FRAMMENTI DI GENEALOGIA


 

 

DOMINO MAZONO VIVIANO BENEDETTO DUCA FRISON BONACCORSO
BONACONTA INAMA PILATO SAVORITO BARBACOU ZATON CHILOU


INTRODUZIONE

 

In questa pagina ho preso in considerazione alcune persone che abitarono a Dermulo in tempi molto antichi e la cui collocazione genealogica è incerta. Pertanto è stato possibile sviluppare in maniera ridotta la genealogia sia a monte che a valle (con qualche eccezione). La poca disponibilità di documenti del XIII e XIV secolo e la conseguente scarsità di nomi apparsi, ha determinato per forza maggiore la ricostruzione incompleta della loro discendenza. I documenti più antichi riportanti un buon numero di abitanti di Dermulo sono essenzialmente cinque, ossia quelli contenuti nel codice Wanghiano, datati 1218 e 1220 (molto simili tra loro), il documento del 1275 riguardante una ricognizione dei beni vescovili a Dermulo, il documento del 1346 concernente l'assegnazione del diritto di regolaneria a Stefano di Malgolo e l'elenco dei debitori gafforiali del 1387. In altri documenti le apparizioni dei dermulani si sono manifestate in modo sporadico; mai quindi, riguardanti l'intera comunità o un numero soddisfacente di persone.[1]  Nel 1471 alla redazione della carta di regola della comunità di Dermulo, appaiono tutti i vicini aventi diritto, ma sorprendentemente, risultano essere solo sette. Questi, comunque, delineavano già le future famiglie dermulane. Per ottenere un elenco importante di nomi si dovrà aspettare quasi cento anni, ossia alla riunione di regola del 1554, dove la quasi totalità degli individui apparsi, ha la sua chiara collocazione all'interno degli alberi genealogici delle rispettive famiglie.

Alle persone elencate nei primi documenti del 1218 e 1220, non è stato possibile collegare con sicurezza nessun nominativo di quelle apparenti nel 1275. Ho azzardato qualche ipotesi, solo basandomi sulla ripetizione di nomi peculiari. Tra l'elenco del 1275 e quello del 1346 è stato possibile fare qualche connessione. Molto importante l'atto della regola del 1346, con un elenco nutrito di paesani e, determinante per alcune rivelazioni, anche l'elenco dei debitori gafforiali del 1387. In realtà quest'ultimo documento è un insieme di notizie riguardanti un arco temporale che si colloca tra il 1340 e il 1370, e pur non essendo scevro da errori, ha fornito alcune notizie molto interessanti.
Tre famiglie provenienti da fuori paese, risiedettero a Dermulo per diverse generazioni, in quanto locatarie del maso vescovile dei Casali. In ordine cronologico furono la famiglia di Benedetto da Campo, la famiglia Duca e quella Frisoni.
Ho considerato in questa pagina ,anche alcune informazioni frammentarie sui Barbacovi e sui Chilovi di Taio, in qualche modo relazionati con Dermulo e infine un ramo di una famiglia Inama, il cui capostipite Antonio si era trasferito a Fondo intorno alla metà del Quattrocento. I discendenti di Antonio, mantennero comunque un legame abbastanza stretto con Dermulo, fino alla metà dell'Ottocento.
Per le testimonianze presenti in documenti diversi da quelli principali sopra citati, ho riportato, ove possibile, degli spezzoni di immagine del documento con evidenziati i nomi interessati.
 

 

LA DISCENDENZA DI DOMINO

Dòmino (o Domìno?) è un raro nome medioevale che deriva da Domenico. Egli appare nel documento del 1275 ed assieme a Giorgio e a Mazono era stato scelto come persona informata, per la redazione dell'elenco dei beni dell'episcopio di Trento localizzati a Dermulo. La circostanza delle sue pluri citazioni fra i possessori e i confinanti, palesa una certa sua importanza sociale nella comunità. Domino nel 1275 possedeva un terreno a Rovesso assieme ai suoi sconosciuti fratelli, per cui nello schema qui sotto ho considerato che i fratelli fossero almeno due. In un documento del 1294 sono citati come testimoni i fratelli Bonato e Giacomo figli del già defunto Domino. Di Bonato conosciamo due figli, Nicolò e Selva, la quale era maritata con Benedetto fu Alessio di Smarano. Nel documento del 1308 presente nell'archivio parrocchiale di Coredo, donna Selva, alla presenza di Bonato fu Domino e Benedetto, rispettivamente padre e marito, rinunciava alla somma di 40 libbre veronesi avute da Nicolò fu Enrico abitante a Coredo.
Nel 1334 in un documento redatto a Tassullo, appare un tale Giovanni figlio del fu Bonano di Dermulo. Bonano era un nome proprio sicuramente esistente, ma non avendo avuto altri riscontri a Dermulo, esprimo almeno un dubbio che non si fosse trattato di Bonato. In questo caso Giovanni sarebbe il terzo figlio di cui si ha contezza. Inoltre sia nel Gafforio del 1387 che nel documento del 1346 troviamo citato un Nicolò figlio del fu Giovanni.
Riguardo a Giacomo fratello di Bonato, ho ipotizzato che si potesse riconoscere nel defunto Giacomo padre di Pietro, elencato fra i vicini di Dermulo nel 1346. Anche in questo caso, considerando come prova solamente l'onomastica, Giacomo potrebbe essere stato il capostipite dei Pret a Dermulo. Allo stesso tempo non posso escludere nemmeno che il Giacomo capostipite dei Pret, invece, fosse il Giacomo figlio di Nicolò detto Pagnono o forse nessuno dei due. Infine nel libro dei Gaffori, datato 1387, appare un altro figlio di Bonato, ossia Nicolò. Basandoci sulle testimonianze attuali, non possiamo aggiungere altro, ma ritengo comunque che la discendenza si sia estinta.

 

 

"donna Selva uxor Benedicti......bonato q.domini de armulo patre dicta Selva..."  come appare nel documento redatto a Smarano il 5 maggio 1308 (AP Coredo)

 

 

 

LA DISCENDENZA DI MAZONO

Anche Mazono fa la sua apparizione nel documento del 1275 e al pari di Domino, era stato scelto per elencare i beni vescovili a Dermulo. Il suo elevato numero di ricorrenze come possessore o confinante ci fa capire l'importanza sociale che aveva in paese. Nel 1306 Belvesino Thun concedeva un prestito di 7 Lire di piccoli veronesi a Bosco figlio del fu Mazono, il quale si impegnava a restituirle entro un anno. Dallo stesso documento apprendiamo che Bosco aveva un fratello di nome Simeone. Il nome molto particolare, Bosco, mi ha suggerito una probabile parentela con un altro Bosco, citato nello stesso documento del 1275.



"boscus q. mazoni de armulo" e "Simeonis q. mazoni de armulo" come appaiono nel documento redatto a Taio il 3 aprile 1306 (Arch. Castel Thun)

 

 

LA DISCENDENZA DI VIVIANO

La breve ipotesi genealogica di Viviano, abitante a Gardolo nel 1291, è basata esclusivamente sull'onomastica. Il nome Viviano, infatti, è presente nei documenti del 1218 e del 1220 con due occorrenze. In una risultava come il già defunto padre di Giacomino, Alberto e Giordano; nell'altra ancora vivente e figlio del fu Martino de Solado. Confidando sulla trasmissione del nome di padre in figlio, ho ipotizzato che il Giordano figlio di Viviano, potesse essere un avo, (forse il nonno) di Giordano (Zordano) vivente nel 1275 e quest'ultimo poi il padre di Viviano abitante a Gardolo. Viviano è apostrofato cestario che ritengo rispecchiasse la sua occupazione. Un'altra ipotesi genealogica è che il Viviano trasferito a Gardolo, discendesse dal Viviano vivente nel 1220 e a sua volta figlio di Martino de Solado. Come già detto però, si rimane sempre nel campo delle congetture.

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"Viviano zestario q fuit d armulo", come appare nel documento redatto a Trento il 9 dicembre 1291 (APV sez. Latina Capsa 64 n. 102)

 

 

LA DISCENDENZA DI BENEDETTO

Bonamico figlio del fu Benedetto di Campo appare per la prima volta a Dermulo nel 1346, nella pergamena della regola della comunità di Dermulo. Nello stesso documento era presente il figlio Nicolò. Ma è solo grazie al documento del Gafforio del 1387, dove si cita Feltrino figlio di Nicolò, che si viene a sapere il motivo per il quale Bonamico, o forse già suo padre Benedetto, abitavano a Dermulo. E questo motivo era da ricercare nel contratto di locazione che avevano stipulato per la conduzione del maso vescovile dei Casali. Nessun'altra notizia è trapelata circa il destino di Feltrino ma è probabile che la sua discendenza, almeno a Dermulo si sia estinta. Certo è che il maso dal 1425 risultava dato in locazione ai Duca di Coredo. Un Bartolomeo figlio del fu Benedetto di Campo, quindi un fratello di Bonamico, risultava confinante di un terreno a "Praholven" a Rallo intorno al 1380.


"feltrinus q. nycolai q. bonamigi de armulo" come appare nel documento del 1387 (APV sez. Latina Capsa 28 n. 27)

 

 

LA DISCENDENZA DI STEFANO DETTO DUCA

Apprendiamo dell'esistenza di Stefano, soprannominato Duca, in un documento del 1425 presente nell'Archivio di Castel Bragher, riportato da don Endrici nella suo libro "Coredo nell'Anaunia". A pagina 107 l'autore riporta: "Odorico detto anche figlio del fu  Stefano abitante a Dermulo". La parola "anche" era da leggersi "duca" e infatti è con questo cognome/soprannome, poi usato col diminutivo Ducat o Dassat, che saranno contraddistinti i discendenti di Stefano. Non sappiamo se altri figli di Stefano fossero rimasti a Coredo e se avessero dato vita ad altri casati, ma a Dermulo sicuramente vissero almeno per tre generazioni. Dal documento del 1446, dove Antonio appare assieme a Vincenzo di Tres, addirittura non si cita nemmeno che Odorico fosse figlio di Stefano ma figlio "del Duca" di Dermulo. Da Odorico che morì prima del 1437, discese Antonio documentato in due atti del 1437 e 1438. Di Antonio conosciamo il figlio Bartolomeo che appare fra i vicini alla stesura della carta di regola del 1471. Bartolomeo fu l'ultimo Duca a dimorare a Dermulo, infatti, già nel 1482 lo troviamo a Coredo, come risulta da una pergamena di Castel Bragher, dove appare fra i testimoni con la seguente dizione "Bahio dictus dussat de ermulo habitatoris coredi" ovvero "Bartolomeo detto Dussat di Dermulo abitante a Coredo". E' molto probabile che Bartolomeo avesse abbandonato Dermulo poco tempo dopo la stesura della carta di Regola, lasciando il posto a Nicolò Frison, pure di Coredo. All'infuori dei personaggi citati non sono noti altri membri della famiglia, ma sicuramente ce ne saranno stati altri. I Duca erano scesi da Coredo a Dermulo come affittuari del maso vescovile dei Casali e in tale veste seguirono cronologicamente i discendenti di Benedetto di Campo e precedettero la famiglia Frison, pure di Coredo.


"Antonio fillio odorici fillii dicti duce de ermulo" come appare nel documento redatto a Taio il 18 maggio1437. (Arch. Castel Bragher)


"Antonio q. odorici dicti ducis de Armulo" come appare nel documento redatto a Dermulo il 29 giugno 1438. (AP Tres)
 


"Bartolomeo dicto dussat de ermulo habitatore coredi" come appare nel documento redatto a Castel Bragher il 26 agosto 1482. (Arch. Castel Bragher)

 

 

I FRISONI DI COREDO

I Frisoni furono i successori dei Duca alla conduzione del maso dei Casali. A Dermulo il primo rappresentante di questa famiglia fu Nicolò che nel 1490 riceveva il rinnovo di investitura del maso. Essendo un rinnovo, il precedente documento doveva essere stato steso circa vent'anni prima, quindi intorno al 1472, anno nel quale ci fu la transizione con Bartolomeo Duca. Nel libro dei Gaffori del 1510, si trova infatti che Pietro fu Nicolò Frison pagava  il canone per il maso vescovile denominato Maso Dusati. Pietro appare anche in un documento del 1513, come confinante di un terreno a Dermulo in località alla Cros. Non essendoci in questo luogo terreni pertinenti al maso dei Casali, se ne deduce che l'immobile era una proprietà del Frisoni. Pietro fu uno dei capi nella rivolta del 1525 contro il principe vescovo Bernardo Clesio, ai quali furono date le chiavi di Castel Cles. Di Pietro conosciamo solo un figlio di nome Antonio, il quale era già defunto nel 1554 ed i suoi eredi furono rappresentati da Rigolo Mendini all'adunanza di regola in quell'anno. Nel 1563, (ma in realtà il documento fu stilato nel 1564), gli eredi di Antonio I Frison, ossia Antonio II e Baldassarre, a nome anche di loro fratello Leonardo II che era assente, cedevano la conduzione del maso dei Casali a Fabiano fu Tommaso Massenza di Dermulo. Leonardo II, come risulta da una nota aggiunta alla registrazione del 1510, fu la persona di riferimento della famiglia Frison dopo la morte del padre Antonio e per tale motivo ritengo che fosse stato il suo figlio maggiore. Nel documento del 1564 appare anche un Leonardo III figlio di Giovanni Frison, in qualità di confinante di un terreno a Campolongo. Giovanni I dovrebbe essere stato un figlio di Leonardo cugino di Antonio fu Pietro. Giovanni I, come suo padre Leonardo I, viveva a Coredo e non aveva interessi nella locazione vescovile. Giovanni però era locatario di un terreno proprietà Thun nella zona a Castel, per il quale pagava un canone di 4 staia di frumento. In tale veste lo troviamo nei registri delle entrate di Castel Bragher a partire dal 1540 fino al 1564. Dopo tale data troviamo invece suo figlio Leonardo III e quindi suo fratello ancora di nome Giovanni II. Le testimonianze dei fratelli Frison proseguono fino al 1579, ma nessuno di loro abitò più a Dermulo. Don Edoardo Endrici nel suo libro "Coredo nell'Anaunia, Memeorie storiche", a pagina 70 riporta l'anagrafe di Coredo compilata dal parroco don Tommaso Desiderati nel 1572. Dall'elenco risulta che la famiglia di Leonardo III, costituita da 8 individui, era l'unica famiglia Frisoni in paese, ed infatti nei primi anni del Seicento il cognome si estinse. 

 

 

 

 

LA DISCENDENZA DI BONACORSO

Bonacorso I, vivente nel 1275, è la persona che ho considerato il capostipite della breve discendenza vissuta a Dermulo. Bonaccorso aveva generato due figli documentati nel 1346, Resto e Nicolò, quest'ultimo soprannominato Pagnono. I due fratelli a loro volta generarono almeno due figli, entrambi di nome Bonaccorso (come il presunto nonno), documentati nel 1346. Nel citato documento del 1346 appare un Giacomo figlio del fu Pagnono e per tale motivo possiamo affermare che con "Pagnono" si intendesse il già defunto Nicolò. Di Bonaccorso III abbiamo un'altra testimonianza documentale nel 1355, quando presenziava come testimone a Mollaro, durante la stima della decima spettante a Pietro Thun in quella villa. Altro su queste persone non è dato a sapere. Forse, ma con un'ipotesi azzardata, potremmo trovare in Giacomo vivente nel 1346 una traccia della futura famiglia Pret.


"Bonacursio qd. Nicolai de Armulo", come appare nel documento redatto a Mollaro il 25 ottobre 1355. (Arch. Castel Bragher)

 

 

 

LA DISCENDENZA DI BONACONTA

Bonaconta o Bonazunta fu il capostipite di tutti gli Inama attualmente viventi. Egli fino ad oggi appare come già defunto in due distinti documenti, uno nel 1346 e l'altro del 1387.[2] Hanns Inama Sternegg, non trovando collegamenti precedenti, aveva ipotizzato che Bonaconta si potesse riconoscere con un omonimo vivente a Tres tra il 1288 e il 1292. Su questa affermazione però, nonostante possa essere verosimile, esprimo qualche dubbio, in quanto la mancanza di riferimenti nell'elenco del 1275, oppure i pochi nomi presenti in un documento del 1294, non possono far escludere, come invece asserito dall'Inama-Sternegg, un'origine autoctona. In particolare considerando che il nome Nicolò è molto rappresentato nella discendenza, si potrebbe ipotizzare che il padre di Bonaconta, fosse stato il Nicolò apparente nel documento del 1275.
Di Bonaconta sono noti quattro figli, Innama, Delaito, Francesco Simeone e Bagoto. Dei primi tre si ha riscontro sia nella regola del 1346 (Innama fu Bonaconta, Delaito suo fratello, Francesco Simeone fu Bonaconta) che nel gafforio del 1387 (Innama, Delaito, Symeon); inoltre, nel 1387 appare un tale Bagoto figlio del fu Bonaconta.
[3] Fra i figli di Bonaconta proseguirono sicuramente la discendenza solo Innama e Delaito.
Il primo ha originato una progenie molto estesa, diffusasi in valle e anche fuori, di cui io ho considerato solamente la linea dermulana, approfondendo in questa pagina, solamente un ramo della famiglia di Fondo che aveva mantenuto interessi a Dermulo.
Delaito invece, documentato anche nel 1357, come il già defunto padre di Nicolò, aveva generato un altro figlio di nome Francesco. Di quest'ultimo non abbiamo altri riscontri, mentre la sequenza accertata nel 1446, con Margherita figlia di Nicolò, a sua volta figlio di un Delaito, ci permette di ipotizzare un legame con il Nicolò vivente nel 1357, ovvero che Dalaito fosse stato suo figlio. Nel documento Nicolò è soprannominato "barba coo", quindi "zio Nicolò" o forse "il Nicolò dalla barba", figlio del fu Delaito di Dermulo. Questa citazione è stata illuminante anche per lo sviluppo della genealogia Barbacovi narrata più sotto.
Fatto certo è che dopo il matrimonio fra Margherita figlia di Nicolò di Dermulo e Nicolò figlio di Antonio Cordini di Taio, la nuova famiglia si trasferì a Dermulo, dando origine al ramo Cordini dermulano.

 


 


"nicolaum q. delaiti de armulo", come appare nel documento redatto a Castel Bragher il 26 febbraio 1357. (Arch. Castel Bragher)

 


"Juliana...delaytus eius fr...Simeon ..", come appare nel documento del 1387.(APV sez. Latina Capsa 28 n. 27)

 


"heredes q delayti de armulo", come appare nel documento redatto a Coredo il 10 agosto 1444. (Arch. Castel Bragher)

 


"honesta nuuros donna Malgarita fillia ac heredes olim nicholay dictus barba coy fillius ac heredes olim Ser delayti de armulo", come appare nel documento rogato a Taio il 21 agosto 1446 (Arch. Thun Decin)

 

 

LA DISCENDENZA DI ANTONIO INAMA DI FONDO

Parte della discendenza di Antonio fu Inama trasferitosi a Fondo intorno al 1475, ci interessa particolarmente in quanto un ramo della famiglia, deteneva fin d'allora a Dermulo una casa e alcuni terreni. Il maso fu proprietà per quattro secoli dei discendenti di Antonio Inama, e nel 1849 fu alienato all'ultimo masadore, Romedio Emer. Qui mi limito solamente ad esporre la tavola genealogica relativa ai discendenti di Antonio. Per altre notizie sui possessi della famiglia Inama di Fondo nel paese di Dermulo, vedi "Il maso Inama di Fondo".

 

 

NICOLO' DETTO PILATO

L'ascendenza del capostipite delle famiglie Pilati è da ricercare nel paese di Dermulo, dove infatti verso la metà del Duecento viveva il progenitore certo, di quel Nicolò detto Pilato, trasferitosi  a Tassullo intorno al 1370. Martino, questo era il nome, è documentato come già defunto nel 1294, ma probabilmente lo era già nel 1275, in quanto nei documenti appariva il figlio Negro detto Segalla. Infatti nel 1275, nell'elenco dei beni vescovili a Dermulo, Segala figurava come confinante di un terreno in Saldato, e questa è l'unica occorrenza nel documento. Prima però di poter visionare il documento del gafforio del 1387, non avrei avuto la possibilità di stabilire che Segala fosse la stessa persona di Negro, ovvero che fosse il suo soprannome. Nel 1387 infatti troviamo elencati tre nomi in modo particolare, che ci permettono di dipanare dei dubbi pregressi, ossia Vender q. Negri dicti Segale, Muletus q. Nigri e Avancius q. Segale. Quindi i tre fratelli Vender, Muleto e Avancio erano figli di Negro detto Segala. Gli stessi tre fratelli sono riportati anche nel documento del 1346 come figli di Negro, ma senza che il soprannome Segala fosse menzionato. Invece nel documento del 1294, si nomina fra i testimoni Segalla figlio del fu Martino. Concludendo, quindi, possiamo affermare che Segalla fosse stato il soprannome personale di Negro. Per quanto riguarda il destino dei discendenti di Negro, il più interessante e documentato riguarda Nicolò, figlio di Avancio che verso il 1370 si era stabilito a Tassullo. Molto probabilmente il suo trasferimento fu dovuto ad un matrimonio con una donna ereditiera di quel paese. In ogni modo, il prestigio sociale di Nicolò si accrebbe considerevolmente, tanto che i Pilati, dopo alcuni anni assursero ad una delle famiglie più importanti delle Quattro Ville. Per altre notizie sui Pilati vedi l'albero genealogico di Tullio Corradini.

 

 

 

 

LA DISCENDENZA DI SAVORITO

Il nome molto particolare del capostipite Savorito, mi ha permesso di tracciare tre generazioni di persone e, fatto raro per quell'epoca, di conoscere anche il nome di qualche rappresentante femminile. Specificatamente ci sono pervenuti i nomi di Flordebella, madre di Savorito I e di Anna moglie di Nicolò. Del primo Savorito abbiamo due testimonianze, la prima del 1343, dove da un documento dell'archivio parrocchiale di Coredo relativo alla locazione di un terreno a Dermulo, fra i confinanti appare identificato come figlio di Flordebella. L'altra testimonianza, è relativa al documento del 1346, dove viene citato Saporito Tarando, figlio del vivente Savorito. Un'altra notizia interessante ci è pervenuta dai rogiti del notaio Tomeo di Tuenno, nei quali un documento rogato a Taio nel 1374, riporta che il maestro carpentiere Michele fu Enrico di Tavon, riceveva da Anna vedova di Nicolò fu Saporito di Dermulo, una somma di denaro a saldo della costruzione della casa di detta Anna. In tale documento Nicolò appare scritto in una delle forme abbreviate molto utilizzate in quegli anni, ovvero Choo. Oggi purtroppo, la casa di Anna non è localizzabile, possiamo però supporre che fosse stata abitata fino a poco dopo la metà del Quattrocento, dai suoi discendenti. Dopo Nicolò, un vuoto documentale ci toglie la possibilità di essere matematicamente sicuri, che il nome del suo successore fosse stato Giovanni. Quest'ultimo è documentato nel 1446, come già defunto e padre di Savorito II, per cui l'onomastica lo collega indubbiamente a Nicolò fu Saporito. Un Giovanni, forse padre di Savorito II, appare anche nel 1438 come possessore di un terreno a Dermulo, presso il quale veniva redatto un documento. Purtroppo però, in luogo della sua paternità già defunta, appaiono dei puntini di sospensione.
Per quanto riguarda la sopra accennata casa, considerando che con Savorito II, la discendenza risultava estinta, è da credere che fosse finita in mano ad una delle famiglie di Dermulo. I più attivi in quel torno di tempo come acquisizioni, furono sicuramente gli Inama e quindi, visto che già anticamente possedevano le case n. 26 e 27, e che nel Cinquecento erano già nelle loro disponibilità le future case n. 1, 2-3, 4 e 5-6, si potrebbe pensare che una di queste ultime, fosse stata la casa appartenuta ai "Savoriti". (In questo caso la più probabile sarebbe la casa n. 5-6) Altri personaggi, sicuramente candidati all'acquisto di case, furono i discendenti di Raimondino II (+ ca.1430), in particolare Nascimbene II, (o forse suo figlio Francesco), che in quel periodo sembra aver lasciato la casa n. 22, per la futura n. 15 e così fondando, la nuova famiglia Massenza. La casa n. 15, quindi potrebbe essere appartenuta a Savorito II, ultimo discendente dei Savoriti.

 

 
"Savoritus fillius Flordebele de Armulo", come appare nel documento rogato a Coredo il 11 marzo 1343.(AP Coredo)

 


"Johannis q. ...", come appare nel documento redatto a Dermulo il 29 giugno 1438. (AP Tres)

 


"Savoritus q. Johnanis", come appare nel documento redatto a Taio il 7 luglio 1446. (AP di Tres)

 

 

 

I BARBACOVI A DERMULO

Marco Benedetto Chini, nelle note di pagina 68 del suo libro "Memorie della comunità di Segno e Torra e della vetusta parrocchia di S. Eusebio", afferma che i Barbacovi, discendano da "Antonio fu Raimondino detto Barbacou". Purtroppo il Chini non indica l'anno di riferimento e da dove ha reperito questa informazione, che però, alla luce dei vari documenti consultati, risulta dubbia. A tutt'oggi, non è infatti emerso un riscontro storico di Antonio fu Raimondino.[4] Sono invece ben noti, Nascimbene, Gregorio e Nicolò figli di Raimondino di Dermulo. I primi due vissero a Dermulo, dove diedero origine rispettivamente alle famiglie Massenza e Mendini, mentre Nicolò, plausibilmente in seguito al suo matrimonio, si trasferì a Taio. Il suo arrivo a Taio può essere collocato intorno al 1437, dove lo troviamo documentato per la prima volta, come testimone in un atto steso nella casa di Sigismondo Thun. Nicolò appare anche nel 1439 come confinante di un terreno a Taio, nella località ai Albari, e nel 1446, come proprietario della casa dove veniva redatto un documento, che forse come vedremo sotto, lo riguardava da vicino. In tutti questi documenti citati, non ho mai trovato l'associazione di Nicolò fu Raimondino al soprannome Barbacovi, ma nella già nominata pergamena del 1446, la venditrice di un terreno risulta essere una tale Margherita, figlia ed erede di Nicolò detto Barba Coo, (dal nome dialettale "barba" cioè zio e "coo", cioè Nicolò, oppure "il Nicolò dalla barba") a sua volta figlio ed erede del fu Delaito di Dermulo. Quindi se prestassimo fede a questo documento, potremmo dire che il padrone di casa, Nicolò fu Raimondino, non era soprannominato Barbacoo, ma invece lo era, il già defunto Nicolò, padre di Margherita. Il mistero a questo punto si infittisce, perchè la presenza di Margherita in qualità di venditrice del prato, fa presupporre fosse stata figlia unica di Nicolò, per cui il soprannome dovrebbe essersi estinto. Ma anche questa affermazione può avere delle eccezioni, in quanto il soprannome poteva transitare alla famiglia del marito. Però non è la nostra fattispecie, perchè Nicolò Cordini, marito di Margherita, non risulta fosse soprannominato Barbacoo. Ma se invece Margherita, non fosse stata figlia unica, ma avesse avuto una sorella e la casa dove fu esteso il documento, non fosse stata scelta a caso, come molto probabile, ma perchè Nicolò fu Raimondino era il cognato di Margherita, Nicolò potrebbe aver effettivamente ereditato il soprannome del suocero "Barbacou". Ritengo questa mia ipotesi, a prima vista un po' fantasiosa, abbastanza probabile al netto di una smentita documentale.
Dopo quella del 1446, la prima apparizione del nome Barbacovi è del 1450, dove nell'elenco delle persone alle quali il massaro Antonio di Coredo comminava una multa, è presente "Barbachous di Taio" multato per 10 Libbre. Tre anni dopo, nel 1453, appare la prima volta il soprannome associato ad un nome, ovvero un tale Nicolò detto Barbacovo, confinante di un terreno a Taio. Dopo il 1450 si è constatata la scomparsa da tutti i documenti del "Nicolò quondam Raimondini", per cui è possibile che l'antica origine dal Raimondino di Dermulo, sia stata obliata ed avesse prevalso il soprannome Barbacou.
Dopo quelli già citati esistono altri documenti inerenti Nicolò, uno del 1468, dove appare addirittura due volte, con stringhe diverse (Nicolò Barbacovi e Nicolò detto Barbacou), e due del 1481 e 1484 dove Nicolò appare già defunto. Ritornando ad "Antonio fu Raimondino detto Barbacou" riportato dal Chini, mi sentirei di concordare sull'esattezza del "fu Raimondino detto Barbacou", ed affermare che effettivamente i Barbacovi discendano da un figlio del fu Raimondino, ma invece per quanto riguarda il nome "Antonio", ritengo fosse stato un errore di lettura. Se così fosse stato, e se in luogo di "Antonio" fosse stato scritto "Nicolò", il tutto sarebbe più plausibile. Un'altra possibilità è che fra "Antonio" e il "fu Raimondino", fosse interposto il nome "Nicolò", formando la stringa "Antonio fu Nicolò fu Raimondino detto Barbacou".
Oltre ad Antonio vivente nel 1508, di Nicolò è documentato almeno un altro figlio di nome Odorico, ma non escludo ne esistessero altri. Forse era figlio di Nicolò un tale Eblio che ci interessa particolarmente perchè era il nonno di Romedio, stabilitosi a Dermulo intorno al 1530. Il nome Odorico è pure un indizio onomastico che riconduce al nonno di Nicolò fu Raimondino. Come detto, Eblio era il progenitore di Romedio, ma ad oggi non ho trovato testimonianze su chi fosse suo padre, forse Nicolò, oppure invece Antonio o Odorico. In questa pagina, comunque, ho preso in considerazione solo i discendenti di Eblio.
Da alcuni indizi documentari, ho scoperto che l'arrivo di Romedio a Dermulo fu dovuto al matrimonio con l'anonima figlia di Nicolò Mendini. Romedio abitò nella casa del suocero, ovvero la parte nord della futura casa n. 22, antica abitazione dei Mendini, dove all'inizio del Quattrocento era nato il suo progenitore, Nicolò figlio di Raimondino. Verso la metà del Cinquecento, Romedio ampliò le sue proprietà, acquistando dal cugino della moglie, Romedio Mendini, una parte di casa che appartenne a Mendino Mendini, defunto fratello di Romedio. Il Barbacovi all'interno della comunità era considerato "vicino", cioè alla stregua degli altri dermulani, godeva dell'usufrutto del bene pubblico, ma già nel 1534 tra la comunità e Romedio iniziarono i primi screzi. I dermulani infatti non volevano concedere le sorti a Romedio, in quanto lui si rifiutava di pagare le collette, per cui fu necessaria una sentenza di Giacomo Thun di castel Bragher, regolano maggiore di Dermulo, per accordare le parti. Con la comunità si instaurò così, un rapporto via via più conflittuale, che nel 1553 sfociò in un'altra causa, portata davanti al pretore di Trento, in quanto ancora una volta Romedio si rifiutava di pagare le tasse. Il pretore Giulio Cesare Castelvitreo Modenese, condannò Romedio a pagare le collette alla comunità, per ogni bene da lui posseduto, "non trovandosi nello stato di nobile o esente". Il 13 marzo 1554 ci fu un accomodamento fra le parti e il 7 luglio la comunità elesse Antonio Pangrazzi di Dermulo e il notaio Baldassarre Oliva di Nanno, quali suoi rappresentanti, per discutere della questione. Nella decisione degli arbitri del 1554, ci saranno state sicuramente delle prescrizioni a carico di Romedio e anche alla comunità, ma a noi ne è giunta solo una, a carico di quest'ultima. Si tratta di una quietanza del notaio Salvatore Inama, nella quale si evidenziava la corresponsione a Romedio, della somma di 4 Ragnesi, da parte di Giovanni fu Leonardo Inama, giurato della comunità. Romedio figlio del fu Guglielmo fu Eblio Barbacovi era un personaggio importante, ma a differenza dei suoi discendenti non fu notaio, anche se negli archivi si ritrova qualche sua scrittura. Egli riuscì ad entrare nell'orbita dei signori di Castel Thun, dai quali fu preposto alla riscossione degli affitti e delle decime nelle pertinenze di Denno. Romedio fece la sua comparsa in svariati documenti dal 1540 al 1585, redatti in diversi luoghi della Val di Non, come testimone, giurato, perito, tutore, locatario, ecc. Di Romedio sono noti due figli, Nicolò e Ferdinando che nel 1588 furono chiamati a render conto di alcuni esposti lasciati dal loro defunto padre. Il debito, della considerevole somma di 1270 Ragnesi, doveva essere pagato a Francesco Ciurletta di Trento e per tale motivo una sua frazione fu assicurata sulla casa e alcuni terreni a Dermulo. Di Nicolò sappiamo poco, è citato tre volte nei documenti e dalla sua sconosciuta moglie, ebbe una figlia di nome Fiore che andrà in sposa, intorno al 1587 a Giacomo Berti, detto Cristini, di Tassullo. Non sembra avesse avuto discendenza maschile.
Ferdinando, dopo gli studi di notariato, esercitò la professione a Dermulo, dove incominciò a rogare dal 1559, per poi proseguire con una lunga carriera fino ai primi anni del Seicento. Da circa il 1573 al 1596, rimase lontano dal paese, risiedendo a Castel Thun dove redasse e trascrisse atti per conto dei castellani. A questo incarico, probabilmente non fu estranea la raccomandazione paterna. Nei documenti si sottoscriveva quasi sempre come "Ser Ferdinando Barbacovi di Taio abitante a Dermulo" o in alternativa "Ser Ferdinando Barbacovi di Taio". Ferdinando morirà intorno al 1610 e l'unico suo figlio noto, Giovanni Giacomo, pure notaio, avuto da  sua moglie Maddalena, dopo aver abitato per poco tempo a Dermulo (forse nella prima metà degli anni Novanta del Cinquecento) e qualche anno a Taio, (in un documento del 1595 dove appare testimone, è detto di Dermulo abitante a Taio) si sposterà definitivamente a Tres. Nel 1597 a Tres, in un atto di Giovanni Giacomo, viene citato come testimone un tale Simone Barbacovi abitante a Tres, forse era un fratello del notaio? Per cui non possiamo escludere nemmeno Simone come stipite dei Barbacovi di Tres. Di Giovanni Giacomo, si trovano molti documenti nell'archivio parrocchiale di Tres e pure nell'archivio di Castel Thun, dove si riscontrano parecchie copie ricavate dalle imbreviature paterne. Evidentemente quindi, il rapporto lavorativo con i Thun era proseguito anche dopo la morte di ser Ferdinando. Giovanni Giacomo aveva sposato in prime nozze Barbara Frison di Coredo, e poi rimasto vedovo, Caterina de Tuoni di Tres. Morì intorno al 1627, e suo figlio, di nome Giovanni Antonio, proseguì la professione paterna. Dopo Giovanni Antonio non ho altre notizie di notai da lui discendenti, e non sono in grado di dire se Antonio Barbacovi, il primo notaio della famiglia operante a Taio, almeno dal 1646, fosse suo figlio. Non sono nemmeno in grado di affermare, benchè molto probabile, se Giovanni Antonio o il fratello Pietro siano gli stipiti dei Barbacovi ancora oggi viventi a Tres.
Nel corso del Seicento i Barbacovi, tramite il notaio Udalrico, ritornarono ad avere relazioni con Dermulo. Infatti le due figlie di Udalrico, Maria e Anna presero in marito rispettivamente Giacomo II Inama figlio di Silvestro II, e Giacomo Antonio I Mendini figlio di Antonio VI. Udalrico possedeva diversi beni in paese, alcuni dei quali vennero poi corrisposti alle figlie a titolo di dote. I terreni comperati da Udalrico erano appartenuti ad uno o più persone sconosciute di Dermulo, ed erano poi  passati in mano alla Mensa vescovile. Il notaio venne in possesso pure di una parte della futura casa n.13-14, che poi cedette alla figlia Anna.
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"nicolaus q. Raimondini" come appare nel documento redatto a Taio il 18 maggio1437. (Arch. Castel Bragher)

"nicolaus q. Raimondini de Armullo" come appare nel documento redatto a Taio il 15 dicmbre1439. (Arch. Castel Bragher)

"In villa tay in curia domy nicholay q. raimondini de Armulo habitatoris tay presentibus ipso nicholao.. ", come appare nel documento rogato a Taio il 21 agosto 1446 (Arch. Thun Decin)

" barbachous de tayo", come appare nell'elenco stilato dal massaro Antonio di Coredo nel 1450 (APv sezione latina Capsa 9 n. 119)

"apud nicolaum dictum barbacovum", come appare nel documento rogato a Castel Bragher il 5 gennaio 1453 (Arch.  Castel Bragher)

"apud nicolaum barbacovis ........apud nicolaum dictum barbacoum.....", come appare nel documento rogato a Taio il 10 maggio 1468 (Arch.  Castel Bragher)

"heredes q. nicolay di barbacovis.....", come appare nel documento rogato a Taio il 20 giugno 1481 (Arch.  Castel Bragher)

"apud heredes quondam nicolay barbacoum", come appare nel documento rogato a Castelfondo il 28 maggio 1484 (Arch.  Castel Bragher)

"Antonio quondam nicolai barbacovis", come appare nel documento rogato a Taio nel 1508 (AP Cles)

"In stuba domus heredum quondam ser eblii de barbachovis que domus est supra cimiterium predicte ecclie Sancti Victoris", come appare nel documento rogato a Taio il 6 marzo  1517 (Arch. Castel Thun)

"Romedius filius gulielmi de barbacovis", come appare nel documento rogato a Dermulo il 11 marzo 1537 (Arch. Castel Valer)

"Romedius fq guielmi barbacovi de taio habitator Her.li", come appare nel documento rogato a Rallo il 11 agosto 1553 (AStn Atti dei notai, Gottardo Gottardi Busta I)

"Ego ferdinandus filius S Romedii Barbacovis d Thaijo habitatoris hermulli", come appare nel documento da lui rogato a Tres nel 1561 (AP Tres)

"Ego jo.s Jacobus filius egregii D. Ferdinandi Barbacovi de Thaiyo", come appare nel documento da lui rogato a Tres nel 1597 (AP Tres)

"Ego Jo. Antonius filius q. speti D. Jo.s Jacobi Barbacovi de Thaio habitator Tresii", come appare nel documento da lui rogato a Tres nel 1617. (AP Tres)

"Ego Joannis Antonius fq, D.Gio. Gia. olim suprascritti D. Ferdinandi Barbacovi de Thaio habitantis Tresii... ", come appare nel documento trascritto nel 1625 il cui originale è del 1587 rogato dal notaio Ferdinando Barbacovi, nonno di Giovanni Antonio. (Arch.  Castel Bragher)

 

 

I VICENZI (ZATTONI)

Vincenzo figlio di Michele detto Zaton, fu il capostipite della famiglia che da lui prese il nome di Vicenzi.[6] Già nel 1437 Vincenzo risulta abitare a Dermulo e ritengo che il suo arrivo fosse dovuto ad un matrimonio con l'ereditiera di una sconosciuta famiglia. L'abitazione di Vincenzo era localizzata nel colomello detto nel Cinquecento ai Vicenzi e precisamente nella parte centrale del caseggiato, poi numerato con il 17-18. Vincenzo nel corso della sua vita è documentato altre volte: nel 1467 appare come acquirente di un terreno a Piano presso Banco, nel 1471 compare al primo posto fra i sette vicini, presenti alla stesura della carta di regola. Il nome Vincenzo, in questo documento, è stato associato al successivo Gregorio fu Raimondini, ma ho dimostrato, come si fosse trattato di un errore del copista. Un anno dopo, nel 1472, nel cortile della casa di Vincenzo venne stipulato un contratto di compravendita di un terreno a Campolongo, fra Gregorio di Dermulo (Inama) e Valentino fu Antonio di Tres. Nel 1478 a Dermulo, nella casa di Vincenzo, alla presenza dello stesso, veniva ratificata una compravendita avvenuta qualche mese prima. Intorno al 1490, come risulta dagli urbari di Castel Bragher, Vincenzo possedeva in locazione dai Thun, il luogo alla Clesura, per la quale pagava un canone annuo di 16 staia di frumento. Dal matrimonio di Vincenzo nacquero almeno quattro figli, Antonio, Giacomo, Cristano e Baldassarre, ma solo Cristano, a quanto sembra, ebbe discendenza. Dei figli di Cristano, ovvero Vincenzo III, Nicolò e Vigilio, ci sono pervenute pochissime informazioni, limitate quasi esclusivamente ai loro nominativi che appaiono in un urbario di Castel Bragher. Non sappiamo con sicurezza se i tre appena citati fossero stati sposati e se avessero avuto figli, ma i pochi indizi pervenutici sembrano confermare l'assenza di progenie. L'ultimo rappresentante in assoluto della stirpe fu Vincenzo III che sembra essere morto intorno al 1570. I suoi parenti più prossimi erano i Cordini, forse per via del matrimonio fra Bartolomeo Cordini ed una sconosciuta sorella di Vincenzo III (o sua figlia?), risultando infatti Bartolomeo erede della poca sostanza abbandonata. Bartolomeo dovette accollarsi anche un debito con l'eremo di santa Giustina, che però non fu in grado di onorare. Per tale motivo nel 1573, Ercole Inama, sindaco della chiesa di Santa Giustina, con l'assistenza dell'Ufficiale Lazzaro Chilovi, pignorò alcuni locali della casa che fu di Vincenzo. Uno dei locali si disse confinare con gli sconosciuti eredi di Nicolò figlio del fu Cristano, per cui anche Nicolò era già passato a miglior vita da qualche anno. Non è escluso che Maria, moglie di Cipriano Massenza, che nel 1617 risultava possedere una porzione di casa nel caseggiato dei Vicenzi, fosse appartenuta alla famiglia Vicenzi (figlia di Nicolò?) anche se altri indizi, la collocano nella famiglia Bertoldi di Segno. Di questa schiatta oggi è rimasto il ricordo nel toponimo Visenzi, ovvero quella che in passato era una prateria (il Pra di Visenzi), racchiusa fra la strada delle Plazze e lo stradone per Sanzeno.

 



"Vicencio fillio michaelis zaton de tressio habitatore ermuli" come appare nel documento redatto a Taio il 18 maggio1437. (Arch. Castel Bragher)


"Vincenzo q. Michaelis zatony de tressio habitatore Armully" come appare nel documento del 30 maggio 1467. (AP Cles)


"In vila Armuli plebis Tay in domo habitationis Vicentiy .....Vicenzio...." come appare nel documento del 27 aprile 1478. (Archivio Castel Bragher)

 

 

I CHILOVI A DERMULO

Il cognome Chilovi, come Barbacovi, Covi, Nicolodi e Calovi si è originato dal nome proprio Nicolò. Infatti a causa della numerosità delle occorrenze riscontrabili, ci fu la necessità di distinguere i Nicolò con dei soprannomi, che poi si consolidarono nei cognomi come oggi gli conosciamo.
La prima testimonianza in assoluto del nome Chilovi, l'ho riscontrata in una pergamena del 1427, dove figurava fra l'elenco delle persone chiamate a stimare dei terreni pertinenti al Castello di Altaguardia, un tale Pellegrino fu Chilovo di Preghena. Nel 1450 è documentato per la prima volta a Taio, un "Chilovus" quale confinante di un terreno. Qualche anno dopo, precisamente nel 1458, appare in un documento Romedio figlio di Nicolò detto Chiloi. Quindi la persona denominata Chilovus altro non era che il Nicolò detto Chiloi. Potrebbe essere una coincidenza, ma ritengo molto probabile che ci fosse stata una relazione fra Pellegrino e il Nicolò detto Chiloi. Un indizio che farebbe pensare a questa parentela, lo troviamo nel 1429, in un documento redatto a Taio, dove appare come testimone un tale Pellegrino erede del fu Nicolò Tomazoli. E' plausibile quindi che Pellegrino figlio del fu Nicolò Tomazoli, detto Chiloi di Preghena, si fosse trasferito a Taio, e avesse generato un figlio di nome Nicolò a sua volta padre del Romedio documentato nel 1458.
I Chilovi a Taio originarono una famiglia molto diramata ricca di personaggi illustri. Molti furono i religiosi, tra i quali uno dei primi ad essere citati  fu Biagio figlio del fu Nicolò che nel 1521 era entrato nelle grazie di Bernardino Thun. Quest'ultimo gli aveva concesso il "titolo della mensa", ovvero aveva fatto garanzia sul suo sostentamento. Nel 1528 lo stesso Bernardino presentò don Biagio come cappellano e beneficiario dell'altare di Santo Stefano nella cattedrale di Trento. Fra gli altri sacerdoti, ricordiamo anche don Valentino che nel 1680 fu arciprete a Taio, nel 1750 don Gaspare, nel 1740 don Giorgio Valentino pure arciprete di Taio, nel 1756 don Giacomo e nel 1825 don Antonio. Naturalmente l'elenco non è esaustivo, ma è basato solamente su quanto emerso dalle ricerche. Diversi furono anche i notai fra cui Romedio Valentino e Valentino. Dal 1752 fino ad almeno al 1760, il sopraccitato notaio Romedio Chilovi, fu consigliere del vescovo e governatore del Marchesato di Castellaro.
[7] Nel 1573 Lazzaro Chilovi aveva la carica di "publicus officialis curie" ed in tale veste lo troviamo in due atti, uno a Toss e l'altro a Dermulo. Specificatamente, a Dermulo si occupò del pignoramento di alcuni beni appartenuti agli eredi Vicenzi, in favore della chiesa dell'eremo di santa Giustina.
Un tale Giacomo Chilovi, verso la fine del Cinquecento, si trasferì a Dermulo prendendo in moglie Margherita, una delle due figlie di Ercole Inama. Giacomo che era nato circa nel 1575, era molto probabilmente un figlio di Antonio Chilovi. Purtroppo, non ho mai trovato un riferimento chiaro alla paternità del Giocomo Chilovi abitante a Dermulo, in tutti gli atti che lo riguardano appare solamente come "Giacomo Chilovi". Nello stesso periodo sono documentati almeno due Giacomo, uno sicuramente era figlio di Gottardo Chilovi, il cui omonimo nonno Gottardo, sul finire del Quattrocento aveva in locazione perpetuale dalla mensa vescovile, un terreno a Dermulo nella località al Campolongo. Il Giacomo figlio di Gottardo visse sicuramente a Taio, dove si trova citato in molteplici atti riguardanti la chiesa di Santa Maria e nelle varie registrazioni, apparenti nel registro del 1567. Il Giacomo Chilovi figlio di Antonio, appare invece solamente una volta nel 1604 nel precitato registro del 1567, ma senza specificare a quale comunità fosse appartenuto. A Dermulo, Giacomo si stabilì nella casa, che fu del suocero Ercole e prima ancora del notaio Gaspare Inama. Nel Seicento tale casa era detta "casa dei Chilovi", per poi essere riconosciuta come "casa del maso Guelmi" ed infine, con l'introduzione della numerazione risalente alla prima metà dell'Ottocento, con il numero uno. Dal matrimonio di Giacomo e Margherita abbiamo notizia della nascita solo del figlio Gaspare, nome ripreso dall'illustre zio pievano, ma non è escluso fossero nati altri figli, poi magari ritornati a Taio. Gaspare a sua volta, intorno al 1620, prese in moglie Lucia Aliprandini di Livo, dalla quale ebbe almeno tre figli maschi, Giacomo, Sigismondo e Ercole, nati rispettivamente nel 1623, 1627 e 1632, e una femmina di nome Anna Maria, la cui nascita non appare nei registri parrocchiali. I tre fratelli di Anna Maria morirono infanti, presumibilmente nel 1634 a causa della peste, in quanto sicuramente il morbo, le portò via il padre Gaspare e anche il nonno Giacomo. Quindi Anna Maria rimase sola con la madre Lucia, la quale poco tempo dopo sposò in seconde nozze Giovanni Giacomo Mendini figlio del fu Giovanni di Dermulo. Anna Maria andò a vivere con la nuova famiglia e non essendo ancora maggiorenne, il padrigno Giovanni Giacomo Mendini e lo zio Aliprando Aliprandini di Livo, furono nominati suoi tutori con il compito di gestire l'ingente patrimonio che era pervenuto nelle sue mani. E fu probabilmente per intercessione del notaio Aliprandini, che Simone Guelmi conobbe Anna Maria e convolò con lei a nozze nei primi anni Sessanta del Seicento. Del matrimonio non ho finora la prova, ma fra i confinanti di un bosco alle Sort, nel 1662 è citato Simone Guelmi di Scanna uxorio nomine, quindi a nome della moglie, che per altri indizi relativi a quel bosco, non poteva che essere Anna Maria Chilovi.
La breve discendenza dei Chilovi a Dermulo, si è quindi estinta con la morte di Anna Maria e gli stabili in paese, furono denominati Maso Guelmi

 

 

 

 



"Pelegrino q. Chilovi de Pragena" come appare nel documento rogato a Cagnò il 23 luglio 1427 (Arch. Castel Bragher)


 "pelegrino heredes q, Nicolai tomazoli (omnibus) de taio" come appare nel documento rogato a Taio il 28 gennaio 1429 (Arch. Castel Thun)




"apud Chilous de taio" come appare nel documento rogato a Tres il 30 agosto 1433 (Arch. Castel Bragher)


 "apud chilovum" come appare nel documento rogato a Castel Bragher il 12 novembre 1450 (Arch. Thun Decin)


 "Romedio fillio nicolai dictum chiloi" come appare nel documento rogato a Castel Bragher il 31 gennaio 1458 (Arch. Castel Bragher)


 "Johane chilovi" come appare nel documento rogato il 6 giugno 1474 (Arch. Castel Bragher)


 "ellegit iohaninus de chilois de fta villa tay" come appare nel documento rogato a Taio il 1 ottobre 1489 (Arch. Castel Bragher)


 "apud heredes q. Romedii chilous" come appare nel documento rogato a Segno il 25 aprile 1497 (Arch. Castel Bragher)

 

 

 

 


[1] I ritagli dei documenti che citano dei nomi dei dermulani, ove disponibili, sono stati riportati nelle relative famiglie.

[2] Nel Gafforio del 1387, in realtà in luogo di Innama si legge Juliana, ma la circostanza che poco più sotto appaia Simeone suo fratello, ci conforta su un errore di lettura che l'estensore del documento deve aver fatto, al momento della copiatura da precedenti scritti. Non è difficile pensare che un nome "strano" come Innama, fosse invece stato interpretato con Juliana. Nello stesso documento in relazione ai nomi si riscontrano altri errori di scrittura. Sfortunatamente nell'altra copia esistente del gafforio del 1387, la parte riguardante Dermulo non compare, per cui non possiamo eseguire un raffronto.

[3] Sui figli di Bonaconta, si aprono alcuni disquisizioni, in relazione ai dubbi già emersi nel documento del 1346, in primis riguardo al doppio nome Francesco Simeone, che ancor prima di conoscere la citazione del gafforio, risultava strano. La bassa risoluzione della foto non ha aiutato in questo senso. Il dubbio che "Francesco" fosse stata in realtà un'altra parola, oppure che fosse un nominativo espresso senza paternità, indipendente dal successivo Simeone fu Bonaconta, credo si possa considerare sciolto grazie al documento gafforiale.

[4] Dalla bibliografia del libro si ricava che il Chini, oltre agli archivi della parrocchia di Torra, Vervò e Tres, aveva consultato pergamene anche presso Castel Bragher, per cui l'individuazione del documento è ancora più difficoltosa.

[5] Nel 1681 Udalrico, tramite una permuta con la chiesa di Santa Maria di Taio, venne in possesso di una casa a Taio, detta "casa di Santa Maria". Detta casa, per un errore eseguito dal pievano di Taio, durante la regestazione di un vecchio documento, sembrava dovesse trovarsi nel paese di Dermulo e visti i possessi di Udalrico, si sarebbe potuta riconoscere nella casa 13-14. Incrociando altre informazioni però è stato possibile smentire la notizia.
Forse la casa 13-14 era appartenuta a Vittore Massenza che senza discendenti diretti e parenti prossimi, potrebbe aver lasciato la casa alla mensa vescovile. 

[6] I Zattoni erano originari di Toss, da dove il capostipite aveva raggiunto Tres intorno al 1394. Tale notizia è riportata in un documento del 1394, dove appare come sindaco della comunità di Tres, Federico detto Zatton, figlio del fu Vincenzo di Toss, abitante a Tres. Vedi pag 212 del libro di Marco Benedetto Chini, dove però riporta in luogo di Federico, Francesco.  Piergiorgio Comai in "Annali di Vervò" scrive, ritengo giustamente, Federico e non Francesco.

[7] Già concesso in feudo al vescovo di Trento, Castellaro, antica denominazione di Castel d’Ario, veniva subinfeudato nel 1275 ai Bonaccolsi e nel 1328 ai Gonzaga, i quali ne ottennero la conferma fino alla loro caduta nel 1707, quando il feudo tornò nuovamente al direttario. Nel 1796 Castellaro venne ceduto alla repubblica Cisalpina (Gobio Casali 1988; Ferrari 1992). Riguardo alla giurisdizione amministrativa a cui era soggetto, negli anni immediatamente seguenti alla erezione del ducato di Mantova, avvenuta nel 1530, Castellaro era sede di vicariato (Mantova 1958-1963), mentre dopo la devoluzione del feudo all’episcopato di Trento del 1707, il vescovo era rappresentato da un governatore (Gobio Casali 1988; Ferrari 1992)