CI SI LAMENTA DEL PRIMISSARIO

 

 

Ci si era tanto prodigati per avere un sacerdote in paese che a quanto sembra qualcuno allo stesso modo si prodigò per farlo mandare via. A qualche persona evidentemente non stava simpatico don Giuseppe Manincor primo primissario di Dermulo e lo diede a dimostrare con le pesanti accuse che fece pervenire al vescovo di Trento nel 1779. Un delegato di quest’ultimo per conoscere i fatti si rivolse al parroco di Taio pregandolo di verificare se corrispondeva a verità che “don Manincor coltivava sospette amicizie in casa Mendini, avendo avuto pure qualche ingerenza in occasione che fu fatta una sonata ad una giovine di detta famiglia” e se fosse pure vero che operava “sfornito dello Spirito Ecclesiastico”.[1]

A giudicare da come il primissario fu difeso dai vicini di Dermulo, che fecero pervenire al vescovo un loro conchiuso approvato dalla regola nel quale si esprimeva piena soddisfazione sul suo operato, sono portato a pensare che queste accuse fossero false.

Don Giuseppe Manincor rimase in paese sicuramente fino al 1783 ma possiamo supporre che l’ordine vescovile del 10 agosto 1784 con il quale si ribadiva che il primissario doveva abitare in paese pena la revoca dell’incarico fosse riferito a lui.[2]

Sempre nel 1784 il primissario pro tempore chiedeva che gli fosse aumentato l’onorario, ma essendo il paese povero non si potè acconsentire alla richiesta. Allora il prete pensò di ridurre il suo impegno proporzionalmente al denaro corrisposto ed il vicario di Taio don Leopoldo Eller si offrì per insegnare la dottrina a Dermulo dai Santi a Pasqua purchè il paese non rimanesse privo di tale insegnamento.[3]

Alcune lamentele furono mosse anche contro il primissario don Nicolò Corradini per le quali nel 1801 il parroco Monauni fu costretto a relazionare al vescovo. Nello scritto il parroco evidenziava l’eccessiva timidezza di don Corradini che lo portava a non voler abitare la casa primissariale con altre persone; riguardo alle confessioni diceva che non era tanto lui restìo a confessare, ma i dermulani che non gradivano il suo modo di fare e ritenevano eccessive le sue penitenze. Anche gli infermi venivano visitati mal volentieri e fatto più rilevante risultava incapace di tenere la scuola perchè troppo permissivo e di conseguenza gli scolari se ne approfittavano.[4]

Per alcuni anni le acque sembrano rimanere calme, ma poi nel 1810 le polemiche si riacutizzarono. Qualcuno di Dermulo si rivolse al vescovo Emmanuele Maria Thun lamentandosi del primissario. Il vescovo chiese notizie al parroco di Taio don Nicolò Monauni il quale in una sua lettera del 27 settembre 1810 rispondeva che le rimostranze erano da ricondursi essenzialmente a due motivi. Il primo che la comunità di Dermulo aveva aggiunto 10 ragnesi annui allo stipendio del primissario affinchè lui celebrasse la messa anche nei giorni feriali, ma ciò non accadeva. Il secondo come già nel 1801 era la questione dell’insegnamento scolastico. Il parroco Monauni scriveva che la scuola di Dermulo era allo sbaraglio, ed erano molti i giovani intorno ai venti anni che non sapevano ne leggere ne scrivere, però concludeva la lettera asserendo che il primissario aveva dato la sua parola per adempiere ai suoi obblighi anche nei confronti dell’insegnamento.

Ricevuto il rimprovero dal vescovo, don Nicolò Corradini prese la penna in mano per esternare le sue ragioni: egli espose che era primissario a Dermulo da 15 anni e che aveva sempre tenuto un comportamento corretto e che qualcuno in paese, essendo ora lui vecchio, lo voleva mandare via. Don Corradini infine vorrebbe sapere punto per punto di cosa fosse accusato al fine di poter difendersi e aggiunse che dopo aver presentato le sue difese avrebbe accettato nel bene o nel male la volontà del vescovo.[5]

Don Corradini morì a Dermulo nel 1813.

 

[1] A.D.T. Libro A pag. 101. a. 1779; Libro B (4) n. 255 a. 1779.

[2] A.D.T. Libro A (III) pag. 14 a. 1784.

[3] A.D.T. Libro B (39) n. 333 a. 1784.

[4] A.D.T. Libro B (106) n. 300 a. 1801.

[5] A.D.T. Libro B (144) n. 1034 a. 1810.