LA VAL DI DERMULO
La Valle di Dermulo, in dialetto Val de Dermul, è una zona di montagna sulle pendici del monte Roen, racchiusa fra le località Paluazza, Trezuol, Val di Verdes e Bait del Vescovo. L’area ricade sul Comune Catastale di Tavon con le p.f. 1353/1, 1353/2, 1353/3, 1353/4 e 1353/5, ma è proprietà del Comune di Sanzeno. Il frazionamento palesa che, almeno fino alla formazione del catasto austriaco, era un corpo unico contraddistinto dalla p.f. 1353. La valle ha un profilo altimetrico tra i 1100 e i 1300 metri e si estende su una superficie di circa 55 ettari. Il luogo si presenta come un avvallamento coperto da un bosco di conifere, come ce ne sono altri nella zona. Ciò che suscita attenzione però è la particolarità del toponimo che, con la specificazione “di Dermulo”, attribuisce alla “Val” una relazione con il nostro paese. Tale nesso è per logica legato a un concetto di proprietà. Come “Malga di Sanzeno” e “Selva di Dambel”, per rimanere nell’ambito del Monte Roen, indicano rispettivamente la malga e la selva in possesso di quelle comunità, così “Val di Dermulo” avrebbe designato il luogo che il villaggio di Dermulo possedeva sui pendii del monte Roen. Fino a questo punto siamo tutti d’accordo, e se il paese di Dermulo possedesse tutt’ora tale zona, non ci sarebbe molto da disquisire. Invece, come ben sappiamo, oggi Dermulo non ha in quel luogo nessuna proprietà e non esiste una solida prova che l'avesse avuta in passato. Cercherò ora di capire, analizzando le informazioni che abbiamo a disposizione, se la zona fosse effettivamente stata un antico possesso di Dermulo, se si è trattato di una coincidenza toponomastica, oppure, se il nome fosse stato collegato a qualche altra motivazione.
COINCIDENZA TOPONOMASTICA, ANTICO POSSESSO O ALTRO?
Come già affrontato nelle trattazioni
toponomastiche inerenti il nome "Dermulo", è assodata l’origine celtica del
toponimo “Mullo” o “Mulo” e la sua fusione con il latino “Ronc” nel nome
Roncmull, divenuto poi “Remul”.
Esaminiamo quindi per prima cosa l'unica traccia
documentale inerente la questione. A pagina 37 del libro “Notizie storico-critiche intorno alla
chiesa di Sanzeno e al luogo del martirio dei santi Sisinio, Martirio ed
Alessandro” di Massimiliano Bertagnolli, dato alle stampe nel 1896, l'autore
elenca alcune notizie puntuali sulla chiesa pievana di Sanzeno, che il parroco
don Giuseppe Maffei, inviava nel 1751 al vescovo di Trento. Fra queste si
leggeva: “quelli di Dermullo erano soggetti alla pieve di S. Sisinio, i
quali per liberarsene ed aggregarsi invece a Tajo, per loro assai più comodo,
cedettero alla stessa quella parte di montagna che ancor oggidì è detta Val di
Dermul”. Se accettassimo senza spirito critico questa notizia, potremmo
dire di aver risolto il mistero.
Questo passaggio di pieve, che alla luce delle attuali conoscenze è ritenuto
un’evenienza quasi impossibile, presenta comunque qualche spunto interessante di
ragionamento. Il monte della Predaia, a sud del monte Roen, era diviso in antico
fra le pievi presenti nell’attuale comune di Predaia. Possiamo distinguere a
nord i possessi delle pievi di Coredo e Smarano, al centro le pievi di Taio e
Torra e a sud la comunità di Vervò. Ebbene, è un dato di fatto che la comunità
di Dermulo, risultasse esclusa dalle proprietà in montagna, dove le altre ville
afferenti alle rispettive pievi, erano invece partecipi. In un documento redatto
a Dermulo (scelto casualmente o perché in zona “neutra”?) nel 1438, nel quale
Sigismondo e Antonio Thun di Castel Bragher, donavano ai colomelli
delle pievi di Taio e di Torra la montagna di Predaia e la regolaneria che in
passato fu di Ottone di Tuenetto, Dermulo non appare nell'elenco delle ville
formanti i colomelli. L’assenza è misteriosa e sicuramente non è
imputabile alla relativa ristrettezza del villaggio, visto che Torra, Vion e
Tuenetto erano sicuramente più piccoli di Dermulo. Un'altra omissione è
riscontrabile nel documento del 1513, relativo alla regola della montagna di
Predaia, Sclach, Rodeza, Talvaza e Corno per le ville delle pievi di Taio e
Torra.[2]
Nello scritto si citano tutte le ville che facevano parte delle due pievi (ad
esclusione di Vervò e Priò che avevano una storia a parte), ovvero, Taio per il
primo colomello, Tres per il secondo colomello, Segno, Torra e
Vion per il terzo
colomello e Dardine, Mollaro e Tuennetto per il quarto colomello.
Non appare però Dermulo, pur appartenendo alla pieve di Taio. Come mai Dermulo
non faceva parte, almeno del colomello di Taio? Era forse escluso
perché si era aggregato in un secondo momento alla pieve di Taio, quando i
diritti degli altri colomelli
erano già consolidati? Potrebbe essere stato lo scotto da pagare per essere
stati accettati nella pieve di Taio? Ma quale poteva essere stato il motivo, se
ce ne fu uno, perché Dermulo fosse transitato dalla pieve di Sanzeno a quella di
Taio? Forse politicamente la comunità di Dermulo era stata assegnata in antico a
Sanzeno e poi per una questione pratica di vicinanza ("per loro assai più
comodo" come affermato da don Maffei) a Taio, si insistette per questa?
Un’altra cosa che mi ha sempre suscitato stupore, considerando il confine fra i
comuni catastali di Dermulo e Sanzeno, è come quest’ultimo si fosse
apparentemente appropriato di una parte di territorio che, per sua natura,
sembrerebbe più pertinente a Dermulo. Mi riferisco alla zona denominata
Cavauden, dove il solco naturale del rio San Romedio, avrebbe costituito un
confine naturale e più logico fra le due comunità. Invece, ciò non è avvenuto
perché Sanzeno ha “invaso” una considerevole superficie "dermulana" alla
sinistra orografica del San Romedio. Dopo aver trattato le affermazioni di don Maffei coincidenti con quelle degli abitanti di Tavon, esaminiamo ora le storie che si narrano a Dermulo e Sanzeno, cioè negli altri due paesi, interessati alla vicenda.[3] A Dermulo si tramanda la notizia, per la quale l’antica proprietà di questa porzione di montagna è data per assodata, ma si riporta anche con rammarico e disappunto, il presunto magro affare che aveva comportato la sua cessione. Si sostiene, infatti, che i dermulani l’avevano “zéduda per na marenda”, (alienata in cambio di una merenda) ossia per poco o niente. Sul motivo di tale cessione però, nulla è dato sapere. Credo che gli amministratori che eventualmente si fossero trovati a dover decidere per la vendita della valle, dovessero aver avuto motivi più che validi, quali ad esempio, enormi problemi finanziari. La decisione di cedere la valle, sarebbe stata sicuramente molto sofferta. Solitamente le comunità si tenevano ben stretti i loro beni e ciò è dimostrato dalle innumerevoli liti fra comuni confinanti, documentate anche fin dal Duecento, per parti di boschi e pascoli di superfici risibili, rispetto alla Valle di Dermulo. Personalmente non darei nemmeno troppo peso a quella che nei secoli fu tramandata come una svendita. Col trascorrere degli anni i ricordi si affievoliscono e l’aver rinunciato a questi beni potrebbe aver causato qualche risentimento fra la gente di Dermulo. La montagna è sempre stata una ricchezza per la comunità, sia come fonte di legname sia per il pascolo e l’alpeggio degli animali, per cui il controvalore, conoscendo la saggezza dei nostri vecchi, avrebbe per forza aver dovuto bilanciare l'eventuale vendita.
In quel di Sanzeno,
rispetto a quanto si diceva a Dermulo, aggiungono un particolare importante,
ovvero che la valle era stata da loro acquisita, in cambio dello sgravio
dall’obbligo di fornire legname alla loro chiesa, alla quale i dermulani erano
soggetti. L’assunto mi era sembrato strano, anche perché mi
sfuggivano i rapporti amministrativi che potevano esserci tra la pieve di Sanzeno e Dermulo, appartenendo quest’ultimo alla pieve di Taio.
Ma nella citata relazione di don Maffei invece, appaiono interessate alle spese
della chiesa, oltre a Sanzeno, anche le pievi di Coredo, Smarano e Romeno,
attestando, quindi, un concorso "sovrapievano". Il nostro paese, tuttavia,
non viene menzionato in nessun modo come compartecipe di spesa, per cui
l'obbligo andava cercato in un altro contesto. La situazione così delineata, mi ha fatto ricordare l’esistenza del
diritto delle manare di Taio. Il diritto delle manare (ius buscandi)
era un antichissimo diritto di boscheggiare (tagliare il legname per
costruzione, la legna da ardere, raccogliere le strame, ecc.), in essere già alla metà del Duecento, che dieci famiglie di Taio,
esercitavano in una porzione di bosco comune in località Zuol e Val Calana,
proprietà delle pievi di Coredo e Smarano. I titolari erano obbligati a
contribuire alle spese per il mantenimento delle chiese pievane appena
accennate. Quindi, pur avendo un territorio montano di proprietà, quelli di Taio
esercitavano tale diritto su una zona che non era la loro e per questo, pagavano
ai proprietari una quota per la manutenzione ordinaria della chiesa pievana. Il
diritto delle manare fu esercitato da Taio fino al 1884, quando il comune di
Coredo, Ma in quale epoca andrebbero collocati questi fatti? Qualunque fosse stata la vera storia, possiamo sicuramente escludere che ciò fosse avvenuto dopo il Cinquecento. Nel 1586 la Val di Dermulo faceva parte in modo consolidato della pieve di Sanzeno, come attestato dal sopra nominato “istrumentum Sisiniae plebis”, dove non si fa menzione di un eventuale diritto dei dermulani. Se la cessione fosse avvenuta per sgravarsi dagli oneri di manutenzione, (indipendentemente dalla loro origine) il periodo più probabile potrebbe essere stato l'ultimo trentennio del Quattrocento, quando forse, l'inizio della costruzione della basilica di Sanzeno ad opera del vescovo Giovanni Hinderbach, era coinciso con un aumento delle pretese contributive. Nella carta di regola della comunità di Dermulo redatta nel 1471, però, non si accenna minimamente alla valle, per cui escludendo che si fosse taciuto di un aspetto economico così rilevante, possiamo concludere che già a quella data, la valle di Dermulo, semmai lo fosse stata, non era più nelle disponibilità del nostro paese né come proprietà, né come possesso. Infine se la transizione della valle fosse avvenuta per il cambio di pieve, questa non potrebbe essere accaduta dopo il 1350, in quanto nel Liber Focorum delle valli del Noce, stilato in quell'anno, tra le ville della pieve di Taio, appare Dermulo. Nelle comunità interessate alla valle di Dermulo, i documenti antecedenti al Cinquecento sono quasi del tutto assenti, ed escludendo che di tale eventuali accordi non si fosse redatto un contratto scritto, dobbiamo dedurre che siano andati persi. Sicuramente è quello che è accaduto per le vecchie pergamene che erano presenti nella chiesa di Dermulo. In questo caso, ci è venuto in aiuto un vecchio regesto settecentesco, dal quale sappiamo che la pergamena più antica, però, era datata solamente al 1503 e verteva sulla costruzione del campanile. Nessun documento antico è presente nemmeno negli archivi parrocchiali e comunitari di Taio e Sanzeno, per cui dobbiamo rassegnarci a questo silenzio.
LE MANARE DI DERMULO o LA VAL DE MULA?
In
conclusione, non si può affermare che il mistero della valle di Dermulo sia
stato completamente dipanato, tuttavia, alcuni indizi più forti degli altri ci consentono
sicuramente di restringere il campo
delle ipotesi. Non sono emerse prove che
dimostrassero l'appartenenza di Dermulo alla
pieve di Sanzeno, che in tal caso avrebbero confermato la versione ufficiale del
pievano e quella del paese di Tavon.
Il racconto dei dermulani, da solo, è troppo scarno e fantasioso per trarne delle conclusioni
plausibili. Nemmeno la narrazione di Sanzeno è del tutto convincente, tuttavia,
In alternativa all'ipotesi appena citata, considerando la presenza non molto lontana dalla Valle di Dermulo del toponimo “Mula”, ritengo che ci siano buone probabilità che la storpiatura del nome, associata alla caratteristica morfologica del luogo, abbia contribuito nell'arco degli anni a creare un toponimo fuorviante (Val de Mula, Valdermula) che solo per assonanza si è poi consolidato in Val di Dermulo. In questo caso, quindi, si tratterebbe di una mera coincidenza: la valle sul monte Roen non avrebbe alcun legame col paese di Dermulo e la corrispondenza onomastica sarebbe una pura casualità. E' vero che anche in questo caso manca una prova documentale dell'evoluzione del toponimo "Val de Dermul", ma non escludo comunque di trovarla in futuro.
[1]
Alle pagine n. 7 - 8 del libro citato,
Massimiliano Bertagnolli afferma: "secondo una relazione fatta nell' anno
1766 dal parroco di quella chiesa al vescovo di Trento, sembrerebbe che in
tempi anteriori fosse esistito qualche documento relativo alla medesima; il
quale però in progresso di tempo andò distrutto in causa d' un incendio
della canonica di quel villaggio".
[2] Vedi Pag. 173 M. Welber, M. Stenico, C. Bertolini, Taio nel XV e XVI Secolo - Vita di una comunità rurale. [3] Ad esclusione di Dermulo dove la testimonianza ricorre fra diverse persone, a Sanzeno e Tavon la cosa mi è stata riferita da una singola persona, per cui non posso sapere se ciò che ho raccolto sia stato il pensiero comune. [4] Per altre notizie sulle manare vedi P. Enrico Recla, Smarano Notizie Storiche - capitolo X Diritti delle manare e Don Edoardo Endrici Coredo nell'Anaunia Memorie Storiche pagg. 123, 124, 125, e 126.
|
|