NESSUNO VUOLE DOMENICA "LA PAZZA" *
Tra il 1854 e il 1856, a
cavallo della triste epidemia di colera, i comuni di
Dermulo e di Taio intrapresero una lunga lite in merito all’attribuzione di
pertinenza ad uno o all’altro, di Domenica Brida vedova di
Giovanni Inama. La questione
oggi parrebbe di poco conto ma all’epoca, invece, poteva costituire un
importante problema, a causa delle precarie condizioni economiche in cui
versavano quasi tutte le amministrazioni comunali. Negli archivi sono presenti
molteplici esempi in questo senso; chi lasciava a lungo il paese e poi si
ritrovava in miseria o con bisogno di cure, come spesso succedeva, batteva cassa
al comune a cui era pertinente.
Ma non solo: a richiedere rimborsi potevano
essere altre persone o enti che avevano soccorso la persona. La frequenza
elevata di questi casi faceva sì che il comune, facendo appello ad eventuali
appigli legislativi, cercasse di rifilare ad altri il malcapitato. Questo fu
proprio il caso della povera Domenica.
Domenica Brida, nata probabilmente a Tres intorno al 1815, convolò a nozze nel
1835 con
Giovanni Inama abitante a Taio presso il
maso di Castel Bragher. Gli sposi abitarono assieme alla famiglia di Giovanni
che comprendeva la madre Margherita Menapace e i fratelli Luigi, Domenico,
Nicolò, Pietro e Francesco. Il padre di Giovanni di nome pure
Giovanni, figlio di
Giovanni Francesco Inama aveva lasciato Dermulo nel 1810 per prendere in
locazione il maso dove morì nel 1832. Nel 1839 lo seguì nella tomba pure il
figlio Giovanni, lasciando vedova Domenica e orfano il figlioletto Vigilio di
appena tre anni. Tutta la famiglia Inama
continuò a vivere come affittuaria nel maso e non ritornò mai a Dermulo dove
però esisteva ancora la vecchia casa di famiglia. Nelle varie successioni
ereditarie avvenute nel 1811 e 1851 una porzione di casa, (si trattava di parte
della casa n. 26) assieme all’usufrutto di
un piccolo campo a Cambiel e di un
prato a Pramartinel, pervenne anche
agli eredi del fu Giovanni (+1839) ovvero a Domenica e al figlio Vigilio. Dopo
la morte del marito, Domenica incominciò a presentare i primi segni di
squilibrio che si aggravarono nel corso degli anni, a tal punto che nel 1854 i
familiari, con l’aiuto del comune di Dermulo e tramite il Capitanato
Distrettuale di Cles, richiesero il suo ricovero presso l’ospedale di Hall in
Tirolo.[1]
A corredo della domanda furono inseriti due documenti, uno del 21 luglio 1854
con
il
quale il capocomune di Dermulo
Giovanni Inama
confermava al Capitanato Distrettuale la veridicità e la necessità di quanto
prospettato da Domenico e un
altro del 24 ottobre 1854 dove lo stesso capocomune attestava, sottofirmato
anche dal decano di Taio Zoanetti, la povertà di
Domenica
che si disse vivere di “una
misera rendita di un terreno lasciatoli dal marito Giovanni” e si precisava,
inoltre, che Domenica aveva un figlio di 18 anni in servizio a Trento ma per il
poco salario che percepiva non poteva aiutare la madre. Da Hall però, esaminato
il certificato medico, rifiutarono l’accoglimento (27 ottobre 1854) catalogando
il caso fra i non guaribili e, ritenendo la paziente non pericolosa, si demandò
al comune la sua custodia.[2] Da questo momento ebbe
inizio una lunga lite fra i due comuni innescata da
Domenico Inama, allorchè, per ottenere il
rimborso sulle spese da lui sostenute per il mantenimento della cognata
Domenica, si rivolse dapprima al comune di Dermulo e poi a quello di Taio,
ottenendo un rifiuto da entrambi con relativo rimpallo di competenze. Allora il
15 ottobre 1854 Domenico interpellò il Capitanato Distrettuale di Cles perché
decidesse chi fra i due comuni era competente a ricevere la sua domanda di
rimborso, ovvero a quale comune Domenica appartenesse. Tale definizione sarebbe
risultata determinante anche per sapere a quale comune Domenica dovesse essere
affidata in custodia. Una prima breve lettera, con la quale non si riconosceva
Domenica pertinente di Dermulo, fu inviata dal capo comune
Giovanni Inama al Capitano Distrettuale di
Cles il giorno 8 novembre 1854. Sei giorni più tardi una lettera dello stesso
tenore veniva spedita al Comune di Taio per cui il capocomune Panizza ribatteva
che dopo la morte del marito Giovanni e le divisioni fatte fra i fratelli Inama
a Domenica era stata assegnata una porzione di
casa a Dermulo dove lei si era trasferita ed aveva abitato per dieci anni a
partire dal 1842 o 1843. Considerato quanto dichiarato dal comune di Taio, il
Capitano Distrettuale con lettera del 5 dicembre riconosceva Domenica pertinente
del comune di Dermulo ..”ed essere quindi
obbligato il comune di Dermullo di sussidiare con i propri mezzi la maniaca
Domenica Inama provvedendo al di essa mantenimento e custodia in quanto non
basti l’assegno di cui può disporre la curatela”. A tale decisione era
ammesso ricorso da presentarsi entro 14 giorni all’Autorità Circolare di Trento,
e comunque, si obbligava il comune di Dermulo e il curatore di Domenica alla sua
sorveglianza e la gendarmeria di Taio a vigilare che ciò avvenisse.
Il comune di Dermulo procedette immediatamente a presentare ricorso che fu
inviato a Trento il 30 dicembre. Nello scritto si ribadì che dal 1810 la
famiglia di Giovanni aveva vissuto a Taio nel maso Thun e colà aveva continuato
a vivere anche dopo la morte di
Giovanni
padre (1832) e di
Giovanni
figlio (1839), senza mai più
dimorare a Dermulo. Inoltre nelle liste militari per il Reggimento Cacciatori
Imperiali, i figli di
Giovanni si trovavano iscritti nel
comune di Taio, dove infatti anche Giovanni il giovane, appariva coscritto per
gli anni 1828-1829. Si affermava pure che tutta la famiglia di Giovanni aveva
goduto i diritti comunali a Taio da più di quarant’anni; inoltre Domenica,
secondo la legge comunale del 1819, seguiva il domicilio del marito che in
questo caso, vista la durata quarantennale, non poteva considerarsi precario. E
ancora “..un anno circa dopo la morte del
marito, cioè nell’anno 1840, si manifestò evidentemente pazza in sommo grado,
come potrebbero far prova tutti i suoi di famiglia e quasi tutti gli abitanti di
Taio,..” e non corrispondeva al vero che essa avesse dimorato in Dermulo a
partire dal 1843. Dal 1847 invece “…o per
effetto di sue stravaganti risoluzioni o indotta dai suoi parenti di Taio per
allontanarsela dalla loro abitazione, onde loro fosse di minore molestia fu da
loro condotta a Dermullo e le condussero pure alcuni mobili i più necessari
collocandola nella loro casa da molto tempo disabitata….”. Questa decisione
si disse era stata molto infelice perché a Taio c’erano le condizioni per una
vita migliore, mentre a Dermulo era in balìa di se stessa. Domenica infatti
ritornò a breve a Taio dalla sua famiglia, non rimanendovi stabilmente e
continuando a fare la spola Dermulo-Taio, ma comunque sempre provvista dalla sua
famiglia. Il Comune di Dermulo affermava quindi che non era sufficiente che ci
fosse stato l'usufrutto su un’abitazione per determinare la pertinenza ad un
comune e concludendo, il capocomune
Giovanni Inama chiedeva che il domicilio
di Domenica fosse assegnato al comune di Taio.
Le autorità del Circolo di Trento dopo aver ricevuto il ricorso, richiesero al
Capitanato Distrettuale di svolgere ulteriori indagini su quanto dichiarato dal
comune di Dermulo, in particolare con una lettera al decano di Taio, si chiedeva
se
Domenica aveva cominciato ad abitare a Dermulo dal 1847, come affermato da
Dermulo o dal 1842/1843 come detto da Taio. Inoltre sempre a don Pietro Zoanetti
veniva richiesta una conferma di identità ovvero se il Giovanni marito di
Domenica fosse stata la stessa persona di Giovanni Domenico nato a Taio il 24
aprile 1807. Per quanto riguardava il primo quesito il decano rispose che, fatte
le opportune indagini, non era riuscito a confermare né l’una né l’altra delle
asserzioni, ma stando a quanto dichiarato da Margherita e
Francesco Inama,
rispettivamente suocera e cognato di Domenica, quest’ultima era stata
accompagnata a Dermulo nel mese di febbraio 1846. In relazione al secondo
quesito il decano confermava l’identità di persona fra Giovanni Inama e Giovanni
Domenico Inama.
Il 17 febbraio 1855 furono spedite le informazioni richieste alla I.R. Autorità
Circolare di Trento che con data 26 febbraio decideva di accogliere il ricorso
di Dermulo valutando le prove addotte, valide e sensate, e ritenendo quindi che
il mantenimento e sorveglianza di Domenica spettasse al comune di Taio. Nella
lettera si specificava che a tale decisione il comune di Taio avrebbe potuto
fare ricorso. Infatti, non dandosi per vinto, Taio sfruttò l’opportunità e in
data 29 marzo presentò nuovamente appello. Nel documento, forse scritto
direttamente di pugno dal capocomune Filippo
Panizza, si manifestava stupore per l’annullamento della sentenza favorevole
a Taio e si procedeva a nuove asserzioni che rafforzavano le ragioni di Taio. Si
disse che si era incentrata la sentenza su Giovanni Inama e famiglia, evocando
la legge comunale del 1819, ma invece, secondo Taio, bisognava considerare
solamente dove era domiciliata Domenica e in base alla legge del 17 marzo 1849,
avendo essa dimorato dal 1846 a Dermulo, si doveva considerare pertinente di
quello. Si disse anche che i suoi spostamenti da Dermulo a Taio non erano stati
così frequenti e quando succedeva era per svolgere servizio presso la sua
famiglia, ma che normalmente viveva a Dermulo. Si evidenziava anche che non
c’era altra miglior prova di appartenenza ad un comune della proprietà di
stabili in esso, e nel caso di Domenica risultava, oltre l’usufrutto di una
parte di casa, anche qualche terreno. Ancora si disse che “il
comune la assunse tacitamente qual comunista perché dal 1846 a questa parte le
ricercò la carta d’inserizione, come fissa appunto la legge provvisoria comunale”.
Per questi motivi il comune di Taio confidava nell’accoglimento del ricorso
decretando l’appartenenza di Domenica a Dermulo. E infatti così avvenne, con
lettera del 24 aprile 1855 l’autorità Circolare di Trento, Domenica fu
dichiarata pertinente di Dermulo, concedendo ancora la facoltà a quest’ultimo di
inoltrare un nuovo ricorso all’Eccelso Ministero. Il comune di Dermulo l’1
giugno 1855 presentò nuovamente ricorso allegando una dichiarazione catastale
nella quale risultava che Domenica non possedeva nessun bene nel circondario di
Dermulo, e gli atti della ventilazione ereditaria di Giovanni Inama del 8
settembre 1843.[3] Con lettera del 5 agosto
indirizzata alla Pretura di Cles, l’autorità Circolare di Trento comunicava che
il Ministero dell’Interno non aveva accettato il ricorso di Dermulo. Con questo
atto si concludeva la diatriba fra i due comuni e Dermulo dovette quindi
sobbarcarsi le varie richieste di rimborso per il mantenimento di Domenica. La
prima in questo senso pervenne da Giovanni Perenthaler di Taio il 22 agosto che
in precedenza aveva presentato richiesta al comune di Taio, il quale, essendogli
stata in quel periodo riconosciuta pertinente Domenica, aveva sborsato i 15
Fiorini richiesti. (Il Perenthaler per un breve periodo si era occupato della
custodia di Domenica). Il comune di Taio vincitore del ricorso con lettera del
17 marzo 1856 pregava il Capitano Distrettuale affinché sollecitasse Dermulo a
rifondergli tale somma, essendo ora Domenica sua pertinente. Il capocomune di
Dermulo il 30 marzo 1856 fece recapitare alla Pretura di Cles una lettera con la
quale manifestava l’impossibilità nell’immediato di procedere al pagamento
richiesto in quanto le casse comunali erano vuote ed anzi era in essere un
debito di 250 Fiorini. Aggiungeva però che a quanto riferitogli dal tutore di
Domenica, il figlio sarebbe stato disposto a vendere le poche facoltà ereditate
dalla madre e in tal caso si sarebbe reperito il denaro. Dai fatti successivi di
intuisce che la misera sostanza di Domenica non fu alienata e il comune di
Dermulo non riuscì a onorare i suoi impegni.
Negli anni successivi la faccenda sembrava essersi normalizzata, in quanto
Domenica viveva stabilmente a Taio in custodia presso il cognato
Pietro Inama. Ma con il
passare del tempo fra alcuni membri della famiglia Inama incominciarono a
sorgere dei malcontenti che sfociarono in una lettera pervenuta nel 1861 alla
Pretura di Cles. Pietro,
l’autore della missiva, si lamentava nei confronti del
fratello Domenico, tutore ufficiale di Domenica, in quanto a suo dire, disponeva
dei beni della tutelata a suo piacimento, senza darne conto e metterne a
disposizione i proventi. Pietro si manifestava spazientito per la situazione al
punto di minacciare l’abbandono di Domenica se le cose non fossero cambiate. A
rafforzare le dichiarazioni di Pietro intervenne con una lettera anche il decano
di Taio, don Zoanetti. La Pretura volle sentire gli interessati che furono
convocati a Cles il 7 maggio 1861. Domenico dichiarò di aver ceduto a
Vigilio, figlio di Domenica,
la sostanza spettante alla madre che comprendeva un prato a
Pramartinel, un arativo vignato a
Cambiel e un pezzetto di bosco
sotto la casa a Dermulo. Domenica su tali beni aveva l’usufrutto e la cessione
venne fatta - sempre a detta di Domenico - in quanto il figlio si sarebbe
obbligato a mantenere la madre. Confermò poi che Domenica in quel momento si
trovava a Taio presso Pietro Inama e che era mantenuta dal figlio Vigilio e se
quest’ultimo non avesse potuto farlo se ne sarebbe occupato il comune di
Dermulo. Concluse poi dicendo che Vigilio Inama qualche mese addietro aveva
utilizzato la sostanza della madre per far fronte ai creditori.
Pietro Inama dal canto suo precisava che Domenico non aveva messo a disposizione
tutta la sostanza spettante a Domenica in quanto dalle divisioni giudiziali del
1839, per parte paterna, al marito sarebbero spettati altri fondi quali un campo
arativo alla Volt(ol)ina, un arativo
vignato a
Campobello, un pezzo di bosco sotto la
casa, mobili e un capitale di 53 Fiorini.[4] Pietro negava che Vigilio
Inama gli avesse spedito denaro o altri beni per il mantenimento, disse invece
che il 16 novembre 1860 aveva stipulato un contratto con Vigilio per il quale,
quest’ultimo, avrebbe venduto la sua sostanza e si sarebbe obbligato a mantenere
la madre vita natural durante. Però non conoscendo precisamente in cosa
consistesse la sostanza di Domenica non si potè darne seguito. Infine Pietro
ribadì che se non si fosse determinata la somma dovutagli per il mantenimento
fino ad allora prestato e l’importo per il mantenimento futuro, non avrebbe più
accettato l’impegno.
La Pretura a seguito di tali asserzioni interpellò
Vigilio Inama che in quel
periodo risiedeva a Nogarè presso Pergine,[5] il quale dichiarava che il
fatto che Domenico Inama,
curatore di sua madre, gli avesse ceduto la sostanza per cui Vigilio avrebbe
dovuto occuparsi del suo mantenimento, non corrispondesse a verità.
Questa
intenzione gli era stata solo prospettata verbalmente, ma ammise di non sapere
realmente a quanto ammontasse detta sostanza. Vigilio dichiarò che fino a
settembre dell’anno 1860 aveva corrisposto a Pietro un importo di 72 Fiorini
all’anno perché mantenesse sua madre. Dopo del mese di settembre, essendo
impossibilitato, non aveva più destinato alcun importo.
L’8 agosto 1861 Domenica dopo anni di sventure, passava a miglior vita,
“liberando” i suoi parenti e il comune di Dermulo dall’onere del mantenimento.
Il curatore Domenico Inama si affrettò a presentare la resa di conto relativa
alla decennale amministrazione della sostanza della cognata. La lista molto
dettagliata abbracciava infatti un periodo dal 1848 al 1858 contemplando fra le
entrate l’importo di Fiorini 4 corrisposto annualmente da
Baldassarre figlio di
Silvestro Inama per l’affitto del prato a
Pramartinel. Altre entrate erano
costituite dalla vendita della foglia di gelso, dal grano e segale ricevuti per
livello e diverse giornate di lavoro specialmente nei mesi di settembre e
ottobre.
Tra le uscite invece figuravano spese per l’acquisto del sale, per la
somministrazione di “gialo”, “formento” e “formentone”; per denaro contante, per
due paia di scarpe e un abito di Rigadino[6] e ancora per aver
acquistato latte “dall’Eccher di Dermulo” e da Giacomo Inama e aver pagato la
chiesa di Dermulo per l’affitto del prato
alla Leonarda ossia a Cambiel. In
totale si registrarono Fiorini 149:94 di uscite e Fiorini 121:22 di entrate per
cui rimaneva un credito di Fiorini 28:72. Per quanto riguardava i beni di
ragione di Domenica, il curatore ribadì che gli aveva ceduti a Vigilio nel 1861.
La storia di Domenica è una finestra su una realtà a noi apparentemente vicina,
eppure estremamente lontana, una realtà che per noi è difficile da immaginare,
perché permeata da una sostanziale condizione di povertà. Non si tratta,
infatti, solo della povertà di Domenica o della sua famiglia, ma anche della
povertà degli enti pubblici che, avendo le casse vuote, non possono assumersi
l’onere del mantenimento di una donna “pazza”. Come dicevo sopra, sarebbe molto
interessante capire in che cosa consistesse la
mania di Domenica, rifiutata dal manicomio di Hall, dal comune di
Taio, da quello di Dermulo, e, in una certa misura, dalla sua stessa famiglia.
Resta aperta questa possibilità di approfondimento. Per il momento non ci resta
che leggere la storia di Domenica e, forse, provare un po’ di pietà per questa
donna, letteralmente rifiutata da una società tanto povera da non poter
permettersi le cure di “una pazza”.
[*] Tutti i documenti inerenti la storia sono conservati presso l'Archivio di Stato di Trento. (Busta n. 50 Archivio Giudiziale e Pretura di Cles, cartella n. 10)
[1] L’ospedale di Hall (italianizzato in Ala) venne aperto nel 1830 e fu il primo manicomio nella Contea del Tirolo. Esso prese posto in un antico monastero di clarisse a circa 10 km da Innsbruk, dove sarebbero dovuti essere ricoverati anche i malati di mente di lingua italiana ma la differente lingua e la diversità di abitudini fecero sorgere una lunga diatriba istituzionale che contrappose amministratori, uomini di governo e alienisti. Dal sito: http://architetturemanicomiali.altervista.org/manicomio-provinciale-tirolese-a-pergine-valsugana/?doing_wp_cron=1591701572.5076460838317871093750
[2] Il certificato del dottor Danielli non era presente nell’incartamento, perché sicuramente redatto in esemplare unico e quindi inviato ad Hall. Sarebbe stato molto interessante, per potersi fare un’idea rapportandola con le conoscenze odierne, aver potuto leggere la descrizione dei disturbi di Domenica.
[3] Negli incartamenti non era presente l’atto originale del ricorso che evidentemente è andato perso, ma solo la lettera di trasmissione dello stesso da parte del I.R. Capitanato Distrettuale.
[4] Questa dichiarazione sembrerebbe più uno sfogo su come era stata gestita l’assegnazione ereditaria che una reale colpa di appropriazione da parte di Domenico. Dal catasto infatti non risultavano altri beni appartenenti a Giovanni se non quelli ufficialmente citati, ovvero il prato a Pramartinel, un campo a Cambiel livello della chiesa di Dermulo e una porzione di casa a Dermulo.
[5] La lettera della Pretura di Cles per errore fu dapprima inviata al Comune di Nogaredo presso Rovereto, il quale rispedì al mittente la richiesta che fu quindi poi dirottata presso la Pretura di Pergine, la quale procedette a notificarla all’interessato che abitava a Nogarè, poco lontano da Pergine.
[6] Il rigadino era un tessuto di lino o di cotone a righe piuttosto sottili e di vario colore.