-27