ARMULO

 

Nel bel mezzo della terra d’Annone,

v’è una chiesuola ch’è cinta da case,

poste sull’óro di un fondo burrone,

 

tra i verdi gaggi e le campagne rase.

Picciol pago su di sopra la balza,

che fin sotto il Nosio scende alla base,

 

puoi veder da dove l’astro si alza,

il paesello che è nomato Armùlo.

Titolo questo che ad esso ben calza,

 

niun osi pensar si parli di un mulo.

Scende dal loco ch’è sotto la rupe,

da dove il verbo ti vien di rinculo,

 

e le parvenze si assommano cupe.

Ov’è un’antro oscuro che piacque al romìto,

e un campicel co’ le viti e le drupe.

 

Luogo silente di ricordo avito,

puoco più sopra a dove scorre il fiume.

Or narrando di Armùlo, fu ei spartito,

 

d’acqua colante di flutti e di schiume,

in doi colomelli: Borgo e Cittade.

Il prio a tramontana, verso alle brume,

 

l’altro a meridie, d’incontro il sol cade.

Qui gli Henno tenevan sotto giogo

le poere genti di queste contrade.

 

Ma il buon Federigo salvò ‘sto luogo,

da’ mani rapaci d’empi signori,

e vi impedì, dei violenti lo sfogo.

 

D’altri i vicini furon servitori:

dei conti Tono di castel Bragherio

che cogliean decime nei territori.

 

Chi di veder, avesse desiderio,

ancora un altro bel luogo ameno,

volga il viso e non sarà più serio,

 

verso Taglio, qualche minuto almeno.

Verdi agri dove l’acqua fe’ conquista,

digradan fin al fiume, poco meno.

 

Ognun godrà di cosi bella vista,

e ancor di più se a modo d’augello,

su questo luogo che ‘sì poco dista,

 

 

vi potesse sorvolare bel bello.

L’osservator deve poi esser edotto

che la praderia fu di un Martinello.

 

Qui l’acque sgorgano con ricco fiotto,

indi si disperdon in tanti rivoli,

che poi si rifondono in più di sotto.

 

Dopo a cagion che la gente non si isoli,

qui fra le sponde fecessi un pigagno,

anch’all’uopo che in acqua non si scivoli,

 

scongiurandosi il non voluto bagno.

Or se verso Armùlo vuolsi tornare,

si puote rampicar a mo’ di ragno,

 

in su per il dirupo ed arrivare,

appresso all’erto loco detto Scòllo,

i muri della villa a rasentare.

 

Andiam avanti senza volger collo,

per la strada che mena a Ponte Alto,

dove più d’uno riversò il midollo,

 

per caduta dall’elevato salto,

o a cagion di quei vili briganti,

ch’ai pedoni davan spesso assalto.

 

Furon st’infami, il terror de’ viandanti,

che ignari passavano sotto il dosso,

trovànseli tosto a parar davanti,

 

e con furor scagliarsi loro addosso.

Scorgesi poi il poggio, ove antiche genti,

quivi lavoravano il bronzo e l’osso,

 

con l’ingegno di ricavar strumenti.

Mani capaci limavan le pietre,

che fatte a guisa di dardi taglienti,

 

andavano a empir le loro faretre.

Risaliam or per la boscosa china

che a meditar c’incute cose tètre,

 

e indietro torniam, mentre il sol declina,

fin alle puoche case che ci mostra,

Armùlo, la villa a noi più vicina.

 

Questa, vetuste origini dimostra,

speciosa per colui si ravvicini,

è la sacra casa ove il pio si prostra.

 

 

 

Attigua, v’è la dimora Mendini,

al Castelletto quella dei Massenza,

e al Plazzolo la casa de’ Cordini.

 

Le case degli Inami pertinenza,

èrgonsi nei pressi della Crosara,

di sora e sotto la via in evidenza.

 

Altro stabile di attrattiva rara,

poco distante da quel luogo sorge,

e col suo arco gotico, il bel rincara.

 

Il sostante maso un graffito porge:

il tempo dal sol marcato sul muro,

con lo gnomone che da questo sporge.

 

Oltrà il ri, del Tomelin l’abituro,

umil casupola che sarà ruina,

e mai più alcuno veggerà in futuro.

 

V’è poi la casa di Santa Giustina,

ove il romìto il verno trascorreva,

al maso di quei fonài era vicina,

 

e che al novello prete ei poi cedeva.

Oltre, è l’arcana casa alla Clesura,

della quale ben poco si sapeva,

 

non v’è notizia data per sicura,

chi di essa fosse il primiero padrone,

la realtà rimarrà a tutti oscura,

 

finchè non si sciolga cotal tenzone.

Altre case non son da mentovare,

e indi il nostro errar è alla conclusione.

 

Il nome, Armùlo di poi andò a cangiare:

ed è Dermùlo nel parlar novello,

che oggi le genti, colgon pronunciare.

 

Dite voi se questo mio paesello,

ancorché nella sua limitatezza,

non si possa invocar come gioiello?

 

Ciò negar m'infonderebbe tristezza!

 

Paolo Inama

 

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