DERMULO: L'INCENDIO DEL 1847

   

 

 

La mattina del 20 novembre 1847 nella casa di Teresa Mendini, detta Guslota, scoppiava un incendio che in poche ore divorava il tetto e si espandeva prima alla sottostante casa Mendini, poi alla chiesa e da ultimo al campanile.[1] Le altre case nei paraggi, vale a dire la n. 19 di Romedio Emer, la 17-18 di Giovanni Inama, la canonica, la n. 15 delle sorelle Massenza e la n. 14 di Romedio Mendini, Romedio Endrizzi e Giovanni Battista Inama, nonostante la comprensibile apprensione dei proprietari, si trovavano a una sufficiente distanza di sicurezza. Prima che il campanile fosse invaso dalle fiamme, Andrea Eccher, che aveva scorto l’incendio dalla sommità della Pontara dove si trovava assieme a Teresa Mendini [2] e Mattia Endrizzi, riuscì a suonare la campana a martello [3] dando così l’allarme in paese. Il corpo dei pompieri non era ancora stato istituito, per cui lo spegnimento fu affidato alle molte persone accorse, le quali riuscirono a circoscrivere il fuoco in tempi tutto sommato brevi, evitando la completa distruzione delle case. La cosa interessante rispetto ad altri incendi accaduti in paese, risiede nella presunta dolosità del fatto, poiché gli occupanti della casa da cui si era originato l’incendio non sapevano spiegarsi come il fatto potesse essere avvenuto. Inoltre anche l’ispezione, effettuata da personale incaricato dal Giudizio Distrettuale di Cles lo stesso giorno dell’incendio, confermò che il luogo della casa da dove si era sprigionato, era lontano da camini e da stufe, - notoriamente causa principale di questi mesti eventi - per cui fu esclusa la colpevolezza dovuta ad un’eventuale negligenza dei proprietari. Come era probabilmente prassi in questi casi di sospetto dolo, le persone in qualche modo coinvolte furono “inquisite” presso il Giudizio Distrettuale di Cles. Nei giorni immediatamente successivi al fatto, furono invitati a comparire davanti all’ I. R. Aggiunto, Antonio Sartorelli, alla presenza anche del deputato comunale di Dermulo Romedio Emer, i proprietari degli stabili interessati dall’incendio e poi di seguito gli altri chiamati in causa a vario titolo. Fra questi, Pompeo Endrizzi, Teresa Mendini e Mattia Endrizzi che erano nell’ordine sicuramente transitati nei pressi della casa prima dell’incendio. Qualcuno fu interrogato anche una seconda volta per cercare riscontro a quanto raccontato dai vari testimoni. La proprietaria della casa, Teresa Mendini, suo marito Pietro Inama e la serva Maria Giuliani, sentiti separatamente confermavano che l’incendio era scoppiato la mattina verso le 6 nella casa cosi detta “superiore”. La proprietà Mendini era formata da due case addossate, di cui la parte a nord, da loro chiamata superiore (probabilmente in dialetto “de sora”), aveva una caratteristica che si può notare anche oggi, vale a dire, il tetto più alto rispetto a quella di sotto.[4] Pietro e Teresa abitavano nella casa inferiore e avevano la stanza da letto nell’angolo sud-est, verso la chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. Della casa superiore, all’epoca disabitata, i proprietari utilizzavano solo la spleuza e il somasso. Pietro asseriva di essersi svegliato per aver udito un colpo e poi un rumore che sembrava quasi la pioggia o il vento che scuotesse i rami del noce che cresceva a mattina della casa. Avvicinatosi alla finestra, vide un bagliore e, dopo aver realizzato che si trattava di un incendio, diede l’allarme in casa, svegliando la moglie, il figlioletto e la serva per poi portarsi assieme a loro, “ancora in camicia (da notte)”, nel prato vicino alla casa. Pietro descrive che l’incendio si era sviluppato nell’angolo sud-est del tetto della casa superiore, e in un primo momento non aveva interessato nè gli assami, nè i mazzi di formentazzo, nè la paglia ammassata nella sottostante spleuza.[5] Ma ciò solo per poco, perché nel tempo impiegato per far uscire gli animali dalla stalla, tutte le cose sopraccitate presero fuoco. Le fiamme in breve tempo, dopo aver distrutto completamente il tetto della casa superiore, si estesero pure al coperto di quella inferiore. Pietro confermò all’esaminatore Sartorelli di aver chiuso tutte le porte della casa, la sera prima, per cui dalle entrate ufficiali non sarebbe potuto entrare nessuno. Affermò inoltre di non essersi alzato durante la notte. Assicurò di non aver nemici e di non aver ricevuto minacce da nessuno che in qualche modo avesse potuto vendicarsi. Pietro sostiene che per ipotesi, qualche malintenzionato avrebbe potuto raggiungere il tetto della casa inferiore con una scala da 10-12 pioli, per poi appiccare con facilità il fuoco alla casa superiore. Infine asserisce che Teresa moglie di Romedio Endrizzi gli aveva raccontato che preceduta dal figlio Pompeo, era transitata sulla strada assieme a suo cognato Mattia Endrizzi poco prima che scoppiasse l’incendio, senza aver notato nulla.
Anche Teresa moglie di Pietro conferma sostanzialmente la versione fornita dal marito, aggiungendo però un particolare, che forse poteva essere interessante ma che stranamente non è stato approfondito nell’interrogatorio, ossia che poco prima delle ore 5, sia lei che il marito avevano sentito provenire da non molto lontano, uno sparo di uno schioppo e un quarto d’ora dopo, appena suonate le ore dal campanile di Tassullo, un altro colpo come fosse stato gettato qualcosa o scoppiato qualche cosa nella loro casa di sopra.[6] Anche Teresa non sa spiegare come si sia originato questo fuoco, e ripete che nessuno della famiglia era entrato di notte in quella parte di casa e anche nei giorni precedenti nessuno aveva fatto uso di lumi nemmeno per prelevare il foraggio per gli animali. Teresa cerca poi di dare una spiegazione personale del fatto, supponendo che l’incendio sia stato appiccato per distrazione da un ipotetico ladro che voleva impossessarsi della sua biancheria distesa sulla spleuza ad asciugare. L’elenco dato da Teresa dei capi stesi in soffitta era molto lungo e dettagliato e la numerosità dei capi non poteva certo passare inosservata da chi avesse percorso la strada a mattina della casa. Piccoli furti specialmente nei campi erano all’epoca molto frequenti. Si trattava soprattutto di cibo, ma non erano esenti nemmeno oggetti o attrezzi conservati in casa. A Dermulo qualcuno era noto per avere la cattiva abitudine di rubare, come ad esempio Angelo Melchiori, che si presentava all’aggiunto Sartorelli, come persona già “conosciuta” dalla giustizia, ma non era sicuramente l’unico. Dalle dichiarazioni di Maria Giuliani, ragazza quattordicenne in servizio presso la famiglia, non emergono contraddizioni rispetto a quanto dichiarato dai suoi padroni; aggiunge solo che quando Pietro doveva partire di buon ora da casa con i buoi, si alzava verso le 4 ed allora era solito preparare lo strame per il loro pabulo, facendolo a pezzi con la sega e facendosi luce con una lucerna chiusa con vetri. Però l’operazione non veniva svolta sulla spleuza ma sul somasso sottostante, e comunque la situazione non si era verificata il giorno dell’incendio perché come detto, Pietro era ancora a letto.
Ad incuriosire l’aggiunto Sartorelli arrivano poi delle dichiarazioni secondo le quali Pompeo Endrizzi, un bambino di nemmeno 7 anni, avrebbe intravisto un uomo nel sottotetto Inama proprio la mattina dell’incendio. Quella mattina il ragazzo era stato mandato dalla madre Teresa alla casa dei nonni [7] per avvertirli di preparare la polenta. Pompeo che abitava con la madre Teresa Mendini [8] e il padre Romedio Endrizzi nella casa n. 13-14, soprastante la n. 20-21, aveva quindi percorso verso le 4 di mattina la strada che scendeva dopo la Ciavada e che circondava la doppia casa di Teresa e Pietro Inama. In prossimità della casa superiore Inama-Mendini, stando al suo racconto, aveva udito dei rumori come se qualcuno stesse calpestando la paglia, ma non solo, aveva intravisto un uomo con una lanterna in mano, il quale essendosi accorto della sua presenza lo aveva minacciato mostrandogli il pugno. Al che, spaventato, Pompeo si diresse verso la casa dei nonni.
Fin qui la storia può essere credibile, ma poi il bambino si sbilancia e descrive addirittura in quale modo l’uomo fosse vestito, come fosse privo di copricapo e perfino il colore degli indumenti, caratteristiche impossibili da cogliere in condizioni di assenza quasi totale di luce. Aggiunge che aveva già incontrato l’individuo (che non era di Dermulo) qualche giorno prima, a metà della discesa (quindi a metà Pontara) quando faceva ritorno dai suoi nonni. A qualcuno Pompeo aveva raccontato di aver sentito pure una voce dire: “lasciamo che passi quella lume”. Che Pompeo avesse percorso la strada la mattina presto intorno alle 4 fu confermato anche dalla madre Teresa, ma di tutta la storia da lui riferita, lei disse di sapere solo che il figlio aveva udito un rumore sulla spleuza.
Il racconto di Pompeo come prevedibile, non fu ritenuto affidabile anche perché, la nonna Giulia, interrogata riguardo all’attendibilità del nipote, ammise che il ragazzo qualche anno prima era rimasto scosso udendo i lamenti in punto di morte di Romedio Mendini (padre di Teresa), tanto che ne era ancora impaurito e credeva che il Mendini potesse aggirarsi ancora nella casa. In conclusione Pompeo, descritto da Teresa moglie di Pietro, come ragazzo “leggero e bugiardo”, non fu creduto.
L’attenzione dell’esaminatore si portò quindi a verificare se ci fosse del vero nelle voci che una persona originaria di Dro, definita come disertore, avesse augurato alla famiglia di Pietro Inama di bruciare in casa, come risposta a un presunto torto ricevuto. Una certa Orsola, maritata Mascotti, abitante al Maso Voltoline aveva riferito di questo personaggio che si era portato al maso qualche giorno prima e che, a giudicare dal comportamento non proprio molto composto, doveva essere in preda ai fumi dell’alcol. Tale uomo aveva raccontato a lei e a sua cognata di esser stato scacciato in malo modo dalla casa di Teresa Inama, dove gli era stata negata la richiesta carità, per cui disse che “si sarebbero meritati di bruciarsi in casa”. Teresa Mendini interrogata al proposito negò decisamente di aver avuto a che fare con una persona simile e concluse che sicuramente l’uomo si era sbagliato e probabilmente si riferiva ad altre persone e ad altra casa.
Lucia Inama moglie di Romedio Mendini, dalla finestra della sua casa posta a mattina rispetto a quella di Pietro e Teresa, asserì di essersi accorta dell’incendio quando il fuoco che ardeva nel sottotetto era ancora all’inizio essendo della “grandezza di un grembiule”. Dopodiché aveva dato l’allarme al marito Romedio che aveva provveduto ad allontanare i figli. Anche Bortolo Mendini, padre di Teresa fu testimone del fatto, poiché affermò che già si trovava con il mulo sulla strada sopra al paese in procinto di recarsi a Rumo, quando aveva notato il fuoco. Al che, aveva abbandonato il mulo sulla strada ed era accorso per aiutare gli incendiati.
Dalle testimonianze emerge anche che qualcuno, per il gusto di dimostrare agli altri la conoscenza dei fatti, si è lasciato andare a vaghe allusioni, poi verificate e approfondite dall’I.R. esaminatore. E’ il caso di Luigia figlia di Giacomo Antonio Inama, prima cugina di Pietro che in una conversazione fra donne si lasciò scappare che il fuoco era stato appiccato da qualcuno, e incalzata su chi fosse stato l’autore, avrebbe risposto “chi odia Pietro e si sa bene chi sia!”. Di fronte all’Aggiunto Sartorelli la questione si ridimensionò parecchio e Luigia negò di essere a conoscenza di chi odiava Pietro e conseguentemente dell’autore del dolo.
Che Pietro fosse stato invidiato da qualcuno poteva essere plausibile: è evidente che il suo matrimonio con Teresa, dal punto di vista economico era stato un vero affare. A quei tempi l’indipendenza economica, (se così si poteva chiamare) si raggiungeva nella maggior parte dei casi dopo la morte dei genitori e lo stato di nullatenente di Pietro, fu confermato da lui stesso durante l’interrogatorio. Pietro quindi, sposando Teresa figlia unica del tessitore Romedio Mendini, oltre al soprannome dei Mendini, Guslot, aveva ereditato anche il cospicuo patrimonio della famiglia. Qualcuno avrà storto il naso, magari un vecchio spasimante di Teresa, chissà! Non sembra comunque ci fossero evidenze di dissapori così manifesti da far sospettare che qualcuno potesse arrivare addirittura a incendiare la casa. Non è stata invece, come già detto, approfondita la circostanza di quel presunto colpo di schioppo udito dai coniugi Inama prima dell’incendio. E’ possibile che qualcuno, per motivi sconosciuti abbia sparato un colpo che accidentalmente era finito nel sottotetto provocando l’incendio? Non so se tecnicamente una cosa del genere sia possibile, ma in ogni caso il fatto non fu ritenuto degno di attenzione.
Le indagini del dottor Sartorelli si conclusero quindi senza che fossero emersi elementi per incolpare qualcuno dell’accaduto, per cui  il caso fu archiviato.
A mio avviso l’ipotesi di Teresa, che qualcuno si fosse introdotto sulla spleuza per rubare la biancheria e poi avesse accidentalmente provocato l’incendio, a differenza delle altre, è la più plausibile, e la testimonianza del bambino Pompeo potrebbe essere una conferma di tale ipotesi. Infatti la circostanza del rumore, - e solo quella, - era stata riportata da Pompeo alla madre e pure al nonno Bortolo. Tutti i fatti raccontati dopo, potrebbero invece essere stati ripresi da discorsi sentiti dagli adulti; non bisogna dimenticare che Pompeo era un bambino ancora molto piccolo fra i sei e i sette anni di età, e possiamo immaginare a quale tensione emotiva fosse andato incontro nel doversi presentare davanti al dottor Sartorelli per sostenere l’interrogatorio.
Infine, una considerazione su quello che, attenendosi ai fatti raccontati, potrebbe essere sconcertante e che, a mio avviso, getterebbe un’ombra di sospetto su Romedio Mendini. Quest’ultimo abitava con la sua famiglia nella casa n. 14, ossia a mattina della casa di Pietro e Teresa, e precisamente nella porzione dirimpetto alla casa “superiore” dei coniugi Inama. Dell’incendio, descritto come “non più grande di un grembiule” e "ancora di colore scuro", si era accorta per prima Lucia, moglie di Romedio, la quale poi aveva allertato il marito che pensò immediatamente a mettere in salvo la figliolanza. Obiettivamente, pur capendo la concitazione del momento, non si può non osservare come, la premura di Romedio per la famiglia fosse stata un po’ eccessiva, in quanto sarebbe stato impossibile che l’incendio avesse raggiunto casa sua. Andrea Eccher che sicuramente aveva visto l’incendio già propagato, si recò al campanile per suonare la campana a martello e vi giunse prima di Romedio. Mattia Endrizzi infatti, che inizialmente era in compagnia di Andrea, asserì che mentre stava percorrendo la strada limitrofa alla casa di Pietro aveva incontrato Romedio Mendini che aveva intenzione di raggiungere il campanile per dare l’allarme. Al che, l’Endrizzi lo invitò a ritornare indietro, perchè se ne stava già occupando Andrea Eccher. Viene quindi da porsi una domanda: come mai Romedio avrebbe dato l’allarme alla comunità, nella migliore delle ipotesi, nello stesso momento di Andrea Eccher, ma molto probabilmente dopo di lui, pur avendo avvistato prima l’incendio? Si direbbe che Romedio avesse quantomeno tergiversato e in questo caso emergerebbe una certa indifferenza per quello che stava succedendo, se non addirittura una colpa. Potrebbe essere stato lui, che sicuramente possedeva un’arma da fuoco, a far partire lo sparo poi udito dai coniugi Inama? Se lo sparo fosse partito dalla casa di Romedio, la traiettoria sarebbe stata ottimale per raggiungere l’angolo sud-est della casa “superiore” di Pietro. Oppure Romedio, che aveva una preparazione militare, (avendo fatto parte dei Cacciatori Imperiali,) potrebbe aver gettato in soffitta qualche oggetto innescante l’incendio. Anche il suo rapportarsi con Pietro che aveva incontrato in quei drammatici momenti in cui infuriava l’incendio, non sembra dimostrare una grande sensibilità, lo incalzava infatti, già prevenuto, con una frase del tipo “cosa hai combinato”? Domanda che risulterebbe un po’ ambigua e beffarda, se il colpevole fosse stato lui. Romedio dichiarando le sue generalità davanti all'Aggiunto Sartorelli, ammise di aver avuto già a che fare con la giustizia, essendo in precedenza già stato inquisito e condannato. Il motivo però, non molto chiaro, venne relegato da Romedio, a errore giudiziario. Il Mendini si premura pure di indicare un’altra persona su cui indirizzare le indagini, ossia il fantomatico disertore; potrebbe sembrare un modo per sviare i sospetti.

Ma quali motivi avrebbero spinto Romedio a compiere tale fatto? Romedio figlio del fu Vigilio era primo cugino dell'omonimo Romedio padre di Teresa. Quest'ultima possedeva la casa vecchia dei Mendini, ex maso di Castel Valer, proveniente dall'eredità del nonno Giuseppe. Vigilio Mendini, fratello più giovane dell'appena citato Giuseppe e padre del "sospettato" Romedio, aveva lasciato per un buon periodo Dermulo per abitare a Tavon nel maso di famiglia. In seguito Romedio aveva fatto ritorno in paese dove sposava Lucia figlia di Giovanni Inama. In passato il legame fra i membri dello stesso casato era molto forte, e si poneva molta attenzione, affinché il patrimonio immobiliare non andasse disperso fuori dal clan. Nel caso specifico, una cospicua parte del patrimonio che fu dei Mendini, si era trasferito agli Inama con il matrimonio fra Teresa e Pietro celebrato nel 1845. Non si può escludere che ci fosse stata una certa invidia da parte di Romedio, nel vedere la casa che fu per secoli dei suoi avi, finire di fatto in mano alla famiglia Inama. Ed allora la frase pronunciata da Luigia Inama, riguardo all'identità del presunto piromane: “chi odia Pietro e si sa bene chi sia!”, sarebbe da rivalutare. Nell'esternazione ci poteva essere un fondo di verità e per timore di dover fare dei nomi e di conseguenza esporsi a un pericolo di ritorsione, la frase non fu confermata durante l'interrogatorio. Naturalmente siamo sempre nel campo delle ipotesi e magari Romedio era del tutto estraneo al fatto, ma, come abbiamo visto, alcune circostanze sono poche chiare, e le motivazioni per compiere tale gesto non sarebbero mancate a Romedio.
In ogni caso l’incendio provocò danni per migliaia di Fiorini e nonostante l’assicurazione contro gli incendi fosse un'opportunità già allora fruibile, probabilmente per l’indigenza diffusa, erano pochi ad avvalersene. Il danno più importante, quantificato in 667 Fiorini, lo ebbe naturalmente la casa di Teresa e Pietro Inama. A questa somma si dovevano aggiungere altri 215 Fiorini di altri beni mobili andati distrutti. Per la casa dei fratelli Battista e Pietro Mendini il danno fu di 452 Fiorini, mentre per la chiesa di 581. Barbara Massenza e Angelo Melchiori, affittuari dei suddetti fratelli Mendini, patirono un danno per la perdita di granaglie, stimato rispettivamente in 100 e 40 Fiorini.
Nessuna delle case incendiate era assicurata e quindi i proprietari dovettero sobbarcarsi i costi di ripristino. Qualche aiuto fu ricevuto riguardo ai materiali quali per esempio il legname per rifare i tetti che fu assegnato a un prezzo di favore dal comune di Coredo, previo interessamento del Giudizio di Cles. Si ha notizia pure dell’istituzione di una colletta “pro incendiati di Dermulo”, fra le comunità del Tirolo, della quale però non conosciamo l'importo raccolto. Per quanto riguarda la chiesa oltre al danno ci fu anche la beffa. Gli amministratori di questa, infatti, erano stati lungimiranti avendo stipulato nel 1843 e per la durata di nove anni un contratto di assicurazione contro l’incendio con la Compagnia Assicurazioni Generali Austro-Italiche. I versamenti del premio dovevano essere annuali ma i premi relativi al biennio 1846/1847, per qualche oscuro motivo non furono pagati, per cui giustamente l'assicurazione si rifiutava di risarcire i danni. Incominciò quindi un’altra serie d’interrogatori per stabilire la responsabilità del mancato pagamento con una sequenza di rimpalli dal Sindaco della chiesa, fatalmente lo stesso Pietro Inama, al Capocomune sfortunatamente suo padre Baldassarre, al primissario don Giacomo Mendini, al pievano di Taio, senza che si venisse a capo della questione. Il costo di ricostruzione fu perciò a carico della comunità.



Di quel lontano evento ho potuto personalmente costatarne la traccia alcuni anni or sono (2009) quando in occasione dello scavo effettuato in paese per la posa delle tubature del gas metano, nel tratto della via Strada Romana che va dalla casa di Romeo Inama (ex Mendini) fino ai piedi della Pontara, alla profondità di circa 20 cm era possibile vedere uno strato di materiale combusto costituito da calcinacci, mattoni e altro, allungarsi per tutto il percorso dello scavo e che evidentemente al momento del ripristino delle costruzioni incendiate, fu trovato comodo spargere sull’adiacente strada.



[1] La casa n. 29, detta “ciasa nova”, fortunatamente ancora non esisteva, altrimenti il fuoco attraverso il tetto, considerata l’estrema vicinanza che questa casa avrebbe avuto da quella da dove si era originato l’incendio, avrebbe potuto raggiungere con facilità anche il caseggiato 16-17-18-19, con un esito quindi ben più pesante.

[2] Teresa non era la proprietaria della casa incendiata ma un’omonima, figlia di Bortolo Mendini.

[3] Suonare le campane a martello, consisteva nel battere col batacchio la campana, in modo da produrre ritocchi secchi e regolari con lo scopo di avvertire la comunità di un pericolo imminente.

[4] All’epoca però l’altezza delle case era inferiore a quella visibile adesso poiché la maggior parte aveva solo un piano oltre alla soffitta.

[5] Il sottotetto (spleuza o straduge in dialetto) nelle case dell’epoca era “a vista” non essendoci le pareti ma solamente le travature di legno atte a sostenere il tetto.

[6] Qualcuno aveva forse sparato sul sottotetto della casa provocando l’incendio? Forse il rumore dello sparo non era così vicino da prendere in considerazione questa evenienza!

[7] La casa dove abitavano in affitto i nonni materni di Pompeo era la parte a mattina della casa n. 23. In quella casa proprietà di don Giacomo Mendini, i coniugi Bartolomeo Mendini e Giulia Demagri gestivano una bettola.

[8] Teresa Mendini figlia di Bortolo e Giulia Demagri era nata a Dermulo il 27 giugno del 1812 e nel 1832 aveva sposato Romedio figlio di Giacomo Endrizzi. Teresa era omonima di Teresa Mendini figlia di Romedio e moglie di Pietro Inama. La decisione di fare colazione assieme fu probabilmente presa perché sia Teresa che il padre Bortolo quella mattina dovevano partire molto presto da Dermulo. Teresa doveva recarsi a Mezzolombardo mentre il padre Bortolo a Rumo a comperare mele presumibilmente dai parenti di sua madre Domenica Bacca. Questa notizia di dover recarsi a Rumo a comprare mele, non so se dettata da una penuria di frutta nel circondario di Dermulo, o solamente per questioni economiche è abbastanza curiosa. Forse Bortolo adoperava la merce per la sua bettola.