IL LAGO E LA DIGA DI SANTA GIUSTINA

di Fortunato Turrini

 

 

 

 

Durante il 1923 l’ing. Angelo Omodeo progettò lo sbarramento del fiume Tirso in Sardegna, con una diga alta 60 metri e un invaso di circa 60 kmq, che servì non solo alla produzione di energia elettrica, ma anche all’irrigazione di terreni fino allora improduttivi per mancanza di acqua. Contemporaneamente in Trentino iniziavano i grandi impianti nell’alta Val di Sole (i primi progetti per Pian Palù e Careser risalgono al 1922). Solo più tardi, ispirandosi ai lavori dell’Omodeo, si pensò alla diga di S. Giustina. Nel 1939 l’ing. Claudio Marcello delineò un progetto di massima per la Valle di Non: si avvalse delle ricerche dell’ing. Bruno Bonfioli, autore dieci anni prima dell’impianto di Mollaro, e dei colleghi Giuseppe Candiani, Carlo de Riccabona e Francesco Contessini. I lavori, diretti dall’ing. A. Gervasi, vennero affidati alla Edison, che allora era la ditta con i mezzi più recenti.

La tecnica aveva fatto progressi, ma l’imprevisto fu la seconda guerra mondiale, durata per l’Italia dal 1940 al 1945 essa ritardò moltissimo l’impresa, destinata a cambiare l’aspetto della valle, e forse anche il suo clima. Complessivamente furono necessari dodici anni di lavoro, compiuto a riprese successive e con lunghe pause dovute agli eventi bellici. Nell’inverno 1942-43 venne costruita una diga di supporto circa 300 metri a Nord dello sbarramento attuale, per deviare il Noce in una galleria che usciva 250 metri a valle della diga odierna. Durante il 1943 fu scavata la roccia per fondare la costruzione sia alla base che ai lati e vennero asportati circa 115 mila mc di materiale ai fianchi e sul fondo del torrente. Il muraglione della diga risale al dopoguerra: esso è alto m 152,50, largo alla base m 16.50 e alla sommità m 3,50. Furono necessarie per il manufatto oltre 12 mila tonnellate di calcestruzzo, mentre per rendere impermeabili il fondo e le pareti circostanti si fecero fori profondi da 10 a 80 metri, con iniezioni di circa 40 mila quintali di cemento.

All’invaso, completato nel 1951, si formò il lago di S. Giustina, che capta le acque del Noce allora alimentato da Barnés, Pescara, Novella, Rio S. Romedio. Il bacino artificiale, che verso Nord si divide in due rami, è lungo circa km 7,5, largo 1,5 km al punto massimo, con un perimetro di circa 34 km. Molti comuni persero terreni agricoli e improduttivi nell’opera: Cles 132 ettari, Revò 81, Banco 61, Sanzeno 31, Tassullo 28, Cagnò 23. Lungo le rive attuali si alternano per circa 26 km boschi, pascoli, vigneti, frutteti; per oltre 7 km si vedono rocce calcaree e qualche frana. Il lago sbarrato dalla diga ha una capacità di 180 milioni di mc d’acqua. Si tratta di una riserva imponente, che a regime permette di ottenere ogni anno 300 milioni di kw/ora di energia elettrica. Le turbine, sistemate in caverna presso Taio, sfruttano un salto che può convogliare 1500 mc d’acqua al secondo. L’invaso contribuisce anche alla centrale di Mezzocorona che, con una galleria dal bacino di Mollaro (lunga km 9,1) costruito negli anni 1927-29, fornisce la forza idraulica alle turbine della centrale rotaliana. La piccola diga di Mollaro ha una capacità di circa un milione di mc d’acqua.

Oggi i benefici del lago di S. Giustina (il nome deriva dall’antico romitorio anteriore all’epoca longobarda, situato sotto Dermulo, a valle della diga) sono evidenti. La corrente qui prodotta alimenta le industrie della Lombardia e perfino della Calabria con grandi elettrodotti che partono dalla centrale di Taio. Si corre il rischio di ammirare e sfruttare le risorse tecniche, dimenticando il costo umano dell’opera. Centinaia di lavoratori, nònesi, solandri e da fuori provincia, contribuirono alla costruzione con enormi sacrifici. Ci furono molti morti e decine di feriti, alcuni mutilati e altri accecati dallo scoppio delle mine durante l’impresa. Si parla di 22 incidenti mortali per la diga che per un certo periodo fu la più alta d’Europa. Fra i tanti deceduti mi pare giusto ricordare i nostri convalligiani. Il 10 giugno 1941 morì a 28 anni Mario Lorandini di Segno. Il 2 ottobre 1941 Bruno Depero di Taio (aveva 37 anni). Il 3 dicembre 1947 toccò al giovanissimo Bruno Kaisermann di Dermulo (19 anni), e nel medesimo giorno a Pio Valentini di Tassullo (27 anni). Il 28 giugno1948 moriva Cornelio Tarter di Dardine (21 anni); il 18 dicembre 1948 Angelo Rigotti di Ton (23 anni) e il 31 marzo 1949 Giuseppe Borz di Quetta (20 anni: era figlio unico di madre vedova e fu colpito da un masso alla testa in località Spessa di Taio). Lo stillicidio degli incidenti continuò fino a ottobre 1951, quando il grande invaso fu completato, con la morte di un ventenne di Pescantina, operaio della Edison. Attualmente il lago viene ripulito alla fine della primavera e sta abbellendosi con un piccolo centro turistico sulla riva sinistra, poco a monte della diga. Le casette di servizio situate vicino all’ingresso del ponte sono opera di Giò Ponti.

 

 

 FOTO DI ROBERTO SANDRI