DERMULO NEL LIBER GAFORII DEL 1387

 

La parola gaforium, come riportato nel "Glossarium mediæ et infimæ latinitatis" del Ducange, significa letteralmente, “tributo riscosso con la forza, contro il diritto”. Il termine, col tempo divenne sinonimo di “tributo di spettanza vescovile”, come risulta evidente dal titolo dato al “registro dei proventi vescovili nelle Valli di Non e Sole e nella pieve di Caldaro” dei vescovi Neideck e Clesio e cioè Liber gaforii. Una volta compreso questo si riesce a individuare qui, che alcuni di coloro che erano soggetti al gaforioum discendevano dagli antichi arimanni, mentre gli altri, di origine servile, erano invece semplicemente subentrati in forza di un contratto di locazione con l’episcopio, molto dopo la loro emancipazione e per questo, non corrispondevano il gafforio ma l’affictus. Altra cosa interessante è la peculiarità del lemma gafforio, utilizzato solo in Val di Non e in nessun altro luogo del principato vescovile. La qual cosa, come scrive Paolo Odorizzi, rimanda a delle lotte per il controllo del territorio che potrebbero risalire all’epoca della cosiddetta “anarchia feudale” (887 - 924) e che potrebbero aver avuto come protagonisti i discendenti degli arimanni di etnia longobarda e sassone arrivati con l’invasione del 569 d. C. [1]
La prima raccolta sistematica dell'elenco dei contribuenti fu stilata nel 1387 dal vescovo Alberto d' Ortemburg, anche se in realtà fa riferimento
ad un periodo fra il 1330 e il 1350. Possiamo affermare ciò, conoscendo la data di morte di alcune persone elencate e, proprio grazie ad una di esse, possiamo anche escludere con sicurezza che l'anno di riferimento sia stato successivo al 1357. Delaito, infatti, risultava morto almeno dal 1357, ma nel gafforio è citato come vivente. Del libro, oggi conservato presso l'Archivio di Stato di Trento, nella Sezione Latina dell'Archivio del Principato Vescovile, furono redatte due copie, una consultabile nella Capsa 28 n. 22 e l'altra nella Capsa 28 n. 27. La prima era una sorta di "brutta copia" della seconda.[2] La sezione relativa a Dermulo, purtroppo, appare solo sulla seconda, e ciò ci impedisce un raffronto su certe imprecisioni riscontrate nei nominativi elencati.[3] La pagina, introdotta da una affermazione generica specificante che tutti pagavano per i loro possessi, adottando la misura dello staio scarso, si presenta divisa in due elenchi. Nella prima parte appare quello delle persone paganti la tassa gafforiale, e nella seconda, quella dei locatari dei beni vescovili. In entrambe le liste sono esplicitati il tipo di derrata e le quantità che dovevano essere corrisposte.Staro
Le derrate che i dermulani dovevano corrispondere erano di tre tipi, il frumento, la segale (siligine) e l'avena (annona), mentre se si scorre l'elenco degli altri villaggi è possibile constatarne una molto più ampia varietà. L'equivalenza dell'annona con l'avena non è del tutto provata, in quanto anticamente esistevano moltissimi tipi di cereali di cui oggi sono rimaste poche tracce, ma che potrebbero riconoscersi con l'annona.
Riguardo alle misure di capacità citate nel documento, troviamo lo staio (starium)
[4] il minale (da non confondere con la minela), il terzolo (terzolum) e il moggio (modium). Lo stesso staro, (come misura) poteva essere "colmo", "raso" oppure "scarso" a seconda del livello raggiunto dal cereale nel recipiente. In questo documento troviamo citato lo staro "parvunculum" ossia scarso (2/3 di staio, detto anche stariolo) e lo staro "culmum". Il minale corrispondeva ad un ottavo di staio; per fare un moggio, servivano quattro stari colmi (almeno in questo specifico documento), mentre il terzolo corrispondeva ad un terzo di staio. Nel documento non compare la quarta, ossia un quarto di staio, e nemmeno la minela, ossia un sedicesimo di staio, misure che saranno invece molto utilizzate negli scritti più recenti.
Come evidenziato nelle tabelle sotto riportate, il quantitativo che i dermulani dovevano versare per il gafforio, ammontava a circa 75 stari, mentre quello dovuto per gli affitti dei terreni era di circa 175 stari. In totale quindi, nelle tasche dell'episcopio entravano ben 225 stari di granaglie, senza conteggiare quanto dovuto, e qui non quantificato, gravante su tutti gli altri beni posseduti dai dermulani. Le 225 staia corrispondevano a circa 35 quintali di granaglie che annualmente dovevano essere trasportate in centri di raccolta dislocati in valle, dove dopo il controllo espletato dal massaro vescovile, venivano inviate a Trento.

Qui di seguito, riporto la trascrizione di quanto elencato
nella parte del Liber riguardante Dermulo.

 

TRASCRIZIONE DELLA PARTE RELATIVA AL GAFFORIO DI DERMULO


 

           In plebatu tay vallis annanie in villa armuli
           omnes solvunt fictum super bonis suis I starium parvunculum

Feltrinus quondam nycolai quondam bonamigi de armulo tenet et possidet
dictum mansum et promissit solvere VI staria siliginis VI staria frumenti
et XII staria none

Juliana I starium frumenti, I starium I minalem siliginis II staria I minalem none

Delaytus eius frates              totidem deficit

Symeon                               I starium frumenti I starium siliginis et I minalem II staria
                                                                                    minalem de none deficit

Pasius quondam Morandi

Nicolaus quondam Simboni et       promiserunt solvere IIII staria
                                                 siliginis super campo
Odoricus tenzus de armulo

Nicolaus quondam Iohannis          I modium frumenti I modium siliginis et
                                                 II modii none
Federicus targa eius heres

Nicolaus Pagnonus                      VI staria frumenti, V staria siliginis
                                                 et XII staria none modius solvunt IIII staria

                               Affictus suprascripte ville armuli

Vender quondam Nigri dicti Segale      VII staria I terzolum none,
                                                       III staria I terzolum frumenti totidem siliginis

Muletus quondam Nigri                      totidem

Bagotus quondam Bonazunte             XII staria none restat solvere
                                                       VI staria siliginis

Avancius quondam Segale                  totidem

Nasimbonus quondam Raimondi         II staria siliginis

   

Nicolaus quondam Bonati   III staria frumenti, III staria siliginis, VI staria
                                       none pro possessione Meze VI staria siliginis, VI staria none

Romedius de Taio                       I modium none pro possessione quondam Pagnogni
                                                ad starium vicinalem culmum

Jacobus quondam Domini                XXII staria frumenti et siliginis et XXX staria none

Bagotus quondam Bonazunte              XII staria siliginis et frumenti, et XII staria none

Tripolanus quondam Bonincontri    II staria I minalem siliginis et frumenti et II staria et
                                                                                                    I minalem none

TRADUZIONE

Nel territorio della Pieve di Taio, valle Anaunia, nella villa di Dermulo, tutti pagano il "fitto" sui loro beni (uno staro scarso)
Feltrino fu Nicolò fu Bonamico di Dermulo, tiene e possiede detto maso e promette pagare 6 stari di segale, 6 stari di frumento e 12 stari di avena.
Giuliana uno staro di frumento, uno staro e 1 minale di segale e 2 stari e un minale di avena
Delaito suo fratello, altrettanto e non ha pagato
Simeone, uno staro di frumento, uno staro si segale e 2 stari e un minale di avena non pagati
Pasio fu Morando, Nicolò fu Simbene e Odorico Tenzo di Dermulo, promisero pagare 4 stari di segale su un campo.
Nicolò fu Giovanni e Federico Targa suo erede, un moggio di frumento, un moggio di segale e 2 moggi di avena
Nicolò Pagnono 6 stari di frumento, 5 stari di segale e 12 stari di avena. Un moggio paga 4 stari.

Affitto della soprascritta villa di Dermulo
Vender fu Negro detto Segala, 7 stari e un terzolo di avena, 3 stari e un terzolo di frumento, lo stesso numero di segale.
Muleto fu Negro, lo stesso numero.
Bagoto fu Bonaconta, 12 stari di avena, rimangono da pagare 6 stari di segale.
Avanzo fu Segala, lo stesso numero
Nascimbeno fu Raimondo, 2 stari di segale.
Nicolò fu Bonato, 3 stari di frumento, 3 stari di segale, 6 stari di avena. Per i possessi di Meza, 6 stari di segale, 6 stari di avena.
Romedio di Taio, un moggio di avena per la possessione del fu Pagnogno, a staro vicinale colmo.
Giacomo fu Domino, 22 stari di frumento e segale e 30 stari di avena.
Bagoto fu Bonaconta, 12 stari di segale e frumento e 12 stari di avena
Tripolano fu Bonincontro, 2 stari e un minale di segale e frumento e 2 stari e un minale di avena.

 

ELENCO DEI NOMI

 

NOME NOTE

Feltrino fu Nicolò fu Bonamico

Bonamico era figlio di Benedetto di Campo abitante a Dermulo, dove aveva in locazione il maso vescovile dei Casali. Bonamico e il figlio Nicolò erano in vita nel 1346.

Giuliana

Il nome Giuliana è un errore del copista. Sono sicuro che il nome fosse stato Innama. Inama viveva nel 1346. Vedi Frammenti di genealogia.

Delaito

Delaito era fratello di Innama, Simeone e Bagoto. Delaito viveva nel 1346, ma era morto prima del 1357. Vedi Frammenti di genealogia

Simeone

Simeone era fratello di Innama, Delaito e Bagoto. Simeone viveva nel 1346. Vedi Frammenti di genealogia

Pasio fu Morando

Nel 1275 è citato un Morando e anche un figlio di Morando che però non è nominato.

Nicolò fu Simbeni

Simbeni, ossia Nascimbene fratello del sotto citato Odorico. Nicolò era in vita nel 1377. Vedi la famiglia Mendini.

Odorico (detto) "Tencio" di Dermulo

Figlio maggiore di Nascimbene e fratello del sopra citato Nicolò. E' documentato anche nel 1357, 1380 e 1381. Vedi la famiglia Mendini. E' citato un'altra volta in questo documento.

Nicolò fu Giovanni

E' lo stesso Coo fu Giovanni documentato nel 1346. Forse Giovanni era il figlio di Bonano (o forse Bonato?). Vedi Frammenti di genealogia.

Federico (detto) "Targa"

Forse il Federico figlio di Feliciano oppure il Federico fu Morello documentati nel 1346? Si dice che era l'erede del soprascritto Nicolò fu Giovanni.

Odorico fu Nascimbene

Figlio maggiore di Nascimbene. E' documentato anche nel 1357, 1380 e 1381. Vedi la famiglia Mendini.

Nicolò (detto) "Pagnono"

Nicolò era morto prima del 1346 ed era probabilmente figlio di Bonaccorso, vivente nel 1275. Vedi Frammenti di genealogia

Vender fu Negro detto "Segala"

Fratello di Avancio e Muleto. Vender era in vita nel 1357. Vedi Frammenti di genealogia

Muleto fu Negro

Fratello di Vender e Avancio. Muleto era in vita nel 1346. Vedi Frammenti di genealogia

Bagoto fu Bonaconta

Il quarto figlio di Bonaconta. Vedi Frammenti di genealogia

Avancio fu "Segala"

Avancio, che era morto prima del 1372, è il padre di Nicolò detto Pilato. Vedi Frammenti di genealogia

Nasimbene fu Raimondo

Qui il copista è incorso in un errore perchè il defunto padre di Nascimbene era Raimondino e non Raimondo. Nascimbene, padre dei due citati Odorico "Tencio" e Nicolò, era già defunto nel 1346. Vedi la famiglia Mendini.

Nicolò fu Bonato

Nicolò era un nipote di Giacomo fu Domino. Vedi Frammenti di genealogia

Romedio di Taio

E' l'unica persona citata non di Dermulo.

Giacomo fu Domino

Giacomo era già defunto nel 1346. Vedi Frammenti di genealogia

Tripolano fu Bonincontro

Personaggio sconosciuto. Posso ipotizzare per Tripolano un errore di lettura in luogo di Saporito.

Meza Personaggio sconosciuto

 

TOTALE DERRATE CONFERITE PER I BENI GAFFORIALI

  MOGGI STARI MINALI TOTALI
FRUMENTO 1 15 0 19 stari
SEGALE 1 14 3 18 stari e 3 minali
AVENA 2 30 3 38 stari e 3 minali
TOTALI 4 59 6 75 stari e 6 minali

 

TOTALE DERRATE CONFERITE COME CANONE DI LOCAZIONE

  MOGGI STARI MINALI TERZOLI TOTALI
FRUMENTO 0 27 0,5 2 28 stari circa
SEGALE 0 47 0,5 2 48 stari circa
AVENA 1 94 1 2 99 stari circa
TOTALI 1 168 2 6 175 stari circa

 


[2] Ringrazio Paolo Odorizzi per avermi segnalato il documento e per il suo prezioso aiuto nella trascrizione e traduzione dello stesso.

 

[3] L'errore più macroscopico è il nome Juliana scritto in luogo di Innama. Poi nelle derrate dovute da Giacomo fu Domino, si legge 22 stari di frumento e segale..... e da Bagoto fu Bonaconta, 12 stari di segale e frumento.....non specificando quanto di una e quanto dell'altra. Quindi di certo rimaneva solo il totale. Ancora ci sono due occorrenze del nome Nascimbenus scritte con la "o" anzichè con la "e" ovvero Nascimbonus"; inoltre il padre di Nascimbene è individuato come Raimondo anzichè Raimondino.

 

[4]  Dal latino sextarius, antica misura romana corrispondente ad un sesto del congio, cioè 0,545 litri. Lo staio è un'unità di misura di capacità per aridi, usata in Italia prima dell’adozione del sistema metrico decimale. (Dizionario Treccani)
A Dermulo uno staio corrispondeva a 21 litri, ma il valore variava da paese a paese, e per questo, a volte si specificava “a misura vicinale”, come ad esempio riportato nel documento, nel caso del tributo dovuto da Romedio di Taio. Per la misura si usava un recipiente, fatto di legno, cilindrico, a doghe cerchiate; dal centro del fondo sale verso la bocca un ferro (detto ago) che s’inserisce in una spranghetta, anch’essa di ferro (detta maniglia), disposta diametralmente alla bocca. Nel caso di "staio raso", per togliere il cereale in eccesso o traboccante dall'orlo, si usava un'asticciola di legno chiamata rasiera.
Lo staio era anche una misura di superficie che corrispondeva ai mq che era possibile seminare con uno staro di grano. A Dermulo corrispondeva a 450 mq, ma anche in questo caso poteva variare sensibilmente da paese a paese. Ad esempio lo staio trentino corrispondeva a 845 mq.
Il moggio nelle varie epoche assunse un valore diverso. In epoca romana valeva 16 staia, poi 8 staia ed in questo documento 4 staia.

 

starioli (staio scarso)

terzoli

quarte

minali

minele

staro

0,67 (2/3 di staio)

3

4

8

16

Lo staro corrisponde ad un volume di 21 litri e circa a 16 Kg di grano