Il fenomeno migratorio che
si sviluppò nell’ Ottocento, fu di grandissima portata. Esso si venne a
creare per un insieme di fattori, quali l’incremento demografico, la
crisi agricola e politica per cui l’emigrazione, rimaneva l’unica
alternativa possibile. Interi paesi si spopolarono e anche Dermulo,
vedi tabella.
Negli Stati Uniti, c’era
una grande richiesta di manodopera in specialmente nel comparto minerario
e nelle costruzioni ferroviarie. I dermulani trovarono impiego
principalmente nelle miniere di carbone di Hazleton o di Shepton in
Pennsylvania.
Mio bisnonno Candido Inama,
aveva invece trovato impiego in una miniera dove si scavava l'oro a Central City, in
Colorado. Qui poi si era sposato con una figlia di emigrati di Tres,
gestori di un saloon, e dopo qualche anno però fece ritorno a Dermulo.
In America, non tutto era
facile, anzi, la vita di chi doveva lavorare in miniera, cioè della
maggior parte degli emigrati, era durissima. I lavoratori dovevano
lavorare dieci ore al giorno, al buio, nella polvere. L’incidente era
sempre in agguato, moltissimi morirono nelle viscere della terra;
altrettanti contrassero malattie come la silicosi che li faceva morire
prematuramente. I cimiteri delle ex cittadine minerarie degli USA, sono
costellati di lapidi con incisi molti cognomi di gente trentina. Molti di
loro erano nel fiore della loro vita. Questi nostri lavoratori,
contribuirono con le loro rimesse in denaro, ad alleviare la sofferenza di
chi era rimasto in Italia. Grazie a loro infatti, molte famiglie
riuscirono a risollevarsi da precarie situazioni economiche e anche ad
acquistare nuovi campi o case.
Qualcuno, considerando
forse il futuro incerto ed il protrarsi dei numerosi scioperi dei
minatori, ritornava in patria e con i risparmi messi da parte in quelle
terre lontane, riusciva a vivere decorosamente.
Gli emigrati nel Nord
America, pur svolgendo una vita dura e pericolosa, si può affermare che
generalmente fecero più fortuna rispetto a quelli che raggiunsero
l’America Latina.
Tra il 1870 e il 1880, il
governo brasiliano aveva messo appunto un programma per lo sfruttamento
del suo immenso territorio, occupato prevalentemente da foresta vergine.
Quindi si era pensato alla colonizzazione di questi territori, importando
gente dal vecchio continente. Furono molti i tedeschi, polacchi, spagnoli
e italiani che lasciarono la patria per raggiungere il Brasile, dove,
avrebbero dovuto trovare la terra promessa. I Tirolesi, popolazione in cui
si riconoscevano all’epoca tutti i Trentini, meglio se disposti ad
espatriare con la famiglia, erano molto ben visti dalle autorità
brasiliane. Le società addette all’emigrazione disponevano di
fiduciari, che provvedevano a reclutare le persone e ad offrire loro
gratuitamente il biglietto per la trasferta. Con questo incentivo, molte
persone furono invogliate a vendere i loro averi e partire. Dopo le mille
peripezie di un lungo viaggio, una volta giunti oltre oceano, spesso si
scontravano con una realtà ben diversa da quella immaginata. Ma a quel
punto, non v’era possibilità di ritorno e dovevano affrontare con
indescrivibili sacrifici la nuova situazione. Alcuni grandi possidenti
terrieri, avevano bisogno di persone da impiegare nelle loro fazendas,
al posto degli schiavi negri che avevano ricevuto la libertà. Molti quindi
furono costretti a lavorare per questi latifondisti a condizioni inique.
In Brasile arrivarono
due famiglie di Dermulo, per un totale di 14 persone.
Le condizioni di viaggio di
questa povera gente erano spesso disumane, oltre al fatto di soffrire il
mal di mare, bisognava fare i conti con la scadente qualità dei cibi, il
sovraffollamento e conseguenti rischi di epidemie.
Silvio figlio di
Agostino Inama nel 1905 morì e fu “sepolto” in mare, mentre assieme
ai suoi fratelli stava raggiungendo gli Usa.
Fiorenzo Inama detto
Valentin, secondo quanto raccontatomi da Mario Kaisermann, suo pronipote,
era un avventuriero (o un venditore ambulante?). Era entrato in contatto con le
popolazioni indiane con le quali intratteneva numerosi scambi. Anche lui
però tornò e morì a Dermulo.
A fine Ottocento molti
trentini erano impiegati sull’ aizimponer
cioè nei grandi lavori ferroviari oltre Brennero nell’ Arlberg e
Vorarlberg. Alcuni di loro poi rimasero in quelle zone come alcuni
Endrizzi di Dermulo. Nel Vorarlberg c’erano molte industrie tessili che
richiamavano molta manodopera anche femminile.
Oggi negli USA vivono
ancora molti discendenti dei primi emigrati, sparsi in tutti gli stati. Tramite
internet ho individuato molte persone con cognome
Inama o Enama,
Endrizzi e
Emer, sicuramente qualcuno di questi ha radici a Dermulo.
Fra quelli che ho
individuato,
Ludovico Inama figlio di
Agostino, che sposatosi in Colorado
con una francese di nome Mary Travison, aveva avuto tre figli:
Anna
Amelia, Louise Celestina e Ed. Tutti erano nati a Leadville in Colorado.
Luigi Inama figlio di
Camillo, stabilitosi a Hazleton in Pennsylvania aveva 11 figli, dei quali
ora solo due sono viventi:
Arthur e
Leonard. Di Luigi, oggi vivono i
numerosi discendenti sparsi nell’est degli USA. Il loro cognome è
diventato Enama, per soddisfare la pronuncia inglese.
Giovanni Tamè con la
moglie
Gioseffa Eccher, raggiunse Lafferty in Ohio. Lasciarono Dermulo con
la piccola figlia
Erina al seguito, e in America ebbero altri sei figli.
Erina, che morì in California all’età di 98 anni, aveva sposato
Antonio Gaetano Speranza, originario di Ville del Monte, nei pressi di
Riva del Garda. Oggi i discendenti di Giovanni portano il cognome Thomas.
I fratelli
Guido e Emilio
Inama figli di
Ferdinando vissero
negli USA dove morirono celibi.
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