IL CAMPANILE E LE CAMPANE DELLA CHIESA DEI SS. FILIPPO E GIACOMO

 

Si presume che la chiesetta dei SS. Filippo e Giacomo, prima della costruzione del campanile cinquecentesco, fosse dotata di un campaniletto della tipologia a vela, posto sopra la porta principale della chiesa. Il campanile poteva apparire come quello della chiesetta di San Giorgio di Terres, rappresentato nella foto qui a fianco. Evidentemente, la comunità aspirava ad avere una torre campanaria più importante, anche per favorire la diffusione del suono delle campane ad una maggiore distanza, per cui si decise la nuova costruzione. Per motivi di spazio fu d'obbligo collocare la torre sul lato ovest, dove c'era anche l'entrata principale della chiesa. Il risultato fu che la porta della chiesa fu spostata verso l'esterno e quindi, per accedere al luogo, si doveva attraversare il campanile.
Il campanile fu progettato nel 1503 e i lavori forse vennero iniziati di lì a poco, ma non furono terminati prima del 1537. Infatti negli atti visitali di quell’anno, si raccomandava di usare certe entrate di competenza della chiesa, per far costruire una campana o per il tetto del campanile. Sicuramente, viste le prescrizioni, erano sorte delle difficoltà nel reperire tutti i fondi necessari per ultimare l'opera,  per cui non è escluso che il campanile fosse rimasto per parecchi anni incompiuto. La diversità fra le finestre inferiori, con la cornice di marmo strombata e quelle superiori, senza nessuna rifinitura, sono un indizio di interventi avvenuti in tempi diversi. Oggi il campanile misura un'altezza di m. 24,80, ben 10 metri in più di quanto non lo fosse nel Settecento.
Nel documento del 1503, il maestro Giacomo figlio di Antonio Bertoluzza di Tres, si impegnava davanti a Simone del fu Francesco fu Nascimbene, amministratore dei beni della chiesa di San Giacomo, a Salvatore fu Grigolo Inama e a Antonio fu Nicolò Cordini, a costruire il campanile che doveva avere delle ben stabilite caratteristiche. Vedi la traduzione qui sotto.
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Nel 1847 il campanile come la chiesa furono gravemente danneggiati dall'incendio della vicina casa n. 20-21. In pratica erano andate distrutte tutte le parti in legno, quali le scale interne e le travature del tetto per un danno superiore ai 160 Fiorini. Tre anni dopo, la copertura in legno non era ancora stata costruita, perchè secondo i rappresentanti comunali, la base d'asta proposta dal geometra Brugnara, incaricato del progetto, era troppo bassa. Infatti, a tali condizioni, nessun artigiano avrebbe avuto la convenienza ad effettuare detti lavori.
Dalla descrizione dei beni immobili proprietà della chiesa che erano coperti dall'assicurazione incendi, risulta che il tetto del campanile si presentava a due spioventi e ricoperto di scandole. Quindi il tetto aveva assunto attuale aspetto solamente dopo la ricostruzione a seguito del predetto incendio.
Nel 1890 si ebbe un importante intervento, con il quale fu costruito un avvolto sopra la porta della chiesa e spostata la stessa porta, sul lato ovest, entrando dal campanile. Nello stesso momento fu costruita la scala di pietra e la porta per accedere al campanile.
Nella visita pastorale del 1926 viene rilevato che il campanile, a due terzi della sua altezza, presentava dei preoccupanti cedimenti ai quali doveva essere posto rimedio.

 


 

 

Traduzione della pergamena relativa al contratto per la costruzione del campanile nel 1503

 

“Nel nome di Cristo Amen. L’anno del Signore 1503, indizione sesta, l’ultimo lunedì di aprile. Nel paese di Taio, pieve di Taio, Val di Non, della diocesi di Trento, sopra la via comune, presso la casa di abitazione di Giovanni de Nigris, sarto. Con l’intervento di Nicolò, figlio del fu Giovanni Valentini di Sfruz, di Romedio figlio del fu Giacomo fu Leonardo di... della pieve di Livo, Val di Sole, della predetta diocesi, di Federico de Corazollis di Tres, testimoni, e di altri, chiamati per quanto scritto qui sotto, conosciuti e richiesti in modo speciale. E lì mastro Giacomo figlio di Antonio Bertoluza di Tres, della pieve, valle e diocesi predette, a nome proprio e dei suoi eredi, con patto esplicito e senza eccezione di diritto o di fatto, promise e si accordò con Simone figlio del fu Francesco già Nasembeni di Dermulo, della pieve, valle e diocesi predette, quale giurato, rettore e amministratore della fabbrica di S. Giacomo di Dermulo, della pieve, valle e diocesi predette, li presente come compratore e ricevente per sé e per i suoi successori, e con la presenza anche di Antonio figlio del fu Nicolò de Cordinis di Taio, abitante a Dermulo, e di Salvatore figlio del fu Grigolo Inama di Dermulo - procuratori e garanti per sé e in nome e nelle veci di tutti gli altri vicini - per i quali promisero per certo e stabilito, dichiarando che approveranno questo documento scritto di accordo secondo ogni richiesta e volontà del detto mastro Giacomo e dei suoi eredi, sotto obbligazione di tutti i loro beni presenti e futuri. Il contratto stabilisce di costruire, fondare e edificare un campanile nella chiesa o presso la chiesa di S. Giacomo di Dermulo, delle predette pieve, valle e diocesi, esattamente della misura di un passo e un cubito per ogni lato del detto campanile. E da terra in su deve essere costruito con pietre ben tagliate e lavorate ai lati, ossia nei cantoni del detto campanile fino alle finestre, e con tre cornici, una vicino a terra, un’altra a metà del campanile e la terza sopra le finestre. Così il medesimo mastro Giacomo promise di fornire tutte le travi necessarie nel detto campanile a tutte sue spese. Parimenti lo stesso mastro Giacomo è tenuto e obbligato a tenere e accettare presso & sé, se ne vuole assumere alcuni, muratori capaci e adatti. Allo stesso modo il medesimo mastro Giacomo è tenuto e obbligato a dare la calce necessaria per costruire lo stesso campanile, e anche i sassi necessari; a meno che gli stessi vicini di Dermulo - ossia il detto Simone che promette per loro - siano tenuti e debbano portare tutto a complete loro spese e a essere a disposizione. Così la gru - ossia gua - del detto campanile deve essere altrettanto alta, quanto tre quadri del detto campanile con otto quadri; è tenuto anche e obbligato a dare e presentare una buona e idonea cauzione per tutto e singolarmente quanto è stato sopra scritto e a osservare e fare con cura quanto è sotto scritto. E questo fece e promise lo stesso mastro Giacomo per sé e per i suoi eredi, poiché il detto Simone con i suoi detti vicini promise e concordò di dare, pagare, presentare e contare al detto mastro Giacomo e ai suoi eredi dieci ragnesi di buona moneta di Merano per ogni passo dal fondo fino al culmine del detto campanile, fatto salvo che riguardo alla detta somma lo stesso mastro Giacomo deve e promise di ricevere e di reclamare le nove marche dei denari predetti da computare nella detta somma di denari, da quelli de Vincentiis di Dermulo. I predetti de Vincentiis sono tenuti e obbligati a dare alla detta chiesa di S. Giacomo le nove marche dei predetti denari. Il detto mastro Giacomo ha subito detto e ammesso che, di quelle nove marche dei denari predetti, da quei de Vincentiis ha avuto e ricevuto sei ragnesi dei predetti denari.
Le dette parti hanno promesso - la prima alla seconda e la seconda alla prima vicendevolmente - di voler mantenere fermamente e per sempre tutte e singole queste cose sopra e sotto scritte, essendo di loro gradimento, e di osservarle e di adempirle, e di non andarvi contro, di non intentare - personalmente o per delega - per nessun motivo o per cavilli di diritto o di tatto, alcuna causa legale, sotto pena di risarcire tutti i danni e le spese e interesse della lite e altro. Hanno promesso che si faranno dovere di osservare fermamente tutte e singole le cose sopra scritte e per dare a quelle più completa considerazione le dette parti - la prima verso la seconda e la seconda alla prima vicendevolmente - si sono obbligate con tutti i loro beni mobili e immobili presenti e futuri.
(Segno del notaio) Io Giovanni notaio, figlio di Nicolò, figlio del fu ser Filippo da Cassino, della pieve di Livo della Val di Sole, per autorità imperiale pubblico notaio della diocesi di Trento, e giudice ordinario, fui presente a tutte e singole le cose sopra scritte e, su richiesta, ho scritto pubblicamente e fedelmente e ho apposto il consueto segno del mio ufficio di notaio”.
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LE CAMPANE

Negli anni passati le campane non avevano solo uno scopo religioso, ma erano utilizzate anche per richiamare l'attenzione della comunità. I vicini erano convocati per consuetudine all'adunanza della regola, dal suono della campana azionata dal saltaro. Nell'Ottocento con la campana venivano chiamati i ragazzi a scuola. Oppure per qualsiasi pericolo in avvicinamento quali i temporali o incendi, veniva suonata la campana "a martello". Nel 1847 in occasione dell'incendio della casa Inama-Mendini di cui si parlerà più sotto, è riportato nei verbali di sopralluogo che "...Mattia Mendini.....diede campana (a) martello".

Inizialmente sul campanile fu installata una sola campana alla quale se ne aggiunsero altre due successivamente. Purtroppo per la comunità, la durata delle campane non era eterna e succedeva che, o per l'usura o per qualche altro incidente, dovessero essere sostituite.
La prima notizia in tal senso risale al 1715, quando la comunità di Dermulo si vide costretta a sostituire la campana maggiore, perchè si disse "rotta in un certo accidente", ma senza specificare quale.
[3] Il contratto per la costruzione della campana fu stipulato fra l’allora sindaco della chiesa, Giovanni Giacomo Inama e il campanaro Simone Callovi di Bolzano. Nello scritto, oltre a le varie clausole per il pagamento, veniva richiesto che la campana fosse costruita, utilizzando anche il metallo della campana vecchia.[4] Per far rifondere detta campana era necessaria la cospicua somma di 200 Ragnesi, che naturalmente la comunità non aveva. Inoltre nello stesso momento, bisognava rifondere anche la campana della chiesa di san Vittore di Taio e Dermulo era obbligato a concorrere per un quarto del costo (invece Tres per la metà). La stessa situazione con Taio si era presentata diversi anni prima, nel 1676, quando fu commissionata al fonditore Paolo Polli di Trento la nuova campana maggiore della chiesa pievana. In quell'occasione qualcosa con la nuova campana andò storto e tre anni dopo si rifece il contratto con altro fonditore, per cui si ebbero nuovi aggravi.
Ma ritornando alla campana di Dermulo, la soluzione prospettata per racimolare il denaro occorrente, fu di chiedere un prestito di 100 Ragnesi ad Alberto Inama di Fondo e per tale operazione venne richiesta l'autorizzazione vescovile. L'autorizzazione fu concessa ma tale passo non fu sufficiente per cui si decise di vendere un terreno arativo e vignato che la chiesa possedeva al Casalin. Ed effettivamente avuti i permessi da Trento, si procedette alla vendita del terreno che fu acquisito da Alberto Inama di Fondo, confinante su tre lati, per la somma di 120 Ragnesi. La campana fu quindi realizzata e issata sul campanile, ma non sono trapelate altre notizie. Da un documento del 1746, si viene a sapere che la comunità aveva ancora da consegnare alla chiesa la somma di 100 Ragnesi, dovutali per il costo della campana maggiore. Quindi dopo più di trent'anni la comunità si liberò del debito, donando alla chiesa, nelle mani del sindaco Giuseppe Massenza, due capitali del valore di 66 e 33 Ragnesi, da esigere rispettivamente da Giacomo fu Ottavio Inama e da Gaspare fu Michele Inama.
Dall'inventario della chiesa stilato nel 1766, si apprende che le campane erano in numero di due, e tali rimasero almeno fino al 1773, quando fra le spese elencate, si specifica che erano stati rifatti lo smacadiz, ossia il batacchio, grande e quello medio. Ciò stava ad indicare che ne esisteva anche uno piccolo per cui le campane erano già in numero di tre. Nel 1782 abbiamo la conferma diretta di quando appena affermato, in quanto dall'espressione "campana mezana", si intuisce che in quel momento le campane erano tre.
Nell'urbario della chiesa si trovano citate parecchie volte, nella voce "uscite", varie spese riguardanti le campane. Da queste si evince che l'apparato campanario aveva bisogno di frequenti interventi di manutenzione. Si incontrano spese per il fumadro, in quanto le soghe si usuravano, per il ferraro per la sostituzione dei batacchi e per il falegname che accomodava il ceppo. Ma l'evento più temuto che metteva in difficoltà la comunità, era dover sostituire una campana, quando questa, per un qualsiasi motivo, non ultimo l'usura, non poteva svolgere più il suo compito. Infatti nel 1791 si ritrova nell'urbario una spesa di Troni 1 e Carantani 9,5 per "gettar dal campanile la campana rotta", senza indicare di quale si trattasse. Nel 1794 viene esposta una spesa di Troni 40 per "condurre e ricondurre la campana a Trento" e nel 1795, Troni 3 e Carantani 6 per "accomodare la campana". Nel 1796 si ritrova finalmente l'evidenza di varie somme date al costruttore della campana, un tale Chiappani di Trento. Si trattava di quattro acconti, rispettivamente di Troni 178:9, 34, 120 e 62:3 per un totale corrisposto di Troni 394 e 11 Carantani che dovrebbe rispecchiare il costo effettivo della campana. Negli archivi non si trova traccia di cosa avesse provocato la rottura della campana e neppure di una riunione per decidere di costruirne una nuova e, forse la cosa ancor più strana, di nessun contratto e preventivo di spesa stipulato con il fonditore Chiappani. Si deve concludere che probabilmente tutto l'incartamento è andato perso.
A partire dal 1794 si ritrovano nell'urbario alcune spese riguardanti l'eremo di Santa Giustina e precisamente in due occasioni, si espongono nelle uscite una somma di Troni 18, si dice per aver permutato con Pietro Frasnelli una campanella e nel 1795, Troni 12 consegnati allo stesso eremita per aver acquistato una campana per l'eremo. Nel 1796 altri 15 Troni al Frasnelli per lo stesso motivo, ma nelle entrate del medesimo anno appare però una somma di 60 Troni elargita dal conte Giovanni Spaur per la campana di Santa Giustina. A quanto sembra quindi, la campana era stata offerta dallo Spaur e gradualmente venivano consegnati all'eremita, in quanto da lui anticipati, alcuni denari per il pagamento. Forse si trattava della stessa campana, della misura di 4 Passi, che nel 1819 la comunità di Dermulo prestava all’eremita Pietro Faroni, con l'obbligo, da parte di quest'ultimo, di restituirla se la comunità ne avesse fatto richiesta.
Dall'inventario del 1846 risultava che fossero presenti tre campane del peso di  Kg. 672, Kg. 252 e Kg. 42.
Il 20 novembre 1847 era scoppiato un incendio che originatosi nella casa n. 20-21, poco sopra la chiesa, in breve tempo si propagò alla casa n. 22 e infine anche alla chiesa e al campanile, provocando ingenti danni. L'incendio non risparmiò le campane che da quanto risulta dal resoconto seguito al fatto, una si era quasi fusa e l'altra cadendo si era fessurata. Nel stendere la stima del danno subito da dette campane, si affermò che i tutto esse erano tre, una di 80 passi, una di 30 e un'altra di 5. Il funzionario distrettuale affermò che il valore delle due campane danneggiate si sarebbe potuto ricavare facendo stimare il materiale da "due intelligenti e onesti calderai da assumersi in qualità di periti". Alla fine di dicembre 1847 si trova la stima effettuata da un solo calderaio, un tale Bartolomeo Caset. Nella relazione si dice che la campana maggiore aveva un peso all'origine di 67 libbre come risultava dal contratto del 1715 stipulato con il fonditore Callovi di Bolzano ed era stesa e si poteva valutare solo per il peso del materiale bronzo che il Caset aveva stimato in 8 Fiorini per passo, per un totale di 504 Fiorini. La campana mezana fu quella maggiormente danneggiata dal fuoco al punto da essersi semifusa, per cui il suo valore fu calcolato in 25,5 passi, per l'importo di 202:40 Fiorini. La campana piccola non aveva subito nessun danno e venne valutata Fiorini 75. Nel suo complesso quindi, il valore delle campane fu stimato in Fiorini 781:40.
Nel 1849 nel contratto relativo all'assunzione del sacrestano, veniva specificato che fra i suoi compiti c'era quello di suonare la campana, ed eventualmente le altre che sarebbero acquistate. Per alcuni anni quindi la campana piccola fu l'unica presente sul campanile.

 
Il verbale dell'adunanza comunale del 13 aprile 1853


L'8 aprile 1853 Giovanni Inama, sindaco della chiesa, redigeva un documento con il quale venivano stimate le spese necessarie per ripristinare le funzionalità delle campane. Si espose che le tre campane vecchie pesavano assieme circa 90 Pesi trentini, per cui per farne altre tre dello stesso peso e calcolando una spesa di  Fiorini 2:45 per ogni peso trentino, sarebbero costate Fiorini Abusivi 247:30. Poi per il trasporto a Trento e ritorno Fiorini 14; per sistemare i ferri vecchi e mettere in opera quelli nuovi Fiorini 20; per sistemare le campane sui castelletti altri 20 Fiorini; per due funi, di pelle di bue della lunghezza totale di 16 pertiche viennesi ad 1 Fiorino la pertica 16 Fiorini. Il totale preventivato fu di Fiorini Abusivi 317:30.
Il 13 aprile si svolse un'adunanza comunale molto importante, alla quale oltre ai rappresentanti comunali, ai consiglieri e ai sindaci della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, parteciparono anche, come recita il documento, "altri individui abitanti che godono buona stima di persone sagge". L'assemblea era stata indetta con lo scopo di portare l'attenzione sullo scritto di Giovanni fu Giovanni Inama, sindaco della chiesa, inerente la spesa per le campane. Da tutti i presenti fu ritenuto quello delle campane un bisogno improrogabile, considerato che erano ormai trascorsi cinque anni dall'incendio. Venne preso atto anche che la spesa preventivata non poteva essere precisa, perchè solo a lavoro ultimato si sarebbe saputo l'effettivo peso delle campane. Infine, si decise che per pagare il tutto, si sarebbe stipulato un prestito di 300 o 350 Fiorini Abusivi. Successivamente si richiese l'autorizzazione alle autorità di Cles per poter accendere il mutuo, la quale, però, si riservò ulteriori verifiche sui conti della chiesa e sull'effettiva necessità di intraprendere detta spesa. Non conosciamo il proseguo, ma probabilmente il permesso fu accordato e le nuove campane costruite. Da un frammento presente nell'archivio comunale di Dermulo datato 1867, appare il nome della fonderia veronese Cavadini, a cui molto probabilmente era da attribuire la paternità delle nuove campane.
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Le campane quindi, in numero di tre, come confermato anche dagli atti visitali del 1913, rimasero sul campanile fino allo scoppiare delle Prima Guerra Mondiale. Durante la guerra il governo austriaco aveva provveduto a requisire una grande quantità di metalli, specialmente bronzo, che serviva per la costruzione dei cannoni. Finiti gli oggetti di piccola fattura, si passò alla requisizione delle campane; il primo dicembre 1916 dal campanile della chiesa di San Giacomo ne fu asportata una ed un anno esatto dopo, il primo dicembre 1917 ne fu levata un'altra, per cui rimase sul campanile soltanto la mezana. Nel 1922 la rappresentanza comunale si espresse che la campana superstite dovesse rimanere al suo posto e che invece, fossero fuse altre due nuove campane per sostituire quelle requisite durante la guerra. La visita pastorale del 1926, tra l'altro, rilevò la presenza di una sola campana, ribadendo che le altre due erano state asportate durante la guerra e non ancora sostituite.
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Il documento di consacrazione delle campane del 25 agosto 1929


La Grande Guerra era finita da più di dieci anni e finalmente, il 25 agosto 1929, il decano di Taio don Nicolò Rosa, alla presenza del Podestà di Taio Gualtiero Covi, del primissario di Dermulo don Carlo Paolazzi, dei fabbriceri Demetrio Inama e Geremia Inama, consacrò le due nuove campane che rimpiazzavano quelle requisite. Per la campana piccola chiamata SS. Filippo e Giacomo, Santa Teresa del Bambin Gesù e San Bruno, furono padrini, Bruno Inama, Maria Inama, Rosa Inama e Leone Endrizzi. Per la campana grande chiamata B.V. Maria, Giustina, Giuseppe e Giovanni furono padrini, Padre Andrea Eccher, Demetrio Inama, Rosa Odorizzi e
Anna Inama. Le campane furono fuse dalla fonderia Giovanni Battista De Poli di Udine.[7] 
Dopo la costruzione della nuova chiesa parrocchiale i cui lavori iniziarono nel 1952, le tre vecchie campane presenti nella vecchia torre campanaria, formanti le note “La-Si Do#”, furono trasportate nel campanile della nuova chiesa ed andarono ad aggiungersi alle altre quattro costruite nuove.
[8] Nel vecchio campanile fu issata una nuova campana intonata in "Mi".

 

Due delle quattro campane nuove fatte costruire per la chiesa parrocchiale di Santa Giustina nel 1955

 

 


 

[1] Il documento si trova presso l’A.P.T. Busta 5.

[2] Trascrizione ripresa da "Le Chiese di Dermulo" di Fortunato Turrini.

[3] Molto probabilmente, “il certo accidente” menzionato nel documento di Dermulo fu un fulmine che durante un temporale aveva colpito la campana provocandone la rottura. Lo scopo di suonare le campane all’avvicinarsi di un temporale era quello di avvertire la popolazione in modo che si potesse preparare, mettendosi al riparo e dando anche la possibilità di portare eventualmente al coperto le sue cose. La gente si raccoglieva in preghiera, confidando che il suono delle campane riuscisse a disperdere le nubi. Agli inizi dell’Ottocento, visti i numerosi incidenti, con incendi e morti si era arrivò alla proibizione i suonare le campane durante i temporali.

[4] Il documento si trova presso Ottavio Sandri.

[5] Simone Weber a pagina 28-29 de “Le chiese della Val di Non nella storia e nell’arte”. I decanati di Taio, Denno e Mezzolombado Volume III°, afferma che "Il campanile prima della guerra aveva tre campane fuse nel 1837, furono requisite dal militare la prima e la terza e poi sostituite, a spese del governo, con due altre uscite dalla fonderia Colbacchini di Bassano". Il nome della fonderia è in contrasto con quanto affermato da don Nicolò Rosa nel documento per la benedizione delle campane che le attribuisce alla fonderia De Poli di Udine. E pure l'anno 1837, indicato come quello di fusione delle campane non ha riscontro, probabilmente si trattava del 1867.

[6] A.S.T. Giudizio Distrettuale di Cles Busta n. 50.

[7] A.P.T. Busta n. 5.

[8] Cfr. Celestino Eccher in “Il santuario e l’opera S. Pio X per la musica Sacra” pag. 7.