LA
CASA N°22 - c. vecchia dei Mendini - c. dei Mendini di sotto
- c. presso la chiesa
(Oggi Via Strada
Romana n. 25) P.E. 30, 31
DESCRIZIONE
La prima menzione in assoluto della casa risale al 1588, quando in un documento di accordo per il pagamento di un debito fra gli eredi di Romedio Barbacovi e i fratelli Ciurletti di Trento, detta casa, in parte posseduta dai Barbacovi e confinante con la via pubblica, ser Pietro Inama di Fondo, Matteo Pret e Antonio Mendini, fu oggetto assieme ad alcuni terreni di assicurazione di un censo.
La casa si presentava già in antico formata da tre unità abitative, una posta a nord di maggior superficie (porzione 1) e due a sud, (porzioni 2 e 3) di dimensioni inferiori. Queste ultime in certi periodi risultano assoggettate ad un unico proprietario. Alla prima apparteneva il broilo adiacente alla casa, oggi trasformato in piazzale e riconoscibile nella P.E. 31, mentre le altre confinavano con il cimitero della chiesa di San Giacomo per mezzo della cort. Alla cort si accedeva dalla via pubblica (via Strada Romana) passando attraverso un arco oggi sostituito da una porta quadrata in cemento.[1] Il piccolo prato e bosco circondante il cimitero apparteneva in passato alla chiesa di Dermulo e solamente alla fine del Settecento, dopo essere stato locato perpetuamente a Francesco Mendini, fu da questi acquisito pagando la somma di affrancamento e divenendo quindi pertinente alla casa.
Della casa fino all'Ottocento ci sono sempre giunte descrizioni frammentarie, nel 1646 sono citate una cantina e un stalla che erano localizzate rispettivamente nella parte sud-est e centrale. Nel 1683 appare un altro locale terreno pure localizzato a sud che all'epoca si presentava diroccato; il medesimo locale è citato nel 1718; l'anno seguente si menziona un altro avvolto. Nel 1763 abbiamo la descrizione della parte sud-est, i cui confini erano: il cimitero, la strada comune, Floriano Inama e Francesco Mendini, che si diceva essere in parte in rovina e che comprendeva al piano terra una stalla e uno stabbio e loro anditi, al piano superiore il somasso, una cucina, e una saletta e sopra le stradughe e il tetto. Nel 1785 è data la seguente descrizione: "a basso un pezzetto di portico aderente alla caneva, fino alla metà dell’arco verso sera salvo il passo per la caneva maggiore, un revoltello aderente a detto portico, caneva verso mattina. In alto una cucina a rivolto con suo focolare, secchiaro, due finestre e una ferriata". Nel 1787 altra descrizione: "una porzione di casa presso la chiesa, incorporata con la propria, consistente in alto una cucina a revolto, una camera a soffitta con anditi sopra e coperto fino all’aria, a basso in una staletta....". Nel 1854 i fratelli Giovanni Battista e Francesco Mendini divisero la casa ereditata dal padre Pietro e in questa occasione abbiamo la descrizione completa (vedi più sotto). Infine una presentazione molto dettagliata è risultata essere quella riscontrabile nel catasto di inizio Novecento, tramite il quale è stato possibile ottenere un quadro completo su tutti i locali componenti la casa. Le unità abitative erano minimali e comunque permettevano di accogliere nella casa tre famiglie. L’entrata per tutti gli “appartamenti” avveniva dal lato nord, dove attraverso il pont, si entrava nel somasso comune. Da qui sul medesimo piano si accedeva ai due/tre locali pertinenti ad ogni abitazione. La situazione descritta ai primo del Novecento potrebbe essere sovrapposta senza grossi cambiamenti a quella dei secoli precedenti. Di seguito la descrizione delle tre porzioni come desunta dal catasto.
PORZIONE 1
A Pianoterra un portico, stalla e cantina a settentrione della casa. A primo
piano una stufa, cucina, salotto e cesso verso settentrione, porzione di antana
con corrispondente copertura verso settentrione.
A pianoterra una stalla, una cantina e portico a mattina –mezzodì della casa
aggravato quest’ultimo del diritto della servitù di passo a piedi e con bestie
sciolte a favore della porzione 3. A primo piano una stufa con una cucina verso
mezzodì mattina, porzione di antana con corrispondente copertura verso
mattina-mezzodì.
A pianoterra una stalla a sera ed una cantina nell’interno e portico verso
mezzodì, a primo piano una stufa, cucina e salotto verso mezzodì-sera; la
porzione di tezzile con corrispondente copertura verso mezzodì-sera, sovrapposta
a questi locali di primo piano.
La scala interna che da pianoterra mette al primo piano, nonché il cesso a
mezzodì ed il salotti di primo piano sono consortili fra le porzioni 2 e 3;
mentre il somasso di primo piano e la scala che da questo mette al sottotetto
sono consortili fra tutte e tre le porzioni.
L’antana della porzione 2 è gravata del diritto di passo a piedi a favore della porzione 3 per la larghezza della scala ora esistente e la muraglia a mezzodì del somasso che divide i locali della porzione 2 è consortile fra le porzioni 1 e 2.
Il sottotetto era diviso in tre porzioni e in corrispondenza del somasso esisteva un’apertura (bocér) di comune proprietà, attraverso il quale veniva fatto passare il fieno che poi era condotto nelle rispettive stalle.
Per molto tempo il numero assegnato alla casa fu il 21, poi dopo il 1880 ricevette il 22 che venne conservato fino alla recente rinumerazione del 1991.
L'ORIGINE
Da una più accurata lettura di vecchi documenti
notarili è emerso, a smentita di una precedente ipotesi, che la casa n. 22, può
fregiarsi del titolo di più antica dimora della
famiglia Mendini a Dermulo.
Molti altri indizi invece mi avevano convinto che tale primato spettasse alla
casa n. 21,
sulla quale campeggia l’arma Mendini
e dove la famiglia dimorò ininterrottamente per cinque secoli. Alla metà del Settecento fu pure appellata “casa vecchia dei Mendini”, ma ciò
nonostante, come detto, la casa di origine fu senza dubbio la n. 22. Il trasferimento
dei Mendini fra le due case avvenne in senso inverso da quello creduto in
precedenza, ovvero dalla casa n. 22 già nel Trecento si trasferì nella
n. 21 Nascimbene,
e nei secoli successivi quando l'incremento dei membri familiari richiese nuovi
spazi, ci fu un ritorno nella casa avita. Questa nuova scoperta ha permesso di
risolvere i dubbi sorti sull’origine della
famiglia Mendini e non solo, ma come vedremo più avanti anche su degli aspetti
non chiari riguardanti la famiglia Barbacovi. Avevo infatti ipotizzato, visto il primo contratto di
locazione risalente ai primi anni del Trecento, che Nascimbene potesse essere
arrivato a Dermulo espressamente per prendere in affitto il maso, confortato
in questo, dalla mancanza di un’antica casa in loro possesso oltre alla
n.
20-21. Invece Nascimbene e probabilmente già il padre Raimondino possedevano e
abitavano la futura casa n. 22 già nel Duecento e, considerando che genealogicamente da Nascimbene II si originarono i
Massenza, si può affermare
che fosse stata pure casa natale di quest'ultimi. A tal proposito abbiamo una conferma
dalla carta di regola di Dermulo datata 1471, dove i vicini chiamati
all’adunanza risultano elencati sorprendentemente non in modo casuale ma
ordinati in sequenza rispetto alla loro casa di abitazione, partendo da nord e
proseguendo verso sud. Ebbene, dopo Vincenzo che occupava il futuro caseggiato
n. 16-17-18-19, appaiono Raimondino fu Gregorio e Francesco fu Nascimbene, per cui
il primo occupava la futura casa n. 20-21 e il secondo la sottostante futura casa
n.
22. E’ probabile che Francesco alla fine del Quattrocento si sia trasferito poi
nella casa 15, staccandosi dal clan originario, per cui i figli Simone e Nascimbene adottarono il cognome matronimico
Massenza,
plausibilmente dal nome della loro
madre.
I Mendini, fino a quel periodo poco diramati, continuarono ad occupare la casa
di Castel Valer ma nei primi anni del Cinquecento, quando l'investito fu Antonio
I, nella casa
n.20-21 non c’era spazio a sufficienza per le famiglie degli altri fratelli Nicolò,
Tommaso
e Giovanni I che quindi migrarono nella casa n. 22. Da evidenze
successive oserei dire che la parte a nord (porzione 1) fu occupata da Nicolò, mentre quella
a sud (porzioni 2 e 3) da Giovanni I e Tommaso.
PORZIONE 1
Di Nicolò Mendini si hanno scarsissime notizie ma ritengo che dalla sua sconosciuta moglie avesse avuto un altrettanto sconosciuta unica figlia, la quale, analizzando vari indizi, dovrebbe aver preso marito nella persona di Romedio Barbacovi di Taio. Questo spiegherebbe il motivo per il quale ser Romedio si era trasferito a Dermulo, e quindi ora è chiaro, dopo molteplici congetture, anche dove avesse dimorato, ovvero nella parte a nord (porzione 1) della futura casa n. 22, proprietà della moglie. Romedio Barbacovi morì intorno al 1585 lasciando dopo di se due figli, Ferdinando e Nicolò. Il primo, notaio molto affermato, esercitò la sua professione a Dermulo per quasi cinquant’anni a partire dal 1559; per lunghi periodi però rimase lontano dal paese, risiedendo a Castel Thun, dove rogava e trascriveva atti per conto dei castellani. Giovanni Giacomo figlio di Ferdinando, anch'egli notaio, dopo aver abitato per poco a Dermulo e qualche anno a Taio, si sposterà definitivamente a Tres. Nicolò l'altro figlio di Romedio, abitò sicuramente nella casa paterna assieme alla sconosciuta moglie e alla figlia Fiore, ma le scarne notizie ufficiali si fermano all’anno 1588. In quell’anno infatti, assieme al fratello Ferdinando, è chiamato ad onorare un prestito contratto dal defunto padre Romedio con la famiglia Ciurletti di Trento, per il quale era stata posta come assicurazione, oltre ad alcuni terreni, anche la casa di abitazione. Di Nicolò e di eventuali altri discendenti, a Dermulo non si trova più traccia, per cui le possibilità si restringono a due, o la famiglia si estinse ed in questo caso non abbiamo la possibilità di averne la prova, in quanto la morte di Nicolò era sicuramente sopraggiunta prima dell’istituzione del registro dei morti; [2] l’altra possibilità è che la famiglia si fosse trasferita in un altro luogo, ed in questo casa probabilmente a Taio, loro paese di origine. In ogni caso, forse per far fronte al debito di Romedio, la vecchia casa fu alienata.
PORZIONI 2 e 3
Giovanni I Mendini prima di morire aveva acquistato da Gregorio Inama una casa che ritengo si potesse riconoscere nella futura n. 5. In questa nuova dimora visse sicuramente Gregorio, uno dei figli di Giovanni I Mendini, mentre nella porzione 2 o 3 della casa n. 22, rimase l'altro figlio Mendino. Non posso del tutto escludere che assieme a Mendino avesse abitato anche il fratello Romedio, anche se la circostanza della vendita della casa di Mendino a Romedio Barbacovi, fatta da Romedio Mendini, farebbe pensare che quest'ultimo non avesse avuto parte nel caseggiato. Romedio in realtà fino ad oggi risulta incollocabile e potrei aggiungere un'ulteriore ipotesi a quella sopramenzionata, ossia che avesse abitato nella casa n. 5 del suocero Antonio Inama "del Marin", assieme al fratello Gregorio. Mendino lasciò dietro di sé solamente una figlia di nome Marina che dopo la morte del padre visse a Smarano assieme alla madre Domenica. La casa di Mendino fu acquistata intorno al 1553 dal fratello Romedio il quale poco dopo la alienò a Romedio Barbacovi.
In una delle porzioni a sud viveva pure Tommaso figlio di Raimondino III detto Mendino, del quale conosciamo solamente il figlio Andrea. Andrea morì dopo il 1567 e non sappiamo se avesse avuto discendenza. Tuttavia il notaio Antonio Mendini III di cui ad oggi non conosciamo la paternità, e che abitava a Borz presso Banco, contemplava fra la figliolanza un Andrea. Per questo motivo ritengo che ci siano buone probabilità che Antonio III fosse stato figlio di Andrea I Mendini, e se ciò fosse vero, si potrebbe forse riconoscerlo nell'Antonio Mendini apparente nel 1588 come confinante a sud della casa Barbacovi.
Per circa cinquant'anni della casa non si hanno altre notizie, solamente nella prima metà del Seicento la troviamo appartenere ai fratelli Antonio e Matteo Mendini figli di Giovanni IV e forse in piccola parte a loro zio Antonio V. Questo silenzio ci obbliga a riempire lo spazio temporale fra il 1588 e il 1646 con delle congetture. La circostanza che la casa fosse in mano ai fratelli Antonio e Matteo ci dice con una certa sicurezza che in precedenza fosse appartenuta a loro padre Giovanni IV ed essendo quest'ultimo morto nel 1629, ci fa collocare l'acquisizione della casa nei primi anni del Seicento. La domanda da porsi è ora in quale modo Giovanni IV fosse venuto in possesso della casa. La conclusione più ovvia è che l'Antonio del 1588 sia da identificare con Antonio II, già possessore della "casa dei Mendini di Sopra" e che lo stesso avesse acquisito la parte nord della casa (porzione 1) dagli eredi di Romedio Barbacovi ed infine avesse beneficiato il figlio Giovanni IV (e forse anche l'altro figlio Antonio V) dell'intera la casa. Ma se, come detto sopra, l'Antonio del 1588 fosse stato invece Antonio III, Giovanni IV potrebbe aver acquisito direttamente da lui la casa, oppure ci potrebbe essere stato un passaggio in più, cioè da Antonio III a Antonio II.[3]
Giovanni IV Mendini abitò con la numerosa famiglia a Taio nella casa di Giovanni Battista Panizza in qualità di masadore, dove sembra essere morto nel 1629. Il maso quindi fu locato a due dei suoi figli, Antonio e Matteo, mentre l'altro figlio Giovanni Giacomo rimase estraneo alla locazione e non ebbe neppure proprietà nella casa 22. Questo secondo quanto emerso dalle notizie inerenti la casa nel 1646, per cui è plausibile che Giovanni Giacomo avesse vissuto assieme alla moglie Lucia, vedova di Gaspare Chilovi, e alla figliastra Anna Maria Chilovi, nella casa n. 1. Pur essendo entrambi affittuari, solo Matteo abitò nella casa a Taio, mentre Antonio VIII visse a Dermulo nella parte di casa n. 22 (porzione 3) che fu del padre Giovanni IV e dove pure Matteo possedeva la sua abitazione (porzione 1). La situazione economica di questa linea Mendini peggiorò rapidamente in questo torno di tempo. Nel 1646 i Mendini abbandonarono il maso Panizza a Taio e Matteo ritornò in paese lasciando il posto a Cipriano Massenza e ai suoi figli. La risoluzione del contratto con i Panizza non fu sicuramente indolore, infatti i Mendini avevano accumulato diversi debiti per l'esoso canone di locazione preteso dai padroni, per cui i fratelli Antonio VIII e Matteo furono costretti ad alienare alcuni terreni.[4] In particolare Matteo dovette cedere a Giovanni Battista Panizza, il broilo a nord della casa e anche un terreno a Ronc, il quale però era gravato da un'assicurazione nei confronti del cognato Paolo Bevilacqua di Termenago. I confini del broilo: a est la via comune, a sud casa del venditore, a ovest e a nord Floriano Inama, lo fanno corrispondere all'odierno piazzale davanti alla ex casa n. 22, contraddistinto dal numero di P.E. 31. Il nominato aggravio era sicuramente in relazione al pagamento che Matteo, ma anche Antonio dovevano fare della dote per la loro sorella Caterina moglie del Bevilacqua. Per tale motivo l'onere fu trasferito su un avvolto localizzato al centro della futura casa n. 22 che poco dopo Matteo fu costretto a cedere al cognato, il quale locale confinava da tre parti con il fratello Antonio e da una lo stesso Matteo. Nel medesimo anno Antonio VIII Mendini cedette al cognato di Termenago una cantina, sempre nella casa 22 e confinante da due parti lo stesso Antonio, e poi Matteo e la strada comune. Per contropartita Paolo Bevilacqua cedette ad Antonio Mendini l'avvolto ricevuto da Matteo. Nel 1664 infine Paolo Bevilacqua consegnò la cantina in permuta a Pietro Panizza.[5]
Alla morte di Matteo avvenuta intorno al 1660 la parte di casa (porzione 1) passò in proprietà ai suoi eredi Giovanni e Lucia dai quali pervenne al cugino Nicolò I figlio del fu Antonio VIII.
Nella porzione sud-ovest della casa (porzione 2) non è escluso che avessero abitato a partire dal 1650 gli eredi di Antonio V. Il predetto Antonio V infatti occupava fino a circa quell'anno la casa n. 20, ma alla sua morte i suoi figli furono costretti a venderne l'utile dominio, chiedendone il permesso al proprietario, il barone Geronimo Spaur di Castel Valer. E' probabile che nella suddetta porzione 1 avesse vissuto fino alla morte Maria Gallo, vedova di Antonio V, dopo di che rimase inabitata e lentamente deperì. Riassumendo, nel 1646 la parte nord (porzione 1) apparteneva a Matteo Mendini, la parte sud-est (porzione 2) ad Antonio VIII Mendini e la parte sud-ovest (porzione 3) ad Antonio V Mendini.
Nel 1683 i fratelli Pietro e Simone Mendini figli del fu Antonio V, abitanti a Brescia regalarono al cugino Antonio VI Mendini figlio di Giacomo un avvolto descritto come collassato e confinante da tre parti con Nicolò Mendini e a sud con il cimitero. Tale andito era probabilmente quanto rimasto in loro mano di questa porzione di casa appartenuta al padre. L'avvolto distrutto rimase in tale condizioni per parecchi anni, e da Antonio VI pervenne al figlio Antonio VII che per volere testamentario nel 1718 dispose dovesse toccare a Nicolò II figlio di Pietro Antonio Mendini.
Come già accennato gran parte di casa alla fine del Seicento era nella mani di Nicolò
I che la occupò con la moglie Elisabetta Stringari e la numerosa
figliolanza. Dopo la morte
di Nicolò avvenuta nel 1701, nella casa, dei quattro figli abitarono solamente
Pietro Antonio e
Giacomo con le relative
famiglie. Pietro infatti visse a Taio con la moglie
Caterina Valemi, dove morì nel 1729 senza lasciare discendenti. Nel testamento
nominò eredi dei suoi averi, fra i quali
anche la porzione di casa, i suoi fratelli.
Mentre
Giovanni, altro figlio di
Nicolò, sposò
Margherita Massenza e si trasferì nella
casa della moglie al Castelet, e nel 1725 vendette la sua parte
di casa paterna al fratello
Pietro Antonio per la
somma di 75 Ragnesi.
Giacomo abitò con la famiglia nella
parte di casa a sud-ovest verso la chiesa,
dove morì nel 1738. Dei vari figli nati nel matrimonio sembra che sia
sopravvissuta solo
una femmina di nome Maddalena che fino al matrimonio occupò la casa assieme alla madre Maria Bertagnolli.
Nel 1763 essendo morta anche la madre, Maddalena vendette
la casa
a Francesco Mendini
per il prezzo di 35 Ragnesi. Da quanto si evince dall'atto
notarile in questione, la casa si presentava in pessime condizioni e bisognosa
di ristrutturazione.
Pietro Antonio nel 1706
stipulò un contratto di affitto con Marino Inama ed almeno per 5 anni,
si stabilì con la famiglia nella casa n. 7. Alla
scadenza del contratto, o forse ancora prima, Pietro Antonio fece ritorno nella
casa della quale occupò la porzione a nord (porzione 1) mentre nella parte a sud
ovest, (porzione 3) dopo il 1715, abitò il fratello Giacomo assieme alla moglie
Maria.
La parte sud-est (porzione 2) apparteneva ancora a Giovanni che abitava con la
moglie nella casa al Castelet. Tale porzione fu acquistata da Pietro Antonio nel
1725 per il prezzo di 75 Ragnesi.
Pietro Antonio morì nel
1751 e la casa
pervenne quindi ai suoi due figli,
Francesco e
Antonio oltre che alla
vedova Antonia. Antonio che
venne in possesso della porzione di casa posta a sud-est (porzione 2) nei pressi della strada,
morirà prematuramente lasciando moltissimi debiti, per cui il sarto Bartolomeo Mendini
curatore e tutore delle sue figlie, con l'aiuto di Romedio Chilovi
predispose un progetto per evitare l'alienazione del patrimonio. Quindi
nel 1753 la porzione di abitazione del fu Antonio, descritta come
"parte di casa presso la chiesa contenente una stanza, vòlto presso il
sommasso coll’uscio da farsi ivi con sua parte di stradughe e coperto...., e la quarta parte della cucina.." fu assegnata alla vedova
Maria. Mentre al fratello Francesco
e alla madre Antonia venne assegnato "un
cortile esistente nella casa derivante da detto Antonio, sita in Dermulo presso
la chiesa, per 30 Ragnesi" in cambio del loro impegno a pagare i
numerosi creditori. Nel 1763
Francesco Mendini
acquisirà la parte di casa che fu dello zio Giacomo e nel
1778 si ha notizia che già
possedeva una camera e una cucina acquisita da Maria vedova del fratello
Antonio. Per cui nel
Catasto Teresiano del
1780 Francesco risulta proprietario di tutta la casa, con la superficie di 45
pertiche. Nel 1780 Francesco assicurava sulla parte di casa che fu di Antonio la
dote della nuora Caterina Cristoforetti, moglie del figlio Pietro. Evidentemente
Francesco non fu in grado di soddisfare completamente i creditori di suo
fratello Antonio, se nel 1780 fu costretto a seguito di una sentenza a vendere
la parte di casa a Lorenzo Dallago di Cles. Il Dallago aveva poi ceduto la casa
a Giulio Chilovi e questi poi a Romedio Chilovi. Nel 1785 Romedio Chilovi
vendette a Pietro Mendini la parte di casa così descritta: "a basso un pezzetto di
portico aderente alla caneva, fino alla metà dell’arco verso sera salvo il passo
per la caneva maggiore, un revoltello aderente a detto portico, caneva verso
mattina. In alto una cucina a rivolto con suo focolare, secchiaro, due finestre
e una ferriata cui confina il compratore da tutte le parti con la restante casa
per Troni 344 e Carantani 5"
Dopo la morte di
Pietro, la casa
fu ereditata dai suoi due figli
Francesco e
Giovanni Battista, ma
allo stesso modo del padre nessuno dei due vi abitò. Nel 1847 la casa subì un
grave danno causa un incendio che si era
sviluppato nella casa di sopra proprietà di Teresa Mendini e del marito Pietro
Inama, stimato in 452 Fiorini. I due affittuari che in quel momento occupavano
la casa, ovvero Barbara Massenza e
Angelo Melchiori, videro distrutte le
granaglie depositate nel sottotetto per un danno rispettivamente di 100 e 40
Fiorini. Nel 1854 i due
fratelli addivengono alla divisione della casa in due porzioni così descritte:
Prima porzione: piano terra cortile presso la casa, portico, stalla e
metà cantina a mezzodì e l’avvolto presso la cantina. Primo piano, la metà del somasso in comune il saletto la stufa posta a mezzodì, la cucina a mezzodì, la
cucina piccola contigua. Al secondo piano, l’andito sopra la stufa, saletto fino
al muro divisorio di questa camera con altra parte. L’andito sopra le due cucine
sino alla linea perpendicolare sotto la colm, la quale nella parte a mattina
viene ad essere nella metà della facciata della casa, e nell’altra parte nella
mersola dove fu fatto una croce.
Seconda porzione: piano terra cortile presso la casa, portico, stalla e metà cantina, l’avvolto presso la cantina, tutti a settentrione. Primo piano, la metà del somasso in comune il saletto la stufa posta a settentrione, la cucina a settentrione. Secondo piano: l’andito sopra il somasso e l’andito sopra le suddette camere fino alla muraglia che divide queste camere a mezzodì del restante della casa e anche in altezza fino all’aria.
Con estrazione a sorte toccò a Francesco la prima porzione che era posta a sud (porzioni 2 e 3) e a Giovanni Battista la seconda, posta a nord (porzione1).
Nel periodo in cui i proprietari risiedevano a Taio, la casa non rimarrà del tutto disabitata, infatti oltre a Stefano Inama di Sanzeno come visto sopra, sicuramente dal 1834 al 1847 vi abitò Barbara Massenza con i due figli Pietro e Vittore Chistè. Nel 1847 vi troviamo anche Angelo Melchiori, ma non è dato a sapere da quanto era lì e per quanto tempo vi fosse ancora rimasto.
LA PORZIONE DI FRANCESCO (Porzione 2 e 3)
Sembra che Francesco avesse vissuto gli ultimi anni della sua vita a Dermulo, dove morì il 6 marzo del 1854, già vedovo dal 1836 della moglie Domenica Bergamo. Dopo di se lasciò due figlie ma la casa paterna pervenne solo a Barbara, tacitando l'altra figlia Caterina con la sua quota di legittima. Nel 1846 Barbara si era unita in matrimonio con Giacomo Inama Zìtol e probabilmente già da quell'anno abitavano la casa. Nella relazione sull'incendio del 1847 è citato come affittuario anche Giacomo Inama che aveva subito un danno per cose mobili di 30 Fiorini. Barbara morì nel 1898 disponendo che la casa toccasse per un terzo al marito Giacomo, al quale spettava l'usufrutto della stufa e della cucina e per tre quarti alla figlia Rosa, mentre agli altri due figli Silvestro e Giacomo la quota legittima. Nel 1903 Giacomo e la figlia Rosa, assegnarono al figlio e rispettivamente fratello Silvestro Inama, per lui presente sua moglie Maria, la porzione di casa rustica al n. 22, spettatigli come quota legittima della madre, costituita "al piano terra da una stalla e una cantina a mattina, al primo piano una stufa e una cucina; poi il sottotetto e coperto verso mattina e mezzodì, metà portico verso mezzodì fino alla croce esistente sul muro, e porzione di cortile verso mattina" (porzione 2). Il cortile era gravato dal diritto di passo a piedi e con carro a favore di Giacomo e Rosa. Dopo la morte di Silvestro la casa (porzione 2) fu ereditata metà per ciascuno dai suoi figli Arcangelo e Carlo. Quest'ultimo emigrò in America e la sua parte assieme a quella che fu di Arcangelo, nel 1941 fu acquisita da Primo Inama. Nel 1933 la parte di Arcangelo risultava a nome di Ferdinando Perenthaler di Taio, suo cognato e probabilmente è da lui che Primo acquisì la parte di casa.
Rosa morì nel 1922 e la porzione 3 fu assegnata ai nove nipoti, ossia ai figli dei fratelli Silvestro e Giacomo. Dopo qualche acquisizione intermedia, nel 1941 di tutta la porzione 3 divenne proprietario Primo Inama.
Oggi le porzioni 2 e 3 riunite in
un'unica entità appartengono agli
eredi di Primo, l’ultimo
Zìtol delle
famiglie Inama a Dermulo.
LA PORZIONE DI GIOVANNI BATTISTA (Porzione 1)
Nel 1856 Giobatta fu Pietro Mendini redasse un contratto di compravendita della sua porzione di casa con Romedio fu Giacomo Endrizzi, che però per cause sconosciute non si perfezionò. Infatti nel 1880 Giovanni Battista vendette per il prezzo di 140 Fiorini a Francesco figlio del fu Giacomo Inama, l'appena nominata porzione di casa d’abitazione a Dermulo con piccolo orto e sedimi. All'atto della vendita Romedio Endrizzi dichiarava di non avere più nessuna pretesa sulla casa. Dei due figli maschi di Francesco, uno di nome Fortunato emigrò negli USA, l'altro di nome Giuseppe abitò con la famiglia al secondo piano di questa porzione, come risulta dal censimento del 1921. Al primo piano invece abitava Rachele, sorella di Giuseppe, con il marito Germano Endrizzi e i cinque figli. Nel 1957 Vigilio Endrizzi figlio di Germano venderà la casa ad Augusto Inama figlio di Daniele, i cui nipoti la posseggono tutt'ora.
PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA * | |||||||
Anno 1620 | |||||||
Romedio Mendini |
Giovanni Mendini |
Cristofora N. (v) |
Stefano Inama § |
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Margherita
Inama (m) |
Caterina N. (m) |
Caterina Mendini (f) |
Giacomo Mendini (f) |
M.Caterina Melchiori (m) |
Teresa Mendini (m) |
Barbara Mendini (m) |
Rachele Inama (m) |
Caterina Mendini (f) |
Giovanni Mendini (f) |
Pietro Mendini (f) |
Lorenzo Inama (f) |
Rosa Inama (f) |
Pia Endrizzi (f) |
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Mendino Mendini |
Bartolomeo Mendini (f) |
Nicolò Mendini (f) |
Giacoma Mendini (f) |
Stefano Inama (f) |
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Assunta Endrizzi (f) |
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Domenica
N. (m) |
Matteo Mendini (f) |
Domenica Mendini (f) |
Giovanni Mendini (f) |
Mattia Inama (f) |
Anna Endrizzi (f) |
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Marina Mendini (f) |
Gio. Giacomo Mendini (f) |
Anna Maria Mendini (f) |
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Romedio Inama (f) |
Teresa Tavonatti (m) |
Maria Endrizzi (f) |
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Antonio Mendini (f) |
Maria Mendini (f) |
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Teresa Inama (f) |
Germano Inama (f) |
Vigilio Endrizzi (f) |
Andrea Mendini |
Francesca Mendini (f) |
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Virginia Inama (f) |
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N. N. (m) |
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Caterina Cristoforetti (m) |
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Rosa Inama (f) |
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N. Mendini (f) |
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Maria Inama (f) |
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Romedio Barbacovi |
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Eugenia Paternoster (m) (a) |
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N. Mendini (m) |
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Maria Tavonatti (m) |
Primo Inama (f) |
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Ferdinando
Barbacovi (f) |
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Barbara Inama (f) |
Fortunato Inama (fr) (a) |
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Nicolò Barbacovi (f) |
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Angela Inama (f) |
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Arcangelo Inama (f) |
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Carlo Inama (f) (a) |
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§ di Sanzeno |
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* Per gli anni 1554, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti, ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D. Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T. Per l'anno 1620 non si ha la certezza matematica che le persone elencate siano quelle effettivamente presenti. |
[2] Il primo libro di registrazione dei morti per la pieve di Taio inizia con l’anno 1612, e dopo tale data non risulta che a Dermulo fosse morto un Barbacovi.
[3] Per la cronaca esisteva un altro Antonio Mendini cronologicamente compatibile con il confinante del 1588, ossia Antonio IV. Di lui conosciamo la paternità, ovvero Giacomo, ma invece ci è sconosciuto il nonno che però avevo ipotizzato potesse essere il Romedio fratello di Mendino. In questo caso se torniamo alla vendita della casa di Mendino che il presunto nonno Romedio Mendini aveva fatto a Romedio Barbacovi, si potrebbe supporre che non si trattasse di tutta la casa del Mendino ma di solo un parte, e che Romedio avesse trattenuto per se una porzione. Oppure, proseguendo con le congetture, la casa 22 era forse già divisa nelle tre unità abitative e nella parte sud avevano trovato posto entrambi i fratelli Mendino e Romedio.
[4] Si riporta qui l'elenco di quanto preteso dai Massenza subentrati ai Mendini nella conduzione del maso Panizza: "I Massenza dovranno corrispondere ogni anno il giorno di San Michele o sua ottava 16 Stari di frumento, 16 Stari di segala, 5 Stari di legumi, 4 Stari di milio, 4 Stari di panizzo, 2 Stari di formentone, 3 Stari di spelta ovvero avena. Il vino e il brascato sarà per metà del conduttore. Ogni anno i locatori dovranno comperare le scandole e metterle in opera su detta casa e siano tenuti a governare il cavallo del signor. locatore quando viene a Taio. Gli affitalini sono tenuti ogni anno a fare al locatore due cariaggi da Taio a Seio. E in questi 5 anni un cariaggio da Taio a Trento. In più fornire un pollastro".
[5] Sono stato in grado di identificare il primo avvolto che nella seconda permuta fu descritto ad uso stalla in quello interno assegnato nel 1903 alla porzione 3. Mentre la cantina era localizzata a sud-est della casa e grazie al confine "strada comune", si può identificare con il locale che nel 1903 era della porzione 2, quindi di Silvestro Inama fu Giacomo e poi nel 1918 dei fratelli Arcangelo e Carlo figli del fu Silvestro. L'avvolto crollato posto a sud della casa che confinava da tre parti con Nicolò Mendini e una il cimitero e posseduto nel 1683 da Simone e Pietro Mendini non era sicuramente identificabile con quello pervenuto al Panizza.