Esiste un sistema abbastanza semplice per
verificare se un centro abitato sia sorto prima dell’epoca romana. Ecco come:
basta sovrapporre la maglia di centuriazione su una mappa e verificare se vi
sono coincidenze fra la maglia e i segni del territorio antropizzato (strade,
case e campagne). L’operazione riesce molto agevole con le mappe del catasto
austriaco del 1859, in quanto gli strumenti utilizzati all’epoca non erano
diversi da quelli utilizzati dagli agrimensori romani e pertanto i rilievi sono
da ritenersi pressoché uguali. Va puntualizzato però che i Romani non avevano la
capacità di disegnare mappe precise ma segnavano il territorio con riferimenti
(cippi) dai quali facevano partire le misurazioni e quindi i confini, essendo la
società romana basata sul concetto di proprietà privata. Tale concetto era
invece sconosciuto ai popoli che abitavano le nostre terre precedentemente. La
procedura di misurazione e suddivisione del territorio sulla base di un reticolo
o maglia ben determinata e costante veniva chiamata centuriazione. La
centuriazione del territorio era uno dei primi atti che veniva compiuto dai
Romani dopo la conquista di nuove terre. Questa operazione di suddivisione del
territorio veniva chiamata centuriazione poiché l’unità di suddivisione era
costituita da cento quadrati aventi ciascuno un lato di metri 75,04 chiamata,
per l’appunto, centuria. Ognuno di questi quadrati si chiamava heredium.
Un heredium era la quantità di terreno che veniva convenzionalmente
assegnata ad un veterano quale ricompensa per i servigi militari prestati e tale
quantità di terreno, pari a mq 5.631, era ritenuta sufficiente per il
sostentamento suo e della sua famiglia. Attraverso questo sistema venne
romanizzato l’intero impero (colonizzazione). La parola “eredità” deriva
da questo termine introdotto dai Romani che alla proprietà privata associavano
anche il concetto di “trasmissibilità” di generazione in generazione.
Da queste prassi romane si possono trarre
quindi delle deduzioni generali valide ovunque: in presenza di un territorio
centuriato se i centri abitati rispettano la maglia, (come ad esempio Denno)
significa che sono di epoca romana o posteriore, viceversa di epoca anteriore
appartenenti a comunità sottomessesi pacificamente. L’abitato di Dermulo non
mostra alcun segno di coincidenza con la maglia della centuria, quindi viene
confermata la sua origine preromana come infatti traspirava dal nome. Si può
invece vedere chiara la corrispondenza con la centuriazione nei terreni posti tra Dermulo e Taio, i cui
confini sono rimasti immutati nel corso dei secoli e coincidono con la maglia,
salvo i numerosissimi frazionamenti posteriori. Ciò riprova che, oltre alle
istituzioni sopradette, i Romani introdussero anche il concetto della equa
divisione del patrimonio fondiario fra i figli.
Possiamo affermare con certezza che i sedimi
attuali delle case storiche del paese siano sostanzialmente invariati dall’epoca
della loro più antica costruzione e che la loro superficie non sia cambiata di
molto fino alla fine del 1800. Se guardiamo le mappe austriache del 1859
riconosciamo alla perfezione i nostri centri storici attuali e cinquecento anni
prima sarebbero stati pressoché identici. Dall’epoca romana le case sono state
ricostruite nello stesso posto tutte le volte che ce n’è stato bisogno. Quando
la popolazione aumentava le case venivano ampliate mediante innalzamento perché
prioritaria era la conservazione della campagna.
Poiché l’estensione dei centri storici è
direttamente proporzionale alla popolazione residente bisogna valutare lo
sviluppo edilizio che, in linea di massima, seguì queste fasi:
1. Fondazione dei singoli centri abitati e definizione dei sedimi delle abitazioni. Laddove non ci furono eventi catastrofici essi sono immutati sin dall’origine. 2. Sec. VI - VIII periodo di decrescita della popolazione a seguito della caduta dell’Impero e invasioni barbariche.
3.
Sec. IX - XIII inizio della ripresa
demografica con forte incremento della popolazione dopo la metà del XI secolo.
Messa a coltura di nuove terre strappate alla foresta. Alla fine del periodo i
sedimi raggiungono il livello numerico che rimarrà sostanzialmente lo stesso
fino alla fine del XIX secolo. |
Ipoteticamente si potrebbe affermare che
l’insediamento di Dermulo, fosse alle origini formato da quattro case, quindi dei masi, i cui abitanti non erano uomini liberi, ma servi di
proprietà dei signori di Denno. Forse i primi occupanti di tre masi si
chiamavano Horabona, Martino Bozolo e Fugaza; (v. il
documento del 1275) mentre per il quarto, il toponimo
Casali ha prevalso sul nome della persona occupante. Nel 1218 come sappiamo, i
figli di Olurandino di Denno furono condannati per l’omicidio dei conti Enrico e
Federico di Appiano, e la liberazione di tutti gli abitanti di Dermulo, fu una
delle pene “accessorie” a cui dovettero sottostare per tale crimine. I dermulani
furono dichiarati liberi e soggetti solo all’autorità vescovile. Questo loro
status fu sancito dalla così detta Carta de Hermulo nel 1218 dal vescovo
Federico Vanga e riconfermato due anni dopo dal suo successore, Adelpreto di
Ravenstein. Ecco quindi che i masi originari, che altrimenti dovevano sottostare
al principio di indivisibilità, poterono essere ereditati, e i loro terreni
venduti, accorpati, permutati.
L’accurato e approfondito studio di Paolo
Odorizzi che qui ringrazio per avermene concesso l'utilizzo, ha
fatto luce su un aspetto sul quale fino ad oggi si era fatta una grande
confusione, quello dei Fochi. Infatti il foco era stato
considerato come sinonimo di famiglia e in quanto tale fu utilizzato per fornire
numeri sulla consistenza degli abitanti di un determinato villaggio, applicando
la formula dei 5 individui per fuoco. Questo metodo, di cui anche il
sottoscritto aveva capito la non esattezza, si è dimostrato infatti del tutto
errato. Paolo Odorizzi, dopo aver passato al setaccio la famosa Sentenza
Compagnazzi, tra le altre importanti cose è riuscito a capire il vero
significato della parola “Fuoco”. Il focho descripto o focho domini era
il quoziente fra il patrimonio complessivo della comunità relativo sia ai beni
comuni che individuali e
il numero delle case esistenti (fochi fumantes) in quella comunità. In ogni singola casa o focho fumantes (cioè casato ma il
termine più adatto, trattandosi di plebei, sarebbe clan) il numero dei nuclei
famigliari e il numero dei componenti ogni singolo nucleo (inteso come famiglia
naturale composta da coniugi e figli) poteva essere il più disparato.
Per quanto riguarda Dermulo, che risultava
tassato per 9 fuochi, possiamo affermare che questi, nel momento della loro
istituzione, cioè verso la metà del XIII secolo, indicassero le 9 case allora
presenti. Queste case rappresentavano l’originaria abitazione di una singola
famiglia e, come si può vedere dalla mappa sotto riportata, erano distribuite
abbastanza omogeneamente sul limitato territorio di Dermulo. La mappa, che rappresenta naturalmente una ricostruzione ipotetica
ma che ritengo molto realistica,
ci dà un'idea della consistenza delle case già all’epoca del
censimento delle proprietà
vescovili del 1275, e dà risalto anche ad una delle caratteristiche del
villaggio preromano, cioè l'ampia distanza riscontrabile da una casa all'altra, per la quale Dermulo si può riconoscere come “villaggio a maglie larghe”. Questi spazi si
sono poi riempiti con il passare degli anni.
Ogni casa
era occupata da una famiglia che doveva corrispondere al vescovo 5 libbre
e 11 denari, ossia 111 soldi. La tassa veniva pagata due volte all’anno e il
numero dei fuochi rimase invariato e indipendente dall’aumento o dalla
diminuzione della popolazione. Solo in seguito alla Sentenza Compagnazzi il
numero dei fuochi fu ridotto da 9 a 7, in quanto gli altri due venivano pagati a
parte dai quattro nobili Mendini.
Possiamo ipotizzare che già in epoca antica si fossero
distinte le due "frazioni" di Dermulo,
Borgo e Zità e per questo
quindi fossero stati previsti due regolani nei regolamenti di regola, in rappresentanza dei due nuclei.
A partire dalla metà del Trecento possiamo cominciare ad attribuire a qualche
casa un proprietario certo; come si può vedere anche dalla mappa, il futuro nucleo abitato a nord del
Pissaracel
era formato da tre o al massimo quattro case, per cui la futura
casa n. 20-21
apparteneva a Castel Valer, la futura
casa n. 22
a Raimondino, la futura casa n. 15
forse a Nicolò fu Saporito,[1]
mentre per il futuro caseggiato n.
16-17-18-19
non ho informazioni, ma agli inizi del Quattrocento passerà, almeno in parte
in mano a Vincenzo Zattoni originario di Tres.
La Zità invece, nella quale forse potremmo riconoscere un
primo accenno in quel
Giovanni
"de Contrata"[2]
citato nella Carta de Hermulo
nel 1218, annoverava già allora un maggior numero di edifici tra i quali la
futura casa n. 23 che apparteneva
a Nicolò fu Delaito, padre della Margherita che poi andò in moglie a Nicolò
Cordini;
la
casa
vecchia degli Inami, la casa ai Marini
forse appartenuta a Domino, se diamo buona l'ipotesi che da lui discendessero i
Pret;[3]
la casa al Castelet, proprietà vescovile che nel 1275 era abitata da Bosolo e Sono, mentre
alla metà del Trecento da Bonamico figlio di Benedetto di Campo. Inoltre
sicuramente esistevano i primi nuclei delle future case
n.1, 2-3,
4 e 5-6 ma
non possiamo aggiungere nessuna notizia in merito ai loro proprietari.
Prendendo in
considerazione il paese all’epoca della stesura della prima
carta di regola,
quindi nel 1471, possiamo riconfermare pressappoco gli stessi sedimi presenti nei secoli
precedenti. Alla redazione della carta parteciparono sette
vicini di Dermulo in rappresentanza di altrettante famiglie. Queste famiglie
possono essere collocate abbastanza agevolmente nelle varie case del paese e
quindi: Vincenzo fu Michele detto Zaton, originario di Tres
nella
futura
casa n. 16-17-18-19, Raimondino del fu Gregorio nella
casa vecchia dei Mendini,
Francesco del fu Nascimbene nella casa n. 15,
[4] Bartolomeo del fu Antonio
detto Duca nella casa al Castelet, Nicolò Coradini nella
casa dei Cordini,
Pietro Pret nella futura casa ai Marini e Antonio del fu Inama nella
casa
vecchia degli Inami. I predetti individui erano sicuramente considerati i
seniori di famiglia, pertanto gli unici aventi diritto a partecipare alla regola,
ma sicuramente esistevano anche altre famiglie che avrebbero potuto occupare
case che, sicuramente esistenti, altrimenti risulterebbero vuote. Mi riferisco
in particolare alla futura
casa Inama sopra la Crosara e la futura
casa Guelmi, nelle quali avrebbero potuto
vivere i fratelli di Antonio Inama con le rispettive famiglie.
L'ABITATO DI DERMULO ALLA META' DEL TRECENTO
L'ABITATO DI DERMULO NEL 1471
[1]
Ci è giunta notizia che intorno al 1372 una tale
Anna, vedova di Coo (Nicolò) fu Saporito di Dermulo, eseguiva un pagamento al carpentiere
Michele fu Enrico di Tavon per la costruzione di una nuova casa.
Anche se fino ad oggi non abbiamo sufficienti elementi per identificarla,
possiamo però ipotizzare che essa fosse collocata nella frazione Borgo, area con
maggiori possibilità di costruire e in questo caso riconoscerla con la futura
casa n. 15.
[2]
Nell'ambiente alpino la contrada o contrà indicava un gruppetto di case di solito più
piccolo della frazione, oppure una strada
principale, dove si affacciavano le case, quindi molto pertinente con la realtà
del primo nucleo della Zità.
[3]
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