NUMERO DEGLI ABITANTI DALLE ORIGINI FINO AL CINQUECENTO

                                                                                                     

Le prime notizie di Dermulo e dei suoi abitanti risalgono al 1218 quando Federico Vanga, principe vescovo di Trento, liberava i dermulani dal vassallaggio cui erano soggetti nei confronti dei conti di Denno, con la così detta “Carta de Hermulo” contenuta nel Codice Wanghiano. Ebbene, in questo scritto sono elencati 19 individui che verosimilmente rappresentavano i capifamiglia di tale periodo; per cui con la solita convenzione dei cinque componenti per famiglia, si arriverebbe al numero di 95 abitanti. Nel 1220 il "privilegio" venne rinnovato dal vescovo Alberto successore del Vanga, dopodichè dobbiamo aspettare cinquant'anni e precisamente il 15 giugno 1275, per avere altre notizie sul paese. In questo documento, che riporta tutti i beni di proprietà vescovile presenti in paese, sono menzionate all'incirca 25 persone, delle quali, non trasparendo alcun vincolo parentale è difficile capire quante famiglie rappresentassero. Non trattandosi di un'adunanza delle regola, ma un elenco di possessori o confinanti dei beni dell'episcopio, probabilmente non era rappresentate tutte le persone del paese. Il documento esistente nell’Archivio di Castel Bragher, datato 7 dicembre 1294, che avrebbe dovuto contenere una lista di uomini di Dermulo, in realtà elenca solo alcune persone intervenute come testimoni o confinanti di un terreno, quindi non è di nessuna utilità al fine di stabilire la consistenza abitativa.[1]
Il 18 aprile 1346 la comunità di Dermulo assegnava a ser Stefano del fu Corrado di Tassullo, abitante a Malgolo, il diritto di Regolaneria relativo alla villa di Dermulo.
[2] Nella pergamena sono elencati almeno 16 uomini, rappresentanti si crede, di altrettante famiglie. Il numero approssimativo di abitanti sarebbe quindi di 80, quasi il doppio di quelli stimati in base al Liber Focorum del 1350 che riportava 9 fuochi e quindi circa 45 abitanti. Da questo confronto si potrebbe affermare che il numero di fuochi non ha niente a che vedere con il numero effettivo delle famiglie, ma che dovesse indicare un parametro fiscale.[3] (Vedi a tal proposito l'imposizione fiscale nel Medioevo) A queste discrepanze fra i dati però, si potrebbe dare spiegazione considerando quegli eventi calamitosi che furono le pestilenze. Proprio nel 1348 una grave epidemia di peste, documentata anche dal canonico Giovanni da Parma, scoppiò a Trento. Egli affermò che la peste a Trento durò sei mesi, e su sei persone cinque morirono, scomparirono intere famiglie lasciando molte case vuote.[4] Quindi l’ipotesi che una tale decimazione si sia verificata anche nelle valli e in particolare a Dermulo, è tutt’altro che infondata.
La parte del Liber Gaforii del 1387 relativa a Dermulo, non aggiunge molte informazioni a quelle già conosciute con il documento del 1346,  perchè in realtà rispecchia la situazione tra il 1330 e il 1350. Infatti, con qualche eccezione, i nominativi sono gli stessi del 1346 ed assommano a diciotto individui.
Nella Carta di Regola del 1471 sono citati solo sette vicini. Sembra poco probabile che le famiglie siano state così poche, è anche strano però, che in una circostanza tanto importante, non fossero intervenuti tutti i vicini aventi diritto. Anche in questo caso, ritengo che un’epidemia di peste abbia contribuito ad una sensibile riduzione della popolazione. Proprio negli anni tra il 1430 e il 1451 ci fu infatti una grande pestilenza in Val di Non
[5] che spopolò interi villaggi. Ricordiamo il paese di Malgolo nella Pieve di Torra che addirittura scomparse, Mollaro che si ritrovò con tre famiglie e Tuenetto in cui la tradizione vuole che si sia salvata solo una donna. Riguardo a Coredo, si racconta che il paese una volta fosse stato molto popolato ma che avrebbe subito una forte contrazione del numero di abitanti causa la peste. Don Edoardo Endrici nel suo libro “Coredo nell’Anaunia”, riesce a dimostrare con vari documenti, che la peste in questione era proprio quella del 1440. Questo flagello abbattutosi in Val di Non, di cui fa menzione anche il Tovazzi,[6] sicuramente non aveva risparmiato il nostro paese. Il numero limitato di vicini, intervenuti nella stesura della Carta di regola del 1471, ne sarebbe la prova. Inoltre, anche a Dermulo la tradizione vuole che nella zona del Loc siano stati sepolti i morti di peste, plausibilmente proprio di quella scoppiata alla metà del XV secolo.
Da un documento del 1554, con il quale si eleggevano sindaci della comunità di Dermulo, Antonio Pangrazzi di Campodenno e il notaio Baldassare Oliva di Nanno, si accerta la presenza di almeno 20 capifamiglia.
Il numero di abitanti si mantenne quindi, fino alla seconda metà del XVIII secolo, poco sotto le cento unità. Poi le migliorate condizioni igieniche e la maggior disponibilità di generi alimentari, hanno favorito l’impennata demografica che raggiungerà il suo apice nel 1921 con ben 325 abitanti. Oggi si contano quasi 200 abitanti.

 

 


[1]  Cfr. Hanns Inama-Sternegg “Geschichte aller Familien Inama” pag. 45. Il documento e stato regestato sia dall’Ausserer che dal Ladurner al n.130, fasz.16.
 

[2] Cfr. Hanns Inama-Sternegg “Geschichte aller Familien Inama” che riporta anche la pergamena in fotocopia. L’originale si trova presso l’Archivio di Castel Bragher. Il Malgolo citato, come si evince dalla stessa pergamena e da altri documenti, era quello nella pieve di Romeno.
 

[3] La stessa grande differenza è stata riscontrata per il paese di Carciato in Val di Sole. V. pagg. 30 e 31 di “Carciato il paese e la gente” di Udalrico Fantelli.

[4] Cfr. “La Valle di Non” di don Leone Franch pagg. 34 e 35.

[5] Cfr. “I dannati della peste” di Alberto Folgheraiter pagg. 29 e 31.

[6]  Cfr. “Malographia Tridentina” di Giangrisostomo Tovazzi.