LA CASA N°
4 - casa Endrizia
(Oggi Via Eccher n. 28 e Via Strada Romana n. 6) P.E. 8
Per inquadrare
il contesto nel quale si è sviluppata casa n.4, bisogna dare uno
sguardo d'insieme a tutto il colomello formato anche dalle case
n.2-3 e n.1. E' evidente,
che quest'ultime costruzioni esistevano prima della futura casa 4 e che i sedimi, poi
da questa occupati, fungevano in precedenza da cortile e pertinenze annesse.
In un secondo momento
alle case principali furono addossate altre costruzioni, quali dei casali rustici
che successivamente vennero trasformate in abitazioni per accogliere i sempre
più numerosi membri familiari. Da chi e per chi, queste case fossero state
inizialmente costruite è una domanda alla quale credo non potremmo mai
rispondere, ma il loro adattamento ad abitazione è sicuramente da imputare alla
famiglia Inama che era entrata
in possesso delle case principali del colomello, già nel Quattrocento. La
diversa genesi di questa casa, si intuisce constatando la sua posizione che a
ovest è rientrante rispetto alla strada, a differenza delle due case
1
e
2;
inoltre doveva
appartenere a distinti proprietari, visto che non era
una costruzione omogenea,
ma formata
da due parti adiacenti, erette sicuramente in tempi diversi; quella a sud era dotata verso
la via imperiale di una propria cort,
mentre quella a nord era priva di cortile proprio.
La proprietà o comproprietà o/e il diritto di passo del cortile fu perduto
probabilmente in antiche divisioni ereditarie, ma ritengo che in precedenza, la parte sud della casa
3,
la parte nord della casa n.4 e il cortile annesso potessero essere ricondotti
allo stesso proprietario. Allo stesso modo appartenevano ad un altro
proprietario la parte sud della casa 4 e la casa
1. Solamente nei primi anni del Settecento,
abbiamo la prova che le due parti di casa, si presentavano riunite sotto gli stessi proprietari, gli
Endrizzi. Ma anche gli Endrizzi, giunti a Dermulo da
Don nei primi anni del Seicento e che probabilmente abitavano in una parte della
casa 5-6
ricevuta da Anna Mendini, non è scontato avessero comprato subito l'intera casa n.4.
Una testimonianza indiretta relativa ad un orto alla
Crosara, ci fa capire che essi nel
1680 occupavano la casa, (una
delle due parti, ma forse anche
nella sua interezza). Da un atto in cui la casa è citata come assicurazione di
censo, apprendiamo che Gregorio Endrizzi ne era già possessore nel 1678. Ma a chi apparteneva la casa prima degli Endrizzi? Nel 1554 la
futura casa n.4, da quanto appare da un documento relativo ad una vendita di una
parte di futura casa n.
3, apparteneva agli eredi di
Gaspare Inama,
ovvero i fratelli Antonio e Ercole.[1]
I due fratelli Inama quindi,
alla morte di loro padre avevano ereditato la futura casa n.
1, la futura casa n. 4 e l'orto alla
Crosara. In seguito i fratelli
suddivisero i beni e per quanto riguarda le case, grazie a notizie successive,
siamo in grado di dire che la futura n.
1 toccò sicuramente ad Ercole (probabile
acquisitore anche della parte che fu di Antonio "del Marin") così come
la parte nord dell'orto alla
Crosara
riconoscibile nella
p.f. 157. Antonio
invece divenne proprietario sicuramente della parte sud dell'orto alla
Crosara,
odierna
p.f. 158, e di tutta o parte della futura casa n. 4. A tutt'oggi, per
mancanza di riscontri documentali, non sono in grado di affermare se le due
parti di casa n. 4 fossero appartenute in toto ad Antonio, oppure se lui avesse
avuto solo la disponibilità della parte nord. Il notaio Antonio Inama, sul finire degli anni
Ottanta del Cinquecento, si trasferì a Lavis, dove svolse proficuamente la
sua professione. Intorno al 1610 alienò le sue proprietà a Dermulo, quali la
casa n. 4 e l'orto alla
Crosara,
futura
p.f. 158 a Gregorio Endrizzi di Don. Dopo la morte di Enrico, il figlio Gregorio divenne
proprietario di tutta la casa.[2]
Nel
catasto teresiano
del 1780, la casa, accreditata di
una superficie di 36 Pertiche, è abitata da
Giovanni
Maria
Tamè
con la sua famiglia. Nel 1806, si ha notizia di un accordo fra
Giovanni Maria
Tamè e
Giuseppe Inama, riguardo a
dei lavori che il Tamè doveva eseguire al tetto di casa sua, in prossimità
del confine con l'Inama. Dei cinque figli di
Giovanni Maria, rimarranno nella casa paterna
Giuseppe, il più anziano, con la sua famiglia e i suoi fratelli Simone,
Antonio e Barbara, mentre
Vittore,
occuperà
la casa del maso Widmann fino al 1855, in qualità di
manente. Nel 1819,
Giuseppe Tamè vendeva a
Giacomo fu Giuseppe Inama, che abitava nella vicina
casa n. 3, una stalla incorporata nella sua casa, per il prezzo di 45
Fiorini.
Giuseppe fu costretto a procedere a tale vendita, per estinguere un
debito
contratto dai suoi fratelli Antonio e Simone, nei confronti di
Giacomo Inama.
La stalla sarebbe però ritornata a
Giuseppe, se questo avesse sborsato al
creditore
Giacomo i 45 Fiorini. Ciò dobbiamo convenire, non avvenne mai, ed
infatti la stalla in parola, che si ritrovava fisicamente sotto la ex casa Tamè, è ancora oggi proprietà di Candido Inama, discendente di
Giacomo.
Barbara Tamè, morì nel 1838, lasciando la sua
porzione di casa ai fratelli
Giuseppe,
Vittore,
Antonio e Simone.
Nel 1840 morì
Giuseppe, e la sua casa pervenne in
eredità alla moglie
Domenica e ai figli
Giovanni Maria,
Domenica,
Vittore,
Maria e
Vigilio. In questa occasione, veniamo a sapere che la porzione del fratello
Simone,
era da individuarsi nella parte di casa contigua alla
casa n. 3. Nel 1850
Vigilio Tamè, presente la madre
Domenica
sua curatrice, divenne proprietario
della metà di una cantina, che intera, aveva acquistato assieme ai fratelli
Vittore e
Giovanni Maria, dallo zio
Antonio Tamè. Nel medesimo anno si procedette alla
divisione
dell’eredità lasciata dai fratelli Barbara e Simone Tamè, per la quale a
Domenica
vedova di
Giuseppe Tamè, fu assegnata una parte di casa a cui
confinava la strada,
Antonio Tamè, gli eredi di
Giuseppe Tamè e Giovanni
Tamè: cioè la porzione di
somasso
in comunione con Antonio e gli eredi
di
Giuseppe Tamè, stalla che è posta sotto la cucina e porzione di corte. Si
precisa anche che
Domenica
deve permettere di collocare nella sua stalla, una capra proprietà
di
Antonio Tamè, finchè lui sarà in vita.
Antonio morirà cinque anni dopo e la sua
parte di casa fu suddivisa fra i nipoti
Giovanni fu
Vittore e
Giovanni Maria,
Vittore,
Vigilio,
Domenica e
Maria fu
Giuseppe. La casa quindi
intorno al 1860 apparterrà interamente agli eredi di
Giuseppe Tamè.
Giovanni Maria il figlio
maggiore di
Giuseppe, lascerà la casa
paterna per trasferirsi nella casa n.8.
Vittore
altro figlio di
Giuseppe, abiterà con la sua famiglia in
questa casa numerata con il 4 e così pure lo zio
Vigilio
che morirà celibe nel 1915.
Vittore fu
Giuseppe Tamè morì il 10 febbraio 1900 e per disposizione testamentaria lasciò la sua
sostanza ai due figli Dionigio e
Emanuele. Agli altri
figli,
Cesare,
Maria e
Rosa, lasciò la legittima, mentre alla vedova Lucia, l’usufrutto su metà
sostanza e un adatto alloggio. La casa consistente al piano terra di due
stalle e una cantina, al primo piano due cucine e quattro locali con somasso, al secondo piano una stanza,
spleuzali e coperto, era posseduta dal
defunto
Vittore in comproprietà con il fratello
Vigilio.
Nel 1904 i fratelli
Dionigio e
Emanuele Tamè assieme a loro zio
Vigilio
si accordarono per la divisione della casa
n. 4.
A
Dionigio viene assegnata la
porzione di casa verso mezzodì, al primo piano: cucina, stufa, camerino e
salotto; il sottotetto e coperto fino all’aria e soffitta. Per poter
raggiungere la nominata soffitta a
Dionigio venne accordato il permesso
di
costruire una scala sul
somasso. Venne permesso anche di poter costruire un
solaio o ponticello nella parte a sera dell’abitazione e anche di
poter costruire una scala esterna sul piazzale in comune, per poter accedere
alle stanze sopra.
Dionigio aveva anche il diritto di passaggio per la scala che dai
locali inferiori saliva al
somasso. La casa confinava a mattina con il piazzale in comune, a
mezzodì con gli eredi di Lorenzo Brida, a sera con il cortile e a
settentrione con i condividenti. A
Dionigio spettava pure una parte di cantina verso mattina e una
stalla a settentrione, confinante con il cortile presso
Eugenio
Inama e la stradina.[3] Il piazzale
davanti alla casa sarà proprietà comune fra i due fratelli. Ad
Emanuele le
cui spettanze non sono evidenziate nel documento, si arguisce che toccherà
la parte di casa a nord, confinante con
Eugenio
Inama. Nella primavera del 1914
Dionigio Tamè
cedeva il suo quarto di casa n. 4, orto compreso, al fratello
Emanuele per il
prezzo di 700 Corone.
Dionigio avrebbe potuto abitare nella casa fino alla fine del
1915, e alla sua partenza avrebbe potuto portare con se i mobili che erano
in soffitta.
Dionigio aveva in quel periodo iniziato a costruire una nuova
casa alle Fasse, ma l'evento della Grande Guerra non
ne permise il completamento se non quasi dieci anni più tardi. Pertanto dopo il 1915
Dionigio abitò in affitto nella casa 6.
Albina
Tamè
figlia di
Emanuele fu l’ultima con questo cognome ad abitare
la casa che oggi è proprietà della famiglia
Valentini.
PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA * | |||||||
disabitata |
disabitata |
Domenica Nesler
(v) |
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Anna N. (m) |
Caterina N. (m) |
Domenica Nesler (m) |
Simone Tamè (f) |
Lucia Pancheri (m) |
Albina Tamè (f) |
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Giovanni Endrizzi (f) |
Massenzia Endrizzi (f) |
Giuseppe Tamè (f) |
Barbara Tamè (f) |
Albina Tamè
(f) |
Fiorentino Tamè (f) |
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Dionigio Tamè (f) |
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Rosina Tamè (f) |
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Domenica Inama (m) |
Emanuele Tamè (f) |
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Gio. Maria Tamè (f) |
Vigilio Tamè (fr) |
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Domenica Tamè (f) |
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Vittore Tamè (f) |
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Maddalena Tamè (f) |
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Antonio Tamè (fr) |
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* Per gli anni 1550, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D. Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T. |
La casa venduta da Giacoma vedova di Vittore Inama ad Anna Cordini al confine a sud che era riferito alla cort riportava "eredi di Gaspare Inama", possessori pure della casa n.1. A ovest invece "Giovanni fu Leonardo Inama" per cui non posso escludere con sicurezza che oltre alla Porzione E della casa 2-3, non potesse riferirsi alla parte nord della casa n.4. Che questa casa sia stata legata ai proprietari della casa 2-3 lo si può capire dal cortile posto a ovest di essa, che attualmente risulta proprietà della Porzione F della casa n. 2-3, ma la logica ci dice che i proprietari dell'adiacente casa (parte nord della n. 4) avrebbero dovuto averne, se non la piena proprietà, almeno la comproprietà o il diritto di passaggio. Altro indizio del legame con gli Inama, risulta essere il locale adibito a stalla, fisicamente collocato nella parte nord della casa n. 4, ma proprietà della Porzione E della casa n. 2-3. L'acquisizione di questa stalla è avvenuta solamente nel 1819 e dobbiamo osservare che non ci furono grosse difficoltà per aprire una porta di accesso che dal portico della Porzione E, mettesse nel precitato locale, proprio perchè fu sufficiente rimuovere le preesistenti ostruzioni. Ricordo personalmente come alla fine degli anni Settanta del Novecento, prima che mio padre ricoprisse il muro con uno strato di malta, fosse ben visibile sulla parete del portico verso sud, confinante con la casa 4, un'apertura tamponata. Evidentemente quindi ci fu un periodo in cui i locali delle case erano comunicanti e di conseguenza appartenuti alla stessa famiglia, vale a dire gli Inama. Fino alla metà dell'Ottocento esisteva un'apertura che permetteva attraverso il cortile della Lisetta di attraversare il portico della casa 3 e sbucare di fronte alla casa 5-6, oppure salendo per una scala di legno di arrivare sul somasso della casa 2-3. In seguito alla suddivisione della casa fra i fratelli Giacomo e Giovanni Inama, l'apertura fu parzialmente tamponata e trasformata in finestra come ancora oggi si può vedere.
La storia potrebbe essere andata diversamente e di seguito riassumo le altre congetture, visto che allo stato attuale mancano altri riscontri documentali. Si potrebbe forse affermare che Anna la madre di Gregorio Endrizzi non possedesse più alcuna casa a Dermulo per cui Gregorio assieme alla moglie Margherita avesse acquistato dal notaio Antonio Inama solo una parte della casa 4 e che l'altra parte fosse stata acquisita da Enrico figlio di Gregorio Endrizzi intorno al 1650 dagli eredi di Gaspare Chilovi, nel frattempo subentrati ad Ercole Inama. Quindi invertendo l'ipotesi fatta in via principale, la famiglia potrebbe aver acquisito solo in un secondo momento una parte della casa 5-6 tramite l'imparentamento con la famiglia Mendini.
Silvana Endrizzi che aveva abitato in affitto, questa porzione di casa assieme ai genitori e ai fratelli negli anni Ciquanta del Novecento, rammenta la seguente situazione: si entrava dal portone sul somasso, che una volta prendeva luce anche da una finestra posta in fondo ad esso e che dava sulla corte di sotto. Sulla sinistra entrando dal somasso, c’era un pianerottolo con una finestra verso il piazzale a Est. Dal pianerottolo si entrava nella cucina che aveva pure una finestra che dava sul suddetto piazzale. Internamente alla cucina, verso la parete Brida si entrava nel cucinino. Dal pianerottolo sopra accennato vicino alla porta per entrare in cucina, c’era la porta per entrare nella camera che aveva una finestra che dava a Ovest verso la corte. Inoltre dalla camera si poteva entrare anche nel cucinino. Dal pianerottolo si raggiungeva anche la soffitta. In fondo al somasso a sinistra, scendendo 4 scalini si entrava in una camera che aveva il poggiolo verso Ovest e una cantina verso il piazzale Est. Questi due ultimi locali secondo quanto riferito dai suoi genitori, erano l’abitazione di Dionigio Tamè. Proseguendo giù con per la scala si arrivava a piano terra nella cort. Questa porzione aveva anche disponibilità di una stalla sotto l’abitazione attuale di Vittore.
Case numero: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29-48
Case Mappa delle case Introduzione Foto della Casa n. 4