L'IMPOSIZIONE FISCALE

   

 

La tassazione pubblica ordinaria, in antico era chiamata “Colta o Colletta” e dovrebbe essere stata introdotta dall’imperatore Federico II a partire dalla metà del XIII secolo. Le collette straordinarie, volgarmente chiamate “Tallioni”, erano corrisposte prevalentemente ai Conti del Tirolo, i quali vi ricorrevano soprattutto per far fronte alle spese di guerra. Le collette ordinarie venivano corrisposte annualmente a favore del principe-vescovo. Entrambe le collette erano corrisposte in denaro contante. La documentazione sulle “collette” inizia già dalla meta del secolo XIII. Questo risulta chiaro dall’esame del Liber focorum del 1350, già in uso almeno dal 1256, nel quale sono determinati i tributi spettanti al Vescovo da ogni Comunità trentina, ma in realtà riscosse ed incassate prevalentemente dai Conti del Tirolo, almeno per il periodo 1256-1310. Il sistema di tassazione era imperniato sui fochi (o fuochi), ognuno dei quali doveva corrispondere al vescovo 5 libbre e 11 denari, ossia 111 soldi, ivi compreso il compenso dei funzionari vescovili addetti all'amministrazione delle Valli e alla riscossione delle stesse collette. 

Dal Liber Focorum del 1350, che riporta l’elenco di quanto doveva contribuire ogni singola villa del principato, risulta che Dermulo era tassato per 9 Fuochi. La tassa non veniva pagata dai nobili e nemmeno dai liberi (Freisassen), e quindi a Dermulo praticamente veniva pagata da tutti, in quanto plebei, status sociale che derivava dalla condizione di ex-servi. Infatti fino al 1218 i dermulani furono servi dei Denno e poi lo diventarono della chiesa trentina. Il passaggio da servi della chiesa a plebei si realizza subito dopo, con la scomparsa di fatto delle macinate avvenuta nella fase del dominio imperiale (1236-1255). In questo periodo, le necessità finanziarie dell’imperatore Federico II, portarono alla riforma fiscale imperniata sul focho domini e quindi, il maggior numero di soggetti possibile, diventò imponibile. Tale riforma fu probabilmente completata da Mainardo II e l’assetto raggiunto, fu poi mantenuto inalterato fino alla fine del principato vescovile.

Agli inizi del Cinquecento a causa della sperequazione che si era venuta a creare nelle valli del Noce, per gli importi delle tasse a cui erano soggette le varie ville, si ingenerò un certo malcontento che portò alla stesura delle cosi detta Sentenza Compagnazzi.

Come già detto, Paolo Odorizzi ha letto con molta attenzione il documento traendone conclusioni ben diverse da quanto fin’ora ci era stato fatto credere. Qui voglio solo riportare succintamente, quanto ne è scaturito riguardo ai cosi detti “foci”, lasciando a lui tutte le altre questioni.

Nel documento si dice che da tempo immemorabile le Comunità, Università e Ville delle Valli di Non e Sole pagavano una Colletta, cosiddetta “fogi del Signor”, due volte l’anno cioè alla festa di San Giorgio (23 aprile) e a quella di San Michele (29 settembre) in ragione di due Libbre per ogni “focho domini”. Alcune comunità si ritenevano più gravate rispetto ad altre, per cui nel documento venivano riportati degli esempi reali di non equità di pagamento. Dal dibattimento esce chiara la differenza che esisteva fra i Fochi domini e i fochi fumantes, intendendo solo per questa ultima locuzione, la famiglia come è intesa oggi. I fochi domini quindi, solo al momento della loro istituzione si riferivano alla famiglia, ma da questi non si può ricavare comunque la popolazione di un villaggio, in quanto le famiglie soggette alla tassa erano solo quelle plebee. Interessanti per le deduzioni appena fatte, sono i casi esposti al n° 5 e al 10:  il primo, relativo a Monclassico, perché viene esplicitato anche il numero dei fochi fumantes, 22, che non corrisponde affatto a quello dei fochi domini, 14, e che pertanto sono due cose ben diverse. Il secondo è relativo a Mollaro, dove c’erano 5 fochi fumantes ex una domo discendentis. Si arguisce che essa era l’unica di Mollaro scampata alla peste. Ma quello che è di massima importanza, al fine di comprendere il significato di “fuoco fumante”, consiste nel fatto che per questi cinque “fuochi fumanti” pagava una sola persona del casato e in ragione dei sette fochi domini attribuiti a suo tempo alla Comunità di Mollaro. Si capisce finalmente che i “fochi domini” venivano pagati pro domo e non pro familia. Per domus si deve intendere non tanto la casa ma il casato. Quindi un “foco domini” non corrispondeva né ad una famiglia né ad un singolo focolare, ma ad un casato.
Il focho domini veniva pagato solo dalla popolazione plebea, mentre i nobili e i liberi, contribuivano separatamente con una percentuale in base al loro patrimonio. La sentenza comunque non cambiò molto le cose e per evitare di addentrarsi in un ginepraio di perizie e controperizie circa l’estimo dei beni di ognuna delle Ville, e di rinnovare il censimento dei fuochi fumanti, come di fatto chiedevano i rappresentanti delle comunità più gravate, si decise di ridistribuire il carico fiscale straordinario aumentando la quota a carico dei nobili rurali.