Oggi
9 agosto 1940 visitai i resti dell’eremitaggio di S. Giustina presso
Dermulo. Il sentiero d’accesso è tuttora in buono stato. Dei 50 o 60
gradini di pietra, che costituivano la parte più bassa e più prossima al
Romitorio, la maggior parte non vi si trova più. Anzi da molti decenni fu
asportata a Dermulo buona parte di essi. Così accadde che un tratto della
scala, divenuto alquanto malcomodo, prestando dei piccoli salti nella
roccia, fu dovuto sostituire con una breve scala di legno ad opera degli
operai della diga di S. Giustina (che vi discendono per giungere poi al
Noce per il sentiero da essi costruito in prolungazione di quello di S.
Giustina). Nell’ultimo tratto, più presso alla Chiesa di S. Giustina,
gli stessi operai hanno rimesso in ordine molti gradini, così che
l’aspetto della scala nella sua parte più bassa non è come l’altra
parte, quello della devastazione.
Della chiesetta rimane in piedi il muro absidale e una traccia di quella,
che dovette essere (lo si rileva dall’assenza di capitelli e costoloni
ancora notabile) la povera volta, la quale però per testimonianza
raccolta dal sottoscritto dalla bocca di parecchi vecchi di Dermulo, era
decorata dalle figure dei quattro evangelisti.
Tutto il resto è o crollato o rasato al suolo. Non vi si riscontra più
traccia di pavimento; tre vecchi oltre ottantenni di Dermulo [nel 1940
di ultraottantenne c’era solo Dionigio
Tamè che era nato nel 1859, i più anziani erano poi Germano
Emer che era nato nel 1860 e aveva quindi 80 anni, Arcangelo
Inama e Eugenio Eccher
che ne avevano 79, essendo nati entrambi nel 1861] mi assicurarono che
essi videro, nella loro gioventù, la chiesa, benchè senza tetto, quasi
intatta, però ormai derubata degli stipiti tanto della porta che delle
finestre; ricordano i 4 SS. Evangelisti il cippo (di muro) dell’altare,
il pavimento di sommasso con nel centro una lapide tombale, sulla
quale uno di essi (Dionigio
Tamè) ricorda bene d’avervi visto scolpito un calice, il che
farebbe pensare alla sepoltura d’uno degli eremiti, che dovette essere,
per eccezione (forse rara), un sacerdote. [Si trattava di don Giovanni
Giacomo Etterarther di Innsbruck morto a Dermulo nel 1632 e sepolto nella
chiesa dell’eremo.]
I muri della chiesetta erano bianchi, ad eccezione dei cantoni, ove veniva
a finire la volta, i quali sono (i due ancor visibili) tinti in rosso
mattone, che voleva imitare il marmo.
Dell’abitazione attigua alla chiesa non rimane che il muro (anch’esso
malconcio) più prossimo allo strapiombo della roccia sovrastante. Dà
l’impressione che avesse tre piani: un sotterraneo, uno circa il piano
del pavimento della chiesetta, e uno superiore. Non sembra che ciascun
piano avesse più di un locale. Con ogni probabilità, lo spazio chiuso
tra la chiesa e l’abitazione da una parte e la roccia dall’altra, era
adibito ad uso di ripostiglio, e, se si deve arguire dal fumo che ne
annerisce i muri, ad uso cucina. Anch’esso è tutto ingombro di macerie.
40 -
45 metri
più sotto verso mezzodì sorge ancora, benchè con la volta sfondata per
intiero, una cappellina vuota; era alta non più di
2,50 metri
e ampia di pochi (9 o 10 mq) metri quadrati.
Più a sud di questa le viti ancora rigogliose striscianti sul suolo
lasciano credere che il Romito vi coltivasse un orto. Qui siamo anche
fuori dello strapiombo.
Una zona assai interessante per gli scavi nella roccia viva, ma abbastanza
difficile accesso è quella a settentrione del piazzale antistante alla
chiesa, e che conserva ancora un bel tratto di muro di cinta in buono
stato. A questa zona io vi accedetti discendendo per parecchi metri di
roccia scoscesa; il mio compagno, per evitare qualche giro per affrontare
la roccia, vi si portò girando il detto bastioncino, discendendo verso il
Noce e poi risalendo attraverso il folto bosco. Qui si stende un po’ di
piano e notabili sono due incavi nella roccia, dei quali quello più a
Nord è profondo circa 3/4 metro e alto circa quattro metri, con la parte
inferiore intonacata. Che vi sorgesse un gran Crocifisso? Era largo circa
due metri (in alto termina ad arco tondeggiante). L’incavo più a mezzodì
fiancheggiato da un rozzo sedile incavato pure nella roccia, è alto circa
1,80 metri
, largo altrettanto e profondo più di due metri. Vi si vedono degli
incavi minori uso armadietto. Bisogna che l’accesso a questa parte
avesse inizio nei pressi della chiesetta attraverso una passerella di
legno fiancheggiante la roccia e (si può arguirlo dalle tre o quattro
tacche quadrate scavate nella roccia tra il piano davanti alla chiesa e la
detta zona, per 6 o
7 metri
sul fianco).
Non pare fantasia infondata pensare che ai bei tempi in fiore de
l’eremitaggio questo complesso di costruzioni, incavi, gradini,
passerelle, tettoie, pianerottoli, muri di cinta ecc. per una lunghezza di
60 -
70 metri
a diversi ripiani e il tutto sotto l’incombente impressionante
strapiombo e col Noce rumoreggiante ai piedi, costituisse un ambiente
oltremodo suggestivo e pieno d’attrattiva.
Anche le ampie cavernosità della roccia presso alla scala donava poesia
allo scenario incantevole.
I sopra menzionati ultraottantenni di Dermulo (due di essi) mi dissero che
i loro genitori erano andati al Romitaggio a scuola e a dottrina e mi
nominarono gli altri che con loro approfittavano del Romito per lo stesso
scopo. [Il padre di Arcangelo
Inama era nato nel 1815, il padre di Germano
Emer era nato nel 1820, il padre di Eugenio
Eccher era nato nel 1830. Storicamente sappiamo che nel 1822
teneva scuola a Dermulo l’eremita Faroni, quindi il padre di Arcangelo
che si chiamava Giacomo
aveva 7 anni e poteva essere stato uno scolaro dell’eremita]. Dionigio
Tamè (d’anni 81) dice che suo papà ricordava le processioni che
venivano al Romitaggio da Sanzeno; concordemente affermano che la ragione
per la quale la gente di Dermulo distrusse il Santuario fu (o fu solo
l’occasione?) il fatto che l’ultimo eremita (o era uno che si
spacciava per tale?) era fuggito con una quantità di oggetti preziosi
raccolti nella Valle di Non a beneficio del Santuario, diceva egli. Pare -
dicono ancora - che il romito possedesse un fondo o due regalati o
comperati con le offerte. Mi nominano le famiglie di Dermulo, dove si
trova la maggior parte dei gradini della scala di S. Giustina, la mensa
dell’altare, (mi dice uno di loro: inserita in un focolare di Dermulo) e
un quadro della Madonna (che poi vidi io stesso in casa di Alessandro
Inama fu Candido [non fu Candido ma fu Annibale]:
è una Madonna seicentesca col Bambino coricato in grembo, cinta di rosa;
la cornice è pure seicentesca, lavorata a intarsio, ma mal connessa;
l’immagine è deteriorata da una goccia d’acqua che cadde chissà per
quanto tempo lungo il petto di Maria); affermano che parecchie cose tolte
a S. Giustina sono ancora nella chiesa di Dermulo, come candelieri di
legno (Eugenio Eccher)
e una Madonna scolpita in legno che (forse perchè nera in faccia)
chiamano della Morea, alta 60 o
70 cm
. dorata. L’antica croce astile, che si trovava nella chiesa di Dermulo
(di legno nel rame dorato e sbalzato), portata da S. Giustina, fu rubata
non molti anni fa (dopo la guerra). A detta del vecchio Eugenio
Eccher le reliquie levate dalla mensa dell’altare di S. Giustina
furono poi ritirate a Taio dal Decano don Rizzardi; altri reliquiari tolti
al Santuario e dispersi in varie famiglie di Dermulo; la porta della
chiesetta di S. Giustina si troverebbe tuttora nella casa
del fu Daniele Inama e
usata come porta di casa. - E’ noto che la pala dell’altare di S.
Giustina dopo di essere stata molti decenni in una casa privata di Dermulo
fu trovata e portata in Chiesa (a Dermulo) e 5 anni fa restaurata a spese
dell’ufficio Belle arti di Trento. Ora si trova nella Sacristia di
Dermulo.
Buona parte dei gradini di S. Giustina formano la scala principale della casa
fu Emer Geremia.
Taio, li 9 agosto 1940.
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La pala
dell'altare presente nella chiesa parrocchiale di Dermulo. La tavola lignea dipinta con la Madonna col Bambino in trono fra i santi Giustina e Cipriano, opera d'ambito tedesco della
seconda metà del XV secolo, attribuita a Martino Teofilo Polacco (1570
ca.-1639).
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