IL CAPITELLO DEDICATO ALLA MADONNA 

 

Al punto quattro delle disposizioni impartite dai funzionari vescovili, a seguito della visita effettuata a Dermulo nel 1649,  si legge, “Che il Capitello contiguo alla strada imperiale venghi rinnovato, ò totalmente distruto”. E' questa la prima citazione ufficiale del capitello, sia come costruzione che come toponimo. Non c'è alcun dubbio che si stesse parlando dell'attuale capitello, in quanto era l'unico in muratura sul territorio di Dermulo e in questo contesto, pure ben localizzato, essendo come si disse, "attiguo alla strada imperiale". Detta strada infatti, dopo aver oltrepassato la futura casa n. 22, lambiva il capitello da sud. Nel 1743 esisteva un altro luogo, precisamente un bosco, detto "al Capitel", ma in questo caso il toponimo faceva riferimento ad un crocefisso incorniciato di legno, ivi eretto da tempi molto antichi e già documentato nel 1380, che aveva dato il nome all'ampia zona denominata Cros.
Tornando al nostro capitello, alla metà del Seicento versava in così gravi condizioni che aveva indotto i visitatori vescovili ad intimarne il restauro, o in alternativa la demolizione. Evidentemente si optò per il restauro che permise di conservarsi discretamente fino ai nostri giorni. In almeno due occasioni, in un documento del 1657 e in uno del 1679, si esplicitava che la regola della comunità era stata convocata presso il capitello. Ad onor del vero non è che le altre volte le adunanze si fossero svolte in un luogo diverso. Anzi il luogo deputato era sempre lo stesso da tempi immemorabili, e per Dermulo era la piazzetta vicino alla casa dei Cordini, appunto nei pressi del capitello.
Con il toponimo "al capitel" nel corso degli anni si designarono due case, la casa dei Cordini almeno fino al 1780 e poi agli inizi del Novecento, la casa n. 41 di Clemente Inama.
Riguardo alla committenza e al motivo della costruzione dell'edicola, non ci sono giunte notizie, ma quasi sicuramente si trattava di un ex voto, ed in questo senso in valle non mancano certo gli esempi. In occasione delle varie epidemie di peste che hanno flagellato tutta l’Europa senza risparmiare le nostre valli, molte persone facevano dei voti che poi assolvevano per scampato pericolo. Chi andava in pellegrinaggio in lontani santuari
[1], chi faceva dipingere delle figure sacre e chi faceva costruire chiese o capitelli.[2]

 

 

Quindi ritengo che il capitello votivo dedicato alla Madonna, fosse stato costruito a spese di tutti i vicini di Dermulo e non a caso, fosse stato scelto il luogo più rappresentativo, ovvero dove nelle adunanze di regola, venivano prese le decisioni comunitarie. Per quanto riguardo l'anno di costruzione in mancanza di riferimenti possiamo solo esporre delle ipotesi. Assodato che la costruzione derivi da un ex voto a seguito di una calamità, possiamo affermare con una discreta sicurezza che la sciagura più frequente in passato sia da riconoscersi nella peste. Il morbo imperversò svariate volte anche nelle nostre zone, tra il 1632 e 1634 colpì tutto il Trentino e anche a Dermulo ci furono dei morti. Ritengo però poco probabile che il capitello sia stato eretto in tale occasione, in quanto nello spazio di circa vent’anni, (tale era il periodo intercorso fra la fine della pestilenza e la rilevazione della visita vescovile del 1649) non poteva essere ridotto in condizioni così disastrose. Per cui possiamo ragionevolmente supporre che la costruzione sia avvenuta anteriormente al 1600. Un'altra forte pestilenza flagellò il Trentino nel 1575, della quale abbiamo testimonianza diretta in un documento del notaio Antonio Cristani di Rallo. Lo scritto datato 31 ottobre 1578 tratta di una vendita che la comunità di Taio si accingeva a fare al nobile Giorgio Crivelli, ivi abitante. Nella premessa si evidenzia, come la comunità, nel 1575 magnopere fuit oppressa morbo contagioso, che provocò numerosi morti e un indebitamento della stessa, per cui considerando anche il momento carestioso, si decise la vendita di alcuni beni.
L'edicola di Dermulo potrebbe quindi essere stata costruita a seguito della pestilenza del 1575, che forse aveva risparmiato la comunità? Potrebbe essere una cosa molto plausibile, ma non possiamo escludere un'origine più antica, a seguito delle altre numerose pestilenze che imperversarono per l'Europa. Le più importanti, che interessarono sicuramente le nostre valli, furono quella del 1348 e quella del 1440. Quest'ultima probabilmente aveva colpito duramente Dermulo, e ciò sarebbe dimostrato dall'esiguo numero di solo sette vicini, presenti alla redazione della carta di regola della comunità nel 1471. Forse i superstiti edificarono il capitello come ex voto?
 

 

Negli anni Novanta del Duemila il capitello è stato ristrutturato a causa delle sue cattive condizioni. In quell'occasione fu ricostruito il tetto di legno che era fatiscente e venne rifatto l’intonaco che si era scrostato in vari punti. Nelle parti lasciate scoperte dalla caduta dell'intonaco, si potevano osservare almeno tre stratificazioni dovute ad interventi eseguiti in precedenza. Lo strato più profondo lasciava trasparire dei lacerti di affresco, per cui è possibile che tutte le pareti fossero affrescate. Successivamente gli affreschi vennero nascosti con una tinta azzurra ed infine ricoperti con uno strato di calce.[3]
Nel 1953 il sacello fu derubato della statua della Madonna che quindi fu sostituita da un'altra.


 

[1] Una pestilenza nella prima metà del Quattrocento sterminò gran parte degli abitanti di Fondo. Le famiglie superstiti in numero di 7 si recarono in pellegrinaggio al santuario di Santiago di Compostela in Spagna. A ricordo di tale viaggio si dipinsero degli affreschi sulle case di chi vi aveva partecipato. (Alberto Folgheraiter “I dannati della peste” pag. 164)

[2] Nel 1630 nel tentativo di fermare la peste in pubblica regola i vicini di Pinzolo e Baldino promisero di costruire una chiesa. La chiesa non fu costruita ed il voto fu convertito ad un meno dispensioso restauro di un altare della chiesa parrocchiale. (Alberto Folgheraiter “I dannati della peste” pag. 136)

[3] Del nostro capitello accenna brevemente Adolfo Menapace nel libro “Capitelli in Val di Non”, dove a pag. 52, si afferma erroneamente che sia di costruzione ottocentesca.